Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Iraq: sciiti contro sunniti Analisi di Lorenzo Cremonesi
Testata: Corriere della Sera Data: 16 novembre 2013 Pagina: 17 Autore: Lorenzo Cremonesi Titolo: «Anbar, ill cuore offeso dell'Iraq sunnita tradito dal governo, scosso da Al Qaeda»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 16/11/2013, a pag.17, il reportage dall'Iraq di Lorenzo Cremonesi dal titolo " Anbar, ill cuore offeso dell'Iraq sunnita tradito dal governo, scosso da Al Qaeda".
DAL NOSTRO INVIATO RAMADI — Lo sceicco Ahmed Abu Risha ha piazzato il suo quartier generale nei saloni tutti marmi e specchi di due grandi ville fatte costruire da Saddam Hussein una ventina d’anni fa. Di fronte al parco ben curato scorrono le acque placide dell’Eufrate. Sulla riva cinque o sei jet-ski utilizzati dai giovani della sua tribù. Alle spalle, oltre i muraglioni massici alti sei metri sorvegliati dalle unità scelte della polizia locale, dominano senza soluzione di continuità i campi coltivati a cereali e la pianura piatta di Al-Anbar, il cuore pulsante dell’Iraq sunnita. «Non possiamo abbassare la guardia. In pochi anni sono stati assassinati ben 26 membri della mia famiglia. E piango ancora la morte di mio fratello Abdul Sattar, il 13 settembre 2007. Da allora sono io che devo occuparmi della difesa della nostra gente. Hanno già provato ad eliminarmi due volte con i kamikaze sulle auto-bomba. Tenteranno ancora», dice rispondendo di continuo alle chiamate che arrivano sui due telefonini. Il suo nome torna d’attualità per la prima volta in modo insistente dal ritiro del corpo di spedizione americano nell’agosto 2011. A soli 44 anni Ahmed Abu Risha incarna i dilemmi che attanagliano i sunniti iracheni oggi più che mai scossi dal rilancio del terrorismo qaedista in espansione dalla Siria, intimoriti dalla nuova legittimazione guadagnata dall’Iran sulla scena internazionale, messi alle corde dal governo del premier sciita Nouri al Maliki a Bagdad. «Siamo stretti tra l’incudine violenta di Al Qaeda e il martello dell’irredentismo sciita. L’unico modo per uscirne senza dividere il Paese è la nostra integrazione politica e militare nella macchina statale», spiega diretto. Ci riceve in occasione di un pranzo offerto ad alcuni dei capi tribù locali assieme ai pochi esponenti dell’universo sunnita che ancora siedono al parlamento. All’ordine del giorno la possibilità ventilata nelle ultime settimane di ricostituire i cosiddetti «Sahwa», i «Comitati del Risveglio», che tra il 2007 e 2008 videro l’organizzazione di milizie di autodifesa nelle regioni sunnite per combattere gli estremisti qaedisti grazie al massiccio aiuto americano. Abu Risha, che dopo la morte del fratello ereditò la dirigenza dei «Sahwa», è contrario. E tra la trentina di invitati l’opinione appare concorde: non si torna indietro. Ciò che valeva sei o sette anni fa non può più funzionare oggi. «Possibile che sul milione di uomini che compongono la nuove forze di sicurezza, solo il cinque per cento siano sunniti? Possibile che le bandiere delle brigate dell’esercito in pattuglia per Al Anbar portino tutte i simboli delle milizie sciite pagate dall’Iran?», tuona tra gli ospiti Rafi Al Issawi, della potente tribù degli Abu Issa, ministro delle Finanze dimissionario in protesta contro quella che definisce «la politica settaria pro sciita di Maliki». I richiami alla storia dell’Iraq moderno sono continui in questa cerchia di leader fieri, forti di antichi privilegi che oggi sentono calpestati, offesi. I loro avi furono portati in palmo di mano da ottomani e inglesi al danno della maggioranza sciita in nome del vecchio principio dei grandi imperi per cui si dà potere alle minoranze coese per dominare sulle popolazioni occupate. Lo stesso fecero i francesi in Siria con gli alauiti, che ora fanno quadrato attorno a Bashar Assad contro la maggioranza in questo caso sunnita. Si invertono i rapporti, ma la logica è la medesima. Il regime baathista di Saddam Hussein fece proprio quel retaggio coloniale, nascondendolo sotto il manto totalitario del nazionalismo iracheno, ma in effetti promuovendo i fedelissimi tra le élite sunnite ai posti chiave dello Stato. Oggi, tra i circa 32 milioni di iracheni, si calcola che i sunniti siano appena il 35 per cento, contro il 65 costituito dagli sciiti. «Le milizie di autodifesa sunnita funzionarono magnificamente sino alla fine del 2010. Allora parve finalmente innescato il processo di integrazione. Ma poi Maliki ci ha tradito. Sono scattati gli arresti di massa, è cresciuta la delegittimazione dei nostri politici con l’accusa falsa di terrorismo. Stavamo diventando partner nella gestione del dopo Saddam, ma in poco tempo siamo tornati paria», tuona Abu Risha. Suo fratello Mohammad, 24 anni, è ancora più duro: «Maliki avrebbe dovuto reclutare i nostri miliziani nell’esercito nazionale, ma, da quando se ne sono andati gli americani, li ha trasformati in banditi ricercati». Mohammad da febbraio scorso ha avuto il compito di organizzare le proteste sunnite. E' lui tra l’altro il fautore delle città di tende che periodicamente paralizzano il traffico sull’autostrada Bagdad-Amman. Si trovano presso Ramadi e non lontano da Falluja. La loro repressione ha contribuito a fomentare le ultime violenze: si calcolano oltre 6.000 morti dall’inizio dell’anno. Arrivando a Ramadi la strada sfiora il vecchio carcere di Abu Ghraib. Da qui sono fuggiti centinaia di pericolosissimi qaedisti (forse più di 1.000) in luglio. Il governo accusa: sono tornati ad ingrossare le file del terrorismo sunnita. Il pericolo ora è che possano contribuire a rinsaldare i legami tra qaedisti e maggioranza disillusa.
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