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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa - Corriere della Sera Rassegna Stampa
22.01.2014 Iran: a che cosa porterà l'alleggerimento delle sanzioni ?
commenti di Maurizio Molinari, Farian Sabahi

Testata:La Stampa - Corriere della Sera
Autore: Maurizio Molinari - Farian Sabahi
Titolo: «Rohani e la diplomazia soft, i nuovi nemici dei Pasdaran - Meglio con le sanzioni oppure senza? L’Iran di fronte al cambio di stagione»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 22/01/2014, a pag. 11, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Rohani e la diplomazia soft, i nuovi nemici dei Pasdaran ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 32, l'articolo di Farian Sabahi dal titolo " Meglio con le sanzioni oppure senza? L’Iran di fronte al cambio di stagione ", preceduto dal nostro commento.
Ecco i pezzi:

La STAMPA - Maurizio Molinari : " Rohani e la diplomazia soft, i nuovi nemici dei Pasdaran "


Maurizio Molinari

Il mancato arrivo dell’Iran alla Conferenza di pace sulla Siria cela lo scontro a Teheran fra il ministro degli Esteri Javad Zarif, braccio destro del presidente Hassan Rohani, e l’establishment militare. L’ex ambasciatore all’Onu ha già inferto alle Guardie della Rivoluzione uno smacco firmando l’accordo di Ginevra sulla limitazione di un programma nucleare che ritenevano intoccabile e ora stava per cogliere un nuovo successo facendo partecipare l’Iran ai lavori di Montreux grazie alla rinuncia della difesa a oltranza del regime di Assad, sorretto dall’intervento di pasdaran ed Hezbollah. Quando Ali Akbar Velayati, consigliere del Leader Supremo Ali Khamenei, ha impedito a Zarif di accettare le condizioni dell’Onu sulla conferenza siriana è stato l’apparato militare a imporsi.
A dare la misura della battaglia su Zarif sono nomi e parole di chi lo attacca. Il generale Mohammed Jafari, comandante delle Guardie della Rivoluzione, ha reagito all’intesa interinale sul nucleare chiedendo a «chi guida la politica estera» di «cessare di danneggiare la nazione» ma Zarif ha ribattuto, dal podio dell’ateneo di Teheran, che «a garantire la nostra sicurezza non sono le armi visto che tutte quelle che abbiamo potrebbero essere neutralizzate da un’unica bomba Usa». La controreplica di Jafari è stata aspra: «Zarif non si occupi di temi militari, dall’elezione di Rohani l’Iran è stato intossicato dall’Occidente, serve un fondamentale cambio di marcia». Rahim Safavi, consigliere militare di Khamenei, gli ha dato manforte: «Fino a quando l’America non muterà approccio non dobbiamo cessare di combatterla» senza seguire il dialogo voluto da Zarif.
Nasce così la lettera con cui 20 deputati del Parlamento di Teheran hanno chiesto a Rohani di «rivedere la nomina di Zarif a ministro». Ali Larijani, presidente del Parlamento e già collaboratore dell’ex presidente Mahmud Ahmadinejad sul nucleare, liquida la strategia di dialogo di Zarif con l’Occidente accusandolo di dimenticare che «sono loro ad aver incendiato il Medio Oriente». La strategia di Larijani è opposta rispetto a Zarif: «Dobbiamo dire ai Paesi della regione di liberarsi dall’influenza di americani e sionisti, siamo noi i loro fratelli perché abbiamo l’unico Profeta e l’unica fede».
L’Iran deve ambire ad essere il Paese-leader dell’area, senza concessioni agli avversari. Hossein Naghavi, portavoce del comitato parlamentare sulla Sicurezza, ritiene che Zarif sia «solo un diplomatico» e come tale «non deve occuparsi della sicurezza». È la tesi del quotidiano conservatore «Kayhan» mentre il settimanale riformista «Aseman» difende Zarif paragonandolo a all’”«eroe» Mohammad Mossadegh, l’ex premier rovesciato da un golpe ispirato dagli Usa nel 1953. «Zarif è l’alter-ego di Mossadegh« ha scritto «Aseman« perché «interpreta il desiderio degli iraniani di veder risolvere i problemi dai politici, non dai militari».
La strategia dei conservatori è sconfiggere Zarif per impedirgli di ostacolare un establishment militare che continua ad alzare il profilo, come dimostra l’invio nell’Atlantico di due navi da guerra - il caccia Salaban e la portaelicotteri Khark - per dimostrare di saper operare a ridosso delle coste americane. In realtà Zariff non persegue l’indebolimento dell’Iran bensì ha una visione della supremazia regionale basata più sulla politica che sulle armi. Ma gli altri ministri riformisti di Rohani hanno pochi strumenti per difenderlo. Ali Tayebnia e Nijan Namdar Zanganeh, titolari di Economia e Petrolio, non possono duellare con veterani della sicurezza come Jafari e Safavi.
Khamenei, leader dei conservatori, gioca invece una delicata partita: da un lato ha consentito l’accordo di Ginevra sul nucleare ma dall’altro, con il fidato Velayati, ha fermato quello sulla Siria. D’altra parte alle spalle di Khamenei c’è l’ultraconservatore Mohammed Yazdi che tuona: «Se Rohani e i suoi perseguiranno politiche ostili all’Islam saremo noi a occuparcene». Ovvero, se Khamenei non riesce a frenare Rohani e Zarif, potrebbe essere un altro ayatollah a farlo.

