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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa - La Repubblica Rassegna Stampa
07.10.2013 Il declino degli Usa
commenti di Maurizio Molinari, Moises Naim

Testata:La Stampa - La Repubblica
Autore: Maurizio Molinari - Moises Naim
Titolo: «Ma al vertice dell’Apec l’America è in seconda fila - La questione siriana e la rinascita di Putin»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 07/10/2013, a pag. 11, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Ma al vertice dell’Apec l’America è in seconda fila". Da REPUBBLICA, a pag. 1-22, l'articolo di Moises Naim dal titolo " La questione siriana e la rinascita di Putin ".


Ecco i due articoli:

La STAMPA - Maurizio Molinari : "  Ma al vertice dell’Apec l’America è in seconda fila"


Maurizio Molinari

I droni di Shinzo Abe, la visibilità della Firs tLady di Pechino e gli intoppi nel cerimoniale di John Kerry evidenziano al summit del Pacifico come l’America sia scivolata in secondo piano su un fronte diplomatico finora considerato prioritario dalla Casa Bianca. Nei colloqui bilaterali aimargini del vertice dell’Apec - fra i 21 Paesi del bacino del Pacifico - è il premier giapponese Abe a svettare, sostituendosi a Barack Obama nel garantire aiuti e protezione alle nazioni protagoniste di dispute marittime con Pechino. Abe promette aManila eHanoi forniture di motovedette per «tutelare i confini» e fa capire che presto userà i droni Usa nelle basi giapponesi per monitorare la Marina di Pechino. È unAbe determinato quello che preannuncia «nè cedimenti nè escalation con Pechino» tenendo in sospeso l’incontro a quattr’occhi con il presidente Xi Jinping. Il protagonismo diAbe punta ad arginare il «momento di Pechino», come i media indonesiani definiscono la popolarità di Xi all’Apec. Reduce da accordi commerciali per 30 miliardi di dollari con Giacarta, Xi guida la discussione del summit su investimenti e commerci, relegando la proposta Usa di una «partnership per il libero commercio» ad un tema secondario che sarà discusso a summit già concluso. Come se non bastasse Peng Liyuan, First Lady di Pechino, campeggia con il suo tailleur bianco sugli schermi delle tv asiatichemostrando uno stile premiato daimedia locali. Il duello a distanza fra Abe e Xi mette in risalto la debolezza del ruolo dell’America incapace di portare all’Apec il proprio presidente. A dire ciò che molti leader pensano è Lee Hsien Loong, premier di Singapore: «C’è grande delusione per l’assenza di Obama, preferiamo un’America dotata di un governo capace di operare e con un presidente in grado di rispettare gli obblighi internazionali ». Le conseguenze si ripercuotono sull’agenda del Segretario di Stato Usa, Kerry, più volte rimaneggiata a causa dei malumori indonesiani per il forfait di Obama. La simultanea presenza al summit anche di Michael Forman, Alto rappresentante al Commercio, e di Penny Prizker, ministro del Commercio, complica il lavoro già non facile del cerimoniale perché non è sempre certo quale ministroUsa debba andare ad un particolare evento. Il risultato è unKerry sulla difensiva, obbligato a ripetere di continuo che «dopo il summit andrò in Brunei, Malaysia e Filippine » per rimediare alle mancate tappe di Obama con una presenza complessiva di «quasi due settimane». Se Abe eXi duellano sull’equilibrio regionale, Kerry deve rispondere alle domande sullo «shutdown» limitandosi a recitare dietro le quinte un ruolo di sostegno alle mosse di Abe. Se a ciò si aggiunge che l’America è reduce da unmese di diplomazia sulla Siria terminato conl’avallo al piano russo di disarmo chimico non è difficile comprendere il nervosismo del Segretario di Stato. Anche sul dossier siriano, per via della roboante presenza di Vladimir Putin.Nel tentativo di modificare l’atmosfera, Kerry parlerà oggi, pronunciando il discorso che aveva promesso Obama. Ma anche in questo caso il cerimoniale indonesiano gli solleva contro obiezioni a raffica.

La REPUBBLICA - Moises Naim : " La questione siriana e la rinascita di Putin"


Moises Naim

Al punto n°6 del suo elenco, Naim sostiene che gli Usa sono diventati i primi produttori mondiali di petrolio, prima di Arabia Saudita e Russia e che questo cambierà il mondo. Non è ben chiaro in che modo. Può il petrolio rimediare ai disastri della politica di Obama?

