Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Alain Finkielkraut, Ayaan Hirsi Ali: la censura dei conformisti Commento di Pierluigi Battista
Testata: Corriere della Sera Data: 12 maggio 2014 Pagina: 35 Autore: Pierluigi Battista Titolo: «Perché non tolleriamo il pensiero diverso»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 12/05/2014, a pag. 35, l'articolo di Pierluigi Battista dal titolo "Perché non tolleriamo il pensiero diverso". Concordiamo con le considerazioni di Pierluigi Battista, tranne che su un punto: Brendan Eich, ex CEO di Mozilla, non è stato licenziato per le sue opinioni, ma perché il finanziamento da lui fornito alla campagna per il bando dei matrimoni gay in California ha danneggiato economicamente l' azienda. In particolare, il sito di incontri OK Cupid aveva bloccato l'accesso agli utenti del browser Mozilla Firefox, motivando tale decisione con la considerazione che la campagna sostenuta da Eich si era opposta al riconoscimento legale di unioni che in molti casi il sito stesso aveva aiutato a nascere. Non è quindi possibile interpretare la vicenda come un attacco alla libertà di pensiero. In essa vi è stato invece un effettivo contrasto tra gli interessi e la politica di non discriminazione di Mozilla e l'attività extralavorativa di Eich.
Ecco l'articolo.
Pierluigi Battista Alain Finkielkraut Ayaan Hirsi Ali
L’importante è non abituarsi all’idea che siano ovvie le veementi e indignate proteste che in Francia si sono sollevate pretestuosamente per la nomina di un intellettuale raffinato come Alain Finkielkraut ad accademico di Francia. Non sono ovvie: sono un’ennesima manifestazione di insofferenza per un pensiero diverso, meno corrivo, meno propenso ad adagiarsi alle prescrizioni di chi si considera l’unico monopolista autorizzato del Bene. Come non è così scontato che a una vittima del fanatismo fondamentalista come Ayaan Hirsi Ali vengano sbarrate le porte dell’università di Boston, dove un sinedrio di insigni professori, paladini del politicamente corretto, si sono piegati al diktat degli estremisti che non volevano contaminare le aule accademiche con la ventata di libertà culturale che la Hirsi Ali avrebbe trascinato con sé. Come non è così nell’ordine naturale delle cose che Brendan Eich, manager di Mozilla Firefox, nell’avanzata e libertaria Silicon Valley, sia stato costretto a lasciare il suo importante posto di lavoro per aver offerto un contributo finanziario personale al referendum californiano contro l’istituzione dei matrimoni gay. Non è normale che, ispirato dalle buone intenzioni e al servizio di una Causa buona e giusta, si stia addensando una nuova intolleranza dal sapore maccartista verso chi è sospettato di sostenere opinioni contrarie all’ondata maggioritaria. Non è possibile che si debba pagare per via delle opinioni liberamente espresse, anche se queste opinioni risultino irritanti, ostili al senso comune, iper-ideologiche di segno opposto. Non c’è bisogno di scomodare lo pseudo-Voltaire che sonnecchia in ogni banalissimo discorso pubblico sulla tolleranza, per capire che nel nome del Bene si possono fare disastri irrimediabili. E che non è giusto condannare al silenzio della prudenza, all’omertà del conformismo le opinioni diverse che rischiano di essere zittite dal fragore dell’indignazione a comando, dai sospetti cervellotici, dall’incapacità di capire che non solo le opinioni diverse sono le benvenute, ma che una società è più ricca, più vivace, più solida, se favorisce il libero conflitto delle idee. E che tenere sempre all’erta l’arsenale delle solite accuse, diventare inquisitori per un giorno, accodarsi al coro delle belle anime oltraggiate dall’orco cattivo che posa dissentire favorisce la causa della stupidità collettiva, non quella del bene. E che non saper ammettere che Alain Finkielkraut ha tutti i titoli culturali e morali per meritare quel posto nella gloriosa Accademia francese chiude e soffoca il cervello in un recinto di ossessione claustrofobica, dove viene considerato pericoloso (e dunque simbolicamente da mettere al rogo) ogni sia pur lieve deragliamento dai binari prefissati da una Norma prepotentemente imposta. E che dunque questa parodia di nuova, piccola inquisizione è quasi più patetica, perché allestita per favorire le idee più nobili. Che ne vengono deturpate, irrimediabilmente.
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