Un filmato recuperato dall’esercito israeliano durante le operazioni nella Striscia di Gaza mostra sei ostaggi israeliani mentre cercano di accendere le candele della festa di Hanukkah in un tunnel con scarso ossigeno. I sei ostaggi sono Hersh Goldberg-Polin, 23 anni, Eden Yerushalmi, 24 anni, Ori Danino, 25 anni, Alex Lobanov, 32 anni, Carmel Gat, 40 anni, e Almog Sarusi, 27 anni. Il filmato risale al dicembre 2023. Otto mesi dopo, il 29 agosto 2024, all’approssimarsi delle Forze di Difesa israeliane al tunnel sotto il quartiere di Tel Sultan, a Rafah (Striscia di Gaza meridionale), tutti e sei gli ostaggi furono assassinati con un colpo alla testa dai terroristi palestinesi.
Lettere 1941-1943, di Etty Hillesum recensione di Elena Loewenthal
Testata: Tuttolibri Data: 11 novembre 2013 Pagina: 5 Autore: Elena Loewenthal Titolo: «Verso Auschwitz con radiosa speranza»
Riportiamo da TUTTOLIBRI della STAMPA del 09/11/2013, a pag. V, l'articolo di Elena Loewenthal dal titolo " Verso Auschwitz con radiosa speranza ".
Etty Hillesum, Lettere 1941-1943, ed Adelphi, Elena Loewenthal
«Quando dal mondo saranno spariti i fili spinati verrai a vedere la mia camera, è così bella e tranquilla. Io trascorro delle mezze nottate alle scrivania, a leggere e a scrivere vicino alla piccola lampada. Ho qui circa 1500 pagine di diario dell’anno scorso e ora me le rileggo. Che ricca vita mi viene incontro da ogni pagina!». Etty Hillesum è ancora ad Amsterdam, nel settembre del 1942. Nemmeno due mesi dopo scriverà da Westerbork, il campo di raccolta e concentramento degli ebrei olandesi prima di essere diretti allo sterminio. Quasi tutte le sue lettere vengono infatti di lì, da quella specie di angosciosa e lunga anticamera di Auschwitz. Ora Adelphi le pubblica nella versione critica integrale. Ed è una lettura che spiazza, sconcerta, commuove. Come negli ormai celebri diari, c’è in lei un costante e inestricabile miscuglio fra perfetta lucidità su come stanno le cose e una radiosa, assurda speranza. Il suo sguardo sul campo, sulle deportazioni che a ritmo regolare si portano via masse di gente, è al tempo stesso pienamente consapevole di quello che sta accadendo eppure carico di una serenità che la fa tirare avanti e soprattutto la induce a scrivere. «Tutta l’Europa sta diventando pian piano un unico, grande campo di prigionia. Tutta l’Europa finirà per disporre di simili, amare esperienze. Sarà monotono se noi ci riferiremo scambievolmente i fatti nudi e crudi – le famiglie lacerate, le proprietà sottratte, le libertà perdute». E più avanti: «La mia penna stilografica non possiede accenti così efficaci da saper descrivere – sia pur nel modo più approssimativo – le deportazioni». Etty si vedrà portare via a poco a poco affetti, volti familiari. In queste lettere spedite a destinatari diversi parla molto del padre, della sua rassegnazione, della sua forza malgrado i problemi di salute, dello strazio che è stato separarsene. E’ un testo potente nel suo insieme, malgrado la discontinuità, malgrado non sia un epistolario coerente e piuttosto una serie di messaggi in bottiglia gettati attraverso il confine che separa il campo dal resto del mondo. Al campo, ad esempio, «si pronunciano paroloni…: frutta, pomodori e cose simili. Eppure non so se esistano ancora là fuori». Queste lettere vanno certamente accostate al diario: qui e là si ritrova Etty Hillesum in tutta la sua forza e dolcezza. Parla sempre tanto degli altri, poco di se stessa – il che negli epistolari in generale capita assai di rado. Leggendole viene in mente un altro libro recente, di grande forza. Colombe Schneck è una giornalista francese nata nel 1966. Quando aspetta il suo primo figlio, la madre le chiede di chiamarlo, se è femmina, Salomé: era il nome di una sua cugina morta piccolissima ad Auschwitz. In Le madri salvate (pubblicato di recente da Einaudi), Colombe parte alla ricerca di quel passato rimosso, e lo fa con rabbia, sconcerto, anche una disperazione assurda, così a posteriori. Il tono è così distante dalla pacatezza di Etty anche nei momenti di maggiore sconcerto: lei fa, e pensa agli altri in mezzo a quella bufera. A chi è venuto dopo è come se toccasse elaborare l’orrore quando ormai Etty tace. Ai primi di settembre del 1943 lei lascia il campo di Westerbork, «cantando – i vagoni merci non sono poi tanto male», scrive ancora in una cartolina postale ritrovata ai bordi della ferrovia.
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