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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio Rassegna Stampa
09.05.2014 Alain Finkielkraut accademico di Francia: un riconoscimento alla libertà di pensiero
di un intellettuale fuori dal coro

Testata: Il Foglio
Data: 09 maggio 2014
Pagina: 2
Autore: Mauro Zanon
Titolo: «Perché Finkielkraut à l’Académie è la rivincita del pensiero libero»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 09/05/2014, a pag. 2,  l'articolo di Mauro Zanon dal titolo "Perché Finkielkraut à l’Académie è la rivincita del pensiero libero"

 
Alain Finkilelkraut

Parigi. “Finkielkraut à l’Académie française: la Revanche de la Pensée”. Così titola nel numero di maggio il mensile più scorretto e contrarian di Francia, Causeur, fondato e diretto dall’intellettuale Elisabeth Lévy, in cima alla classifica delle personalità mediatiche più detestate dai benpensanti. Tutti i collaboratori del suo mensile sono malvisti nei salotti del Tout-Paris, compresa lei, l’autrice de “La gauche contre le réel”, con quel suo stile un po’ rockettaro, una Dunhill Blu sempre accesa, il tono di voce non proprio da Café de Flore e l’accento marsigliese orgogliosamente calcato – “odio l’accento parigot”, disse a Libé qualche tempo fa. Per il circuito del politicamente corretto Causeur, che Elisabeth Lévy ha fondato nel 2007 e trasformato nel corso degli anni nel mensile dell’insubordinazione al pensiero unico, è un bivacco di reazionari e xenofobi da tenere sotto controllo. Per questo l’entrata all’Académie française di Alain Finkielkraut – responsabile su Causeur della rubrica “L’esprit de l’escalier”, nella quale, con la consueta libertà di tono e l’incedere colto che contraddistingue il suo argomentare, analizza l’attualità – meritava di essere festeggiata. Perché non è stata una semplice elezione, il giusto riconoscimento di un intellettuale e homme de lettres apprezzato in tutto il mondo per le sue opere, ma appunto la “Revanche de la Pensée”, la rivincita del libero pensiero contro la dittatura del pensiero unico. Ci hanno provato in tutti i modi i suoi detrattori, i professionisti dell’indignazione che affollano i salotti televisivi, ai quali si sono aggiunti gli accademici appartenenti alla cosiddetta aile gauche della prestigiosa istituzione fondata dal cardinale Richelieu nel 1635. Lo hanno criticato per il suo ultimo libro, “L’identité malheureuse”, per la sua “virata reazionaria”, e per i suoi nostalgici lamenti in difesa di quella “Francia degli Invisibili”, dimenticata dalle élite parigine. Non volevano, dichiarò addirittura uno degli accademici – che ha preferito mantenere l’anonimato – che “il Front national entrasse sotto la Cupola”. Ma in quel “campo di battaglia” che è l’Académie française, come l’ha definita Elisabeth Lévy nel suo editoriale intitolato “Habemus Papam!”, solo uno “scrittore combattente” come Alain Finkielkraut avrebbe potuto vincere e respingere l’offensiva politically correct degli pseudo-progressisti, e il loro disprezzo profondo per chi non la pensa allo stesso modo. “I suoi avversari non lo criticano, lo calunniano; non confutano la sua visione del mondo, la caricaturizzano; non contestano le sue idee, insultano la persona. La loro sconfitta ha il gusto del miele… Ringraziamoli tutti: grazie a loro un’elezione imperdibile si è trasformata in una vittoria eclatante. Quella di Alain Finkielkraut, dei suoi cari e dei suoi amici, ma anche di tutti gli anonimi che assistono in silenzio alla distruzione di ciò che amano, alla diabolizzazione di ciò che pensano. E’ la vittoria di tutti noi, che amiamo, come diceva Montaigne, ‘sfregare il nostro cervello contro quello degli altri’”. Per lo scrittore e professore di Scienze politiche Philippe Raynaud, chiamato a intervenire sull’elezione di Finkielkraut all’Académie, “gli accademici non hanno eletto un pamphlettista ‘di destra’, ma uno scrittore sottile, il cui presunto conservatorismo esprime soprattutto una sollecitudine inquieta di fronte alla fragilità delle cose”. Per lo storico e diplomatico israeliano Elie Barnavi, “su Israele come sul resto, Alain Finkielkraut è giudicato più per la sua persona, e il suo modo di essere, che per quello che dice e scrive”. Natacha Polony, nota giornalista del Figaro, confessa apertamente di sentirsi “una libera figlia di Finkielkraut”, dal quale ha appreso l’importanza e la profondità di due parole come “identità” e “cultura”, in una Francia che, in nome del tanto decantato multiculturalismo e della “mixité”, ha rinnegato le sue origini e il modello assimilazionista sui quali si è fondata.

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