Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Iraq: prime elezioni dopo il ritiro americano Cronaca di Fausto Biloslavo, analisi di Lorenzo Cremonesi
Testata:Il Giornale - Corriere della Sera Autore: Fausto Biloslavo - Lorenzo Cremonesi Titolo: «L'Irak alla prova di maturità. Primo voto senza americani - Iraq: elezioni all’insegna della paura. Un referendum sul premier al Maliki»
Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 01/05/2014, a pag. 14, l'articolo di Fausto Biloslavo dal titolo "L'Irak alla prova di maturità. Primo voto senza americani" e dal CORRIERE della SERA, a pag. 40, l'editoriale di Lorenzo Cremonesi dal titolo "Iraq: elezioni all’insegna della paura. Un referendum sul premier al Maliki".
Una soldatessa vota nel Kurdistan iracheno
Ecco gli articoli:
Il GIORNALE - Fausto Biloslavo - L'Irak alla prova di maturità. Primo voto senza americani
Fausto Biloslavo
Le prime elezioni parlamentari in Iraq dopo il ritiro delle truppe americane nel 2011 si sono svolte con successo, nonostante gli attacchi dei terroristi legati ad Al Qaida. Una prova di maturità in un Paese scosso da una nuova ondata di violenze scaturita dall’atavico braccio di ferro fra sciiti e sunniti. Ieri 20 milioni di iracheni sono stati chiamati alle urne per scegliere fra oltre 9mila candidati i 328 parlamentari dell’assemblea nazionale, che eleggerà il primo ministro ed il presidente. Nelle urne si sfidavano 39 coalizioni, ma il favorito è il blocco «Stato di diritto », che sostiene il premier uscente Nouri al Maliki appoggiato sia dagli Usa che dall’Iran. «La nostra vittoria è certa, ma aspettiamo di vedere di che misura », ha affermato Maliki dopo aver votato. Il premier sciita al suo secondo mandato ha invitato gli iracheni a recarsi in massa alle urne «per mandare un segnale di deterrenza, uno schiaffo in faccia ai terroristi». L’affluenza è stata soddisfacente nonostante una serie di attentati abbiano provocato 17 morti. Nella provincia sunnita di Anbar, al confine con la Siria, soprattutto a Falluja ed in parte a Ramadi i seggi sono rimasti chiusi. Dallo scorso dicembre le tribù sunnite locali si sono alleate conal Qaida contro il potere sciita a Bagdad. Questo mese in Iraq sono morte oltre 500 persone per attentati e violenze settarie e dall’inizio dell’anno 2700. La rivolta sunnita nella provincia di Anbar è alimentata dalla guerra in Siria. Le frange estreme della ribellione contro Damasco considerano i due paesi un solo terreno di battaglia dove fondare un Califfato secondo l’ideologia di Al Qaida. Non solo:L’Arabia Saudita preoccupata per il rischio di venir spodestata dall’aumento della produzione petrolifera dell’Iraq governato dagli sciiti, sta alimentando sotto banco l’insorgenza sunnita. La minaccia del terrore non ha impedito al Paese di andare alle urne. Il segretario di stato americano, John Kerry, ha elogiato «il coraggio» di milioni di elettori. Washington sta accelerando la consegna a Bagdad di 36 caccia F-16, 24 elicotteri Apache e 500 missili Hellfire per fronteggiare Al Qaida. La lotta al terrorismo è stata uno dei cavalli di battaglia della campagna elettorale del premier uscente Maliki. In realtà le indiscrezioni sul voto di poliziotti e militari, che si è tenuto lunedì, indicano che il capo del governo non ha ottenuto un buon risultato. Maliki è accusato di aver marginalizzato i sunniti provocando l’insana alleanza fra tribù e terroristi nella provincia di Anbar. Adesso propone una grande coalizione aperta «ad arabi, curdi, turcomanni, musulmani, cristiani, a patto che credono nell’unità dell’Iraq ». La coalizione del primo ministro non teme il fronte sunnita, che si è presentato alle urne più diviso che mai. La spina nel fiancoè la crescita di nuove compagini sciite, che riusciranno a rosicchiare la maggioranza al premier uscente. In ogni caso il governo sarà di coalizione ed i tempi per formarlo lunghi e tribolati. L’alleanza politica sciita al Muaten (il cittadino) guidata da Ammar al Hakim potrebbe aggiudicarsi la guida del prossimo esecutivo. L’ago della bilancia è rappresentato più che mai dai curdi, che vivono nei loro territori al Nord in una specie di altro Iraq, polo di attrazione per gli investimenti stranieri. Il nodo da sciogliere sarà lo sfruttamento del petrolio e l’esportazione che i curdi gestiscono da soli.
CORRIERE della SERA - Lorenzo Cremonesi- Iraq , Elezioni all’insegna della Paura un Referendum sul Premier al Maliki
Lorenzo Cremonesi Nouri al Maliki
Un referendum nazionale per Nuri al Maliki: è questo il significato primo delle elezioni parlamentari ieri in Iraq. In buona sostanza, i 21 milioni di aventi diritto al voto sono stati chiamati a scegliere se il 64enne primo ministro dal 2006 potrà governare per il terzo mandato di fila, oppure sarà costretto a lasciare il posto ad un altro leader sciita. Ieri sera alla chiusura dei seggi i risultati elettorali restavano sconosciuti. Anche il tasso di partecipazione non è ancora stato reso noto, fonti ufficiose parlano del 60 per cento. Ma nulla è confermato. Visto dall’esterno, l’operato del premier è stato fallimentare. Gli americani avevano scelto questo burocrate timido e per nulla carismatico per la sua grande capacità di lavoro, le sue promesse di operare in nome dell’unità nazionale, dialogando con sunniti e curdi, e il passato di perseguitato del regime di Saddam Hussein. Nel concreto le sue scelte sono però andate in senso contrario. Meno di 24 ore dopo il ritiro dell’ultima unità combattente Usa nel 2011, Maliki ha diffuso il mandato di arresto per il massimo leader politico sunnita, il vicepresidente Tariq Hashemi. Da allora Hashemi è fuggito nelle zone curde, poi in Turchia, e la guerra civile sciito-sunnita si è fatta sempre più cruenta. Le regioni occidentali dal confine con la Siria sino ad Abu Ghreib da novembre sono in mano alla guerriglia islamica sunnita. L’esercito regolare, dominato dagli sciiti, non sa controllarla. Tanto che ieri Bagdad ci è apparsa una città assediata, spaventata come al culmine del terrorismo nel 2006-7. Posti di blocco ogni 500 metri, traffico nullo, negozi e servizi pubblici chiusi. Il pubblico è potuto andare alle urne solo a piedi. Il voto si è poi svolto nella calma relativa (in tutto il Paese negli ultimi tre giorni i morti per attentati superano il centinaio), ma il prezzo sembra altissimo, insostenibile. Con l’arrivo della notte è stato imposto un nuovo coprifuoco sulla capitale. Eppure, queste semplici considerazioni ancora non bastano per dare Maliki come politicamente morto. Il premier è pronto ad avviare una serie infinita di trattative con i due partiti sciiti paralleli al suo «Stato del Diritto» e con la miriade di formazioni minori che si sono presentate al voto. «Sono 328 i seggi del nostro parlamento», aggiungono gli osservatori locali. «Se Maliki ne ottiene almeno 80, può ancora vincere».