CORRIERE della SERA - Farian Sabahi : " Meglio con le sanzioni oppure senza? L’Iran di fronte al cambio di stagione "


Farian Sabahi

Farian Sabahi rappresenta la linea ufficiale del governo iraniano.
Come mai, sul Corriere della Sera, non viene mai dato spazio a voci diverse? Non leggiamo mai le opinioni dei dissidenti anti ayatollah ? Oltre ai molti imprigionati, ci sono gli esuli, il loro sarebbe un punto di vista interessante e utile a capire la realtà della teocrazia iraniana. Non sarebbero certo 'laudatores' come la signora Sabahi.
Ecco il pezzo:

Non sarà questo accordo semestrale a far scendere il prezzo del pane, e ci vorrà tempo per eliminare le sanzioni. A Teheran non è ancora business as usual , ma già si respira un cauto ottimismo. Per tre motivi. Il primo: dei petrodollari congelati all’estero, 400 milioni potranno essere usati per pagare le rette degli studenti (ottomila negli Usa, migliaia in Europa, Canada e Australia). Il secondo: la valuta locale ha recuperato il 5%. Il terzo: fino al 20 luglio il Tesoro americano rinuncia alle sanzioni contro le società che acquistano prodotti petroliferi e a Teheran vendono componenti per auto e metalli preziosi.
L’oro nero non è più sotto embargo, l’Iran Air potrà acquistare pezzi di ricambio per i Boeing comprati al tempo dello Scià. Ma la maggior parte delle sanzioni resta in vigore, soprattutto quelle contro la banca centrale e gli altri istituti finanziari. Come faranno allora gli iraniani a pagare, e a ricevere il compenso per il petrolio venduto? Resta poi da risolvere il problema dell’accesso ai farmaci occidentali, come quelli per combattere i tumori. Mentre la diplomazia cerca le soluzioni, qualcuno potrebbe però mettersi di traverso. Perché a guadagnarci dalle sanzioni sono molti, tant’è che nella capitale si contano almeno 500 nuove Porsche di contrabbando. Un esempio di nuovi ricchi? Il trentanovenne Babak Zanjani, arrestato per corruzione. Era un autista della banca centrale, è diventato miliardario con le triangolazioni di denaro, oro e petrolio, è finito sulla lista nera della Ue per aver aiutato ayatollah e pasdaran ad aggirare le sanzioni e il Tesoro americano ha congelato i suoi conti.
I pericoli arrivano anche da Washington: se il Congresso imporrà nuove sanzioni, i falchi di Teheran potranno dichiarare che il presidente Rohani non è in grado di difendere gli interessi della Repubblica islamica. La situazione è delicata. Il leader supremo non si fida dell’Occidente, tanto meno degli Usa che nel ‘79 abbandonarono lo Scià al suo destino. Per questo corre voce che il dossier nucleare possa essere trasferito al Consiglio di sicurezza nazionale.

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