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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
23.10.2013 Riprendono, purtroppo, i negoziati per l'ingresso della Turchia in Europa
Antonio Ferrari se ne rallegra e glissa sul fondamentalismo di Erdogan

Testata: Corriere della Sera
Data: 23 ottobre 2013
Pagina: 16
Autore: Antonio Ferrari
Titolo: «La Turchia accantona i sogni e torna a rivolgersi all’Europa»

Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 23/10/2013, a pag. 16, l'articolo di Antonio Ferrari dal titolo "La Turchia accantona i sogni e torna a rivolgersi all’Europa".


Antonio Ferrari                          Recep Tayyp Erdogan

Riprendono, purtroppo, i negoziati per l'ingresso della Turchia in Europa.
Se ne rallegra Ferrari che, evidentemente, non vede tutti i rischi connessi ad un'ipotetica adesione della Turchia all'Unione Europea.
Censura, repressione, islamizzazione della società, limitazione dei diritti dell'individuo, libertà di espressione ormai assente, velo alle donne. Questi sono i connotati della Turchia di Recep Erdogan. Non esiste 'democrazia islamica'. La Turchia non è come l'Arabia Saudita, certo, ma è quello il modello di riferimento.
Ferrari crede che in Turchia potrebbe scrivere ciò che gli pare nei suoi articoli? Può chiederlo ai giornalisti e scrittori processati per aver scritto delle frasi vagamente critiche nei confronti del regime.
Ma il cinismo di Ferrari traspare dalla sua descrizione delle violenze a Gezi Park : "
Le violenze, seguite alla decisione di distruggere il parco di Gezi, hanno infatti prodotto due esiti negativi: uno definitivo e nefasto, con la clamorosa bocciatura di Istanbul, favoritissima per organizzare l'Olimpiade del 2020; uno temporaneo, perché la ripresa dei negoziati con l’Ue è stata ritardata di cinque mesi". Gli 'esiti negativi' sarebbero lo stallo dei negoziati per l'ingresso in Europa e il fatto che Istanbul sia stata scartata come sede per le olimpiadi del 2020. Tutto qui. Le violenze sui manifestanti e le incarcerazioni non sono un 'esito negativo'. E il fatto che Erdogan abbia dimostrato di essere un dittatore islamico e non il campione di democrazia che tutti propagandavano non viene manco menzionato.
Per quanto concerne i rapporti con Israele, poi,  Ferrari scrive che " Con Israele, Erdogan si è lasciato trascinare dall’ira dopo il brutale assalto dei commandos di Tel Aviv alla flottiglia pacifista, con l’uccisione di nove cittadini turchi. Ma ora si scopre che i servizi segreti di Ankara avrebbero consegnato alla Siria i nomi di dodici agenti iraniani che lavoravano per il Mossad. Quindi, la grave crisi fra i due grandi alleati di Washington (appunto, Israele e Turchia) aveva probabilmente un retroscena di ripicche. ". In primo luogo la capitale di Israele è Gerusalemme, non Tel Aviv. Inoltre è stato largamente documentato che, a bordo della flottiglia, non c'erano pacifisti e 'cittadini turchi', ma terroristi. E ciò a cui miravano era raggiungere Gaza per sostenere Hamas nei suoi attacchi contro Israele.
Ecco l'articolo:

Nessuno può dire se si tratti o meno di una buona novella e se la volontà stavolta basterà a superare vecchi e nuovi ostacoli. Tuttavia è sicuro che i negoziati fra l’Unione Europea dei 28 Paesi membri e la Turchia, per promuovere quest’ultima al club di Bruxelles, riprenderanno all’inizio di novembre. L’annuncio ufficiale è stato preceduto, via twitter, dalla presidenza di turno lituana.
Era già stato solennemente deciso di scongelare le trattative, completamente paralizzate da tre anni, nello scorso mese di giugno. Ma l’ineffabile Ankara, che sembra maestra nel volersi fare del male, ha fatto di tutto per sabotare il clima propizio che si stava respirando. Le violenze, seguite alla decisione di distruggere il parco di Gezi, hanno infatti prodotto due esiti negativi: uno definitivo e nefasto, con la clamorosa bocciatura di Istanbul, favoritissima per organizzare l'Olimpiade del 2020; uno temporaneo, perché la ripresa dei negoziati con l’Ue è stata ritardata di cinque mesi.
Eppure la Turchia sa bene che, forse per la prima volta da molto tempo, è cresciuto il numero dei Paesi europei che sono pronti a sostenerla. Quantomeno si è assottigliato il numero dei contrari, pur sempre assai potenti. Però in questo momento, con la Ue ormai vicina alle elezioni che potrebbero portare al Parlamento comunitario una falange di euroscettici o addirittura di avversari dell’Unione, è più che mai necessario un salutare scossone. Uno scossone che riporti l’Europa al centro del dibattito politico continentale. Uno scossone utile anche alla Turchia, che dopo le avventure (non certo esaltanti) legate alla strategia di voler diventare un modello democratico per il mondo arabo, ha dovuto segnare il passo. Non è casuale che l’astuto premier Recep Tayyip Erdogan, da perfetto Giano bifronte della politica turca, dopo aver spremuto al massimo il ministro degli esteri Ahmet Davutoglu, alfiere dell’opzione orientale, è tornato a vezzeggiare l’uomo dell’opzione occidentale, Egemen Bagis, ministro per i rapporti con l’Unione Europea.
Come è noto da tempo, l’Ue ha bisogno di Ankara perché vuole essere contagiata dalla straordinaria crescita che si respira sul Bosforo. Mentre troppe Cassandre e forse qualche invidioso sostengono che il boom si sgonfierà rapidamente, la realtà mostra segnali diametralmente opposti. E’ però verissimo che la Turchia ha sempre bisogno di un quadro istituzionale di riferimento, che soltanto l’Unione Europea può garantirle e di cui ha assoluto bisogno per consolidare le riforme.
Per ora, ad essere sinceri, il negoziato per l’adesione, iniziato nel 2005, è sempre fermo ai blocchi di partenza. Sui 35 capitoli del contenzioso, ne sono stati aperti solo 13 e soltanto uno è stato chiuso. Poco, troppo poco, anche perché era svanita la volontà. Bruxelles, su pressione degli scettici (Francia e Germania soprattutto), continuava ad alzare l’asticella delle condizioni: pratica scorretta, perché imposta in corso d’opera. Ma anche Ankara non era da meno, lasciando intendere, a ogni ostacolo, che la Ue non era l’unica opzione, e che avrebbe trovato alternative regionali più disponibili e appaganti.
La storia ha già raccontato gli errori su entrambi i fronti. In politica estera, Erdogan ha preso più di un abbaglio. Si è avvinghiato all’Arabia Saudita, ma è stato poi abbandonato proprio sull’Egitto di Mohammed Morsi: Riad ha frettolosamente abbandonato il presidente defenestrato e si è schierata con i militari. Al contrario del premier turco. Con Israele, Erdogan si è lasciato trascinare dall’ira dopo il brutale assalto dei commandos di Tel Aviv alla flottiglia pacifista, con l’uccisione di nove cittadini turchi. Ma ora si scopre che i servizi segreti di Ankara avrebbero consegnato alla Siria i nomi di dodici agenti iraniani che lavoravano per il Mossad. Quindi, la grave crisi fra i due grandi alleati di Washington (appunto, Israele e Turchia) aveva probabilmente un retroscena di ripicche.
Anche per Ankara, par di capire, le avventure pericolose sono probabilmente finite. L’adesione all’Ue è di là da venire, ma almeno è un obiettivo sul quale si può tornare a lavorare.

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