Quali sono state le cose più sorprendenti che sono successe nel mondo negli ultimi tre mesi?
1. I siriani usano armi chimiche. Lo avevano già fatto, anche se su scala minore, ma ad agosto hanno assassinato 1.400 persone, tra cui centinaia di bambini. Le immagini di questo massacro sono spaventose e le sue conseguenze colossali. Il presidente Usa Obama aveva avvertito che di fronte all’uso di armi chimiche sarebbe stato costretto a reagire con durezza, eppure il regime siriano le ha usate. E Obama non è stato in grado di reagire e dimostrare al mondo che le minacce del capo della superpotenza mondiale non sono lettera morta. Putin, invece, a intervenire c’è riuscito eccome.
2. Putin rinasce. L’influenza internazionale del leader russo si era andata assottigliando: in pratica era rimasta solo Mosca, oltre all’Iran, a sostenere il governo siriano. L’uso di armi chimiche, la decisione del Parlamento britannico di non autorizzare incursioni armate in Siria e la sorprendente decisione di Barack Obama di sottoporre al Congresso – che sicuramente avrebbe detto no – la decisione di intervenire militarmente, hanno creato un’opportunità di cui Vladimir Putin ha saputo approfittare. E così abbiamo assistito alla sua sorprendente mutazione: da autocrate responsabile di sostenere un regime sanguinario che uccide i suoi cittadini, Putin si è tramutato nel leader che impedisce l’ennesima guerra in Medio Oriente. Qualcuno ha chiesto a Obama di restituire il premio Nobel per assegnarlo a Putin: una volta di più abbiamo la conferma che il realismo magico non è appannaggio esclusivo dell’America Latina.
3. Morsi esce di scena. Nel mondo di oggi è diventato più facile conquistare il potere, più difficile usarlo e più facile perderlo. Succede in tutti gli ambiti: dal Pentagono al Vaticano, dalle grandi banche — sì, le grandi banche — alle organizzazioni non governative più influenti. L’ex presidente egiziano Mohamed Morsi è un esempio perfetto in tal senso. Appena tre anni fa erano in pochi a pensare che i Fratelli musulmani potessero essere vicini alla conquista del potere. E invece è andata così e Morsi nel giugno del 2012, è stato eletto. Il neopresidente ha sbagliato a credere che la sua carica gli desse un potere superiore a quello che aveva in realtà, e il 3 luglio di quest’anno è stato rovesciato.
4. Rouhani entra in scena. Ha vinto le elezioni ed è diventato presidente dell’Iran in agosto. Alla fine di settembre, Hassan Rouhani ha parlato per telefono con Barack Obama: era la prima volta da 34 anni che i presidenti di Iran e Stati Uniti comunicavano direttamente fra loro. Perché proprio adesso? Sia l’elezione di Rouhani che la storica conversazione hanno una stessa spiegazione: le sanzioni. La comunità internazionale ha imposto all’Iran le sanzioni economiche più efficaci, sofisticate e devastanti della storia. Il popolo iraniano e molti esponenti della teocrazia al potere chiedono che si faccia qualcosa per ottenere la rimozione delle sanzioni che hanno messo al tappeto l’economia. «Fare qualcosa» in questo caso significa rinunciare al progetto di avere armi nucleari e negoziare con gli Stati Uniti. Anche se non lo ha mai detto in termini così espliciti, è stato questo il messaggio che ha consentito a Rouhani di vincere le elezioni. E questo è il messaggio che sta inviando attraverso le sue azioni come presidente. Per gli scettici, è solo l’ennesimo trucco di Teheran per guadagnare tempo e arrivare a produrre la bomba. Per altri, è un’opportunità che potrebbe cambiare il volto del pianeta. Presto sapremo chi ha ragione.
5. Il potere del Tea Party. Questa minoranza combattiva non ha la forza per imporre il suo programma radicale agli Stati Uniti: d’altronde, è stata sconfitta alle elezioni. Però ha abbastanza potere per bloccare le iniziative altrui: non solo quelle del presidente, che detestano, ma anche quelle dei loro leader più moderati all’interno del Partito repubblicano. E infatti, nonostante siano in pochi, sono riusciti a far chiudere l’amministrazione federale. E se dovessero riuscire anche a impedire l’innalzamento del tetto all’indebitamento del Governo di Washington, il Tea Party potrebbe provocare una crisi finanziaria mondiale che colpirà anche voi che state leggendo, in qualunque parte del mondo vi troviate. I Taliban, i pirati somali e il Tea Party sono tutti esempi dei «micropoteri » che pur non avendo la forza per sconfiggere i «macropoteri» sono in grado di rendere loro la vita impossibile.
6. La sorpresa americana. Il governo statunitense ha appena annunciato di essere diventato il più grande produttore di petrolio e gas naturale del pianeta, scalzando dalle prime posizioni l’Arabia Saudita e la Russia. È una notizia che cambierà il mondo.

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