L'Arabia Saudita è ben lungi dal meritare elogi, essendo una delle società più arretratre da ogni punto di vista. Se merita attenzione, questo deriva dai giacimenti di petrolio che ne fanno uno dei paesi più ricchi del mondo. Questa volta però un piccolo plauso lo merita. Il suo NO all'Onu, e la sua motivazione, è più che meritato, speriamo si apra un dibattito serio sulla sua funzione, essendo ormai una organizzazione dove gli Stati democratici non contano più nulla. Riprendiamo oggi 19/10/2013, dalla STAMPA l'articolo di Maurizio Molinari a pag.16 e dal CORRIERE della SERA a pag.59. quello di Guido Olimpio.
La Stampa- Maurizio Molinari: " Da Riad uno schiaffo all'Onu, il seggio non ci interessa"


Maurizio Molinari
L’Arabia Saudita rifiuta il seggio al Consiglio di Sicurezza dell’Onu per protestare contro le scelte compiute da Russia, Cina e Usa su Siria e Medio Oriente. Riad era stata eletta giovedì dall’Assemblea Generale ad uno dei cinque seggi non permanenti, con durata biennale, maierimattina a sorpresa si è tirata indietro. «Evitiamo di entrare nel Consiglio di Sicurezza fino a quando non farà fronte alle responsabilità nel mantenimento della sicurezza e della pace nel mondo» recita il comunicato del ministero degli Esteri saudita, avallato da re Abdallah. È un testo che fa trapelare lo scontento per le scelte del Consiglio di Sicurezza anzitutto sulla Siria Riad ha condannato in passato i veti di Mosca e Pechino a protezione del regime di Bashar Assad e ha contestato la scelta di Washington di rinunciare all’intervento militare in cambio del disarmo chimico. L’accento sulla Siria viene dal comunicato del Consiglio della Shura, emesso assieme alla rinuncia: «In Siria si muore ogni giorno, ogni ora e il mondo musulmano è irritato perché il Consiglio di Sicurezza non fa nulla». A conferma che è la Siria il casus belli, la Francia di Francois Hollande - favorevole all’intervento militare - ha espresso comprensione per Riad: «Condividiamo la loro frustrazione per la paralisi del Consiglio di Sicurezza». MentreMosca, alleata di Assad, si dice «sorpresa» accusando i sauditi di «non voler partecipare al lavoro della comunità internazionale in favore di pace e sicurezza». Al fine di rafforzare la legittimità del passo compiuto, Riad aggiunge nei confronti dell’Onu il «rimprovero» per l’«incapacità di agire per la pace inMedioOriente negli ultimi 65 anni» a causa di un «doppio standard» nelle decisioni adottate. In tal caso il destinatario dell’irritazione è Washington, che spesso ha protetto Israele con il veto, anche se l’ambasciatore saudita all’Onu, Abdullah al-Muallami, in un’intervista ad «Al-Hayat», precisa che i motivi delle tensioni con gli Usa riguardano Egitto e Iran. Riad non ha gradito il sostegno di Obama ai Fratelli musulmani dell’ex presidente Mahmud Morsi, ha protestato contro il taglio di aiutimilitariUsa alCairo e guarda con sospetto il riavvicinamento di Washington all’Iran sul nucleare. Il Dipartimento di Stato ha scelto di non commentare, nell’evidente imbarazzo di fronte alla rivolta del più stretto alleato arabo. L’unico precedente di un simile rifiuto risale al 1950 quando l’Urss per sei mesi rifiutò di sedersi nel Consiglio di Sicurezza per protesta contro Taiwan. Dopo la rinuncia saudita il gruppo di Asia- Pacifico dovrà ora designare un altro Stato.
Corriere della Sera-Guido Olimpio:" I sauditi rinunciano al seggio Onu contro la linea morbida sulla Siria"


Guido Olimpio
Il gesto è eccezionale e clamoroso. Ma anche ipocrita. L’Arabia Saudita ha rinunciato al posto di membro non permanente del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, seggio che aveva appena ricevuto. All’origine del rifiuto, teatrale, la gestione da parte delle Nazioni Unite della crisi in Siria. Per la monarchia servirebbe un’azione decisa contro il regime di Assad, qualcosa di ben diverso dalle risoluzioni «senza denti», incapaci di imporre un bel nulla al dittatore. In questi mesi gli strali dei sauditi hanno trovato molti bersagli. Intanto Russia e Cina, colpevoli di bloccare con il loro veto misure severe nei confronti di Damasco e alleate preziose del raìs. Di seguito le Nazioni Unite, ostaggio delle potenze e morbide davanti ai massacri compiuti dai soldati del raìs. Infine gli Stati Uniti, dopo la retromarcia del presidente Obama su un possibile blitz dopo l’uso delle armi chimiche da parte dell’esercito siriano. In passato, il regno ha sempre espresso il suo dissenso in privato, affidandosi a molti canali e intermediari discreti. Un doppio linguaggio e un doppio standard. Ora, invece, con la grande rinuncia — non sappiamo se irrevocabile — trasmette all’arena internazionale un messaggio pubblico e forte. Un’irritazione che si tramuta in un atto diplomatico senza precedenti. Certo. La rabbia dei principi con la kefiah si lega all’inconcludenza dell’Onu, al massacro di migliaia di civili in Siria, alla prudenza e ai voltafaccia degli occidentali, sempre timorosi nei confronti del conflitto. Un immobilismo colpevole, un approccio che certamente ha favorito Assad e prolungato le stragi. Però, lo sdegno saudita nasconde anche un obiettivo politico condiviso — tra le rivalità — con il Qatar: quello di installare nel Paese un potere di fede sunnita. Per questo gli sceicchi hanno versato fondi e comprato armi per sostenere molte fazioni ribelli siriane. Alcune accettabili, altre troppo vicine al qaedismo e con un’ideologia minacciosa. A Riad erano convinti di aver trovato la strada giusta per arrivare fino a Damasco, invece il cammino si è fatto più tortuoso.
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