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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa - Corriere della Sera - Il Foglio Rassegna Stampa
01.10.2013 Iran nucleare: Bibi Netanyahu frena l'entusiasmo di Barack Obama
Un errore prendere sul serio Rohani. Cronache di Maurizio Molinari, Daniele Raineri. Intervista a Shirin Ebadi di Viviana Mazza

Testata:La Stampa - Corriere della Sera - Il Foglio
Autore: Maurizio Molinari - Viviana Mazza - Daniele Raineri
Titolo: «Netanyahu frena Obama: l’Iran vuole distruggerci - Rohani? Bravo a parlare, ma la svolta è lontana - Clausole nucleari»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 01/10/2013, a pag. 15, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Netanyahu frena Obama: l’Iran vuole distruggerci ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 16, l'intervista di Viviana Mazza a Shirin Ebadi dal titolo " Rohani? Bravo a parlare, ma la svolta è lontana". Dal FOGLIO, a pag. 4, l'articolo di Daniele Raineri dal titolo " Clausole nucleari ".

Le dichiarazioni di Bibi Netanyahu sono state riportate su tutti i quotidiani italiani. Alcuni, come l'Unità, hanno puntato maggiormente le titolazioni sulle rassicurazioni che Obama avrebbe offerto a Netanyahu. Altri, come La Stampa, sulle dichiarazioni di Netanyahu.
Segnaliamo la titolazione del CORRIERE della SERA, che recita "Il pressing di Israele su Obama". Pressing? Gli ayatollah stanno costruendo indisturbati un ordigno nucleare, mentre Rohani distribuisce sorrisi e Obama tende la mano per il dialogo. Israele è l'unico Stato che continua a vedere la situazione in maniera chiara e lucida. Con Rohani non è cambiato nulla, lo sostiene anche Shirin Ebadi nell'intervista rilasciata a Viviana Mazza e ripresa in questa pagina di IC.
Ecco i pezzi:

La STAMPA - Maurizio Molinari : " Netanyahu frena Obama: l’Iran vuole distruggerci "


Maurizio Molinari   Bibi Netanyahu con Barack Obama

Benjamin Netanyahu porta alla Casa Bianca i timori di Israele per il riavvicinamento UsaIran e Barack Obama tenta di fugarli assicurando che «non ci bastano le parole di Teheran, servono azioni» sul blocco del programma nucleare.

Nello Studio Ovale, il premier israeliano e il presidente americano vestono in maniera identica - completo scuro, camicia bianca e cravatta celeste - e parlano con il tono dei vecchi amici, ma fra loro c’è tensione perché la telefonata di Obama al presidente iraniano Hassan Rohanì ha colto di sorpresa Gerusalemme. «La priorità è impedire all’Iran di arrivare all’atomica», esordisce Netanyahu, sottolineando che «persegue l’eliminazione di Israele» e «deve smantellare il programma nucleare militare». E al fine di arginare il dialogo Usa-Iran aggiunge: «Se l’Iran è tornato a negoziare è solo grazie alle sanzioni e alla credibile minaccia della forza». «Per ottenere risultati diplomatici tali pressioni devono continuare - aggiunge il premier - e se dovessero accelerare verso la bomba le sanzioni dovranno aumentare».

Il tentativo è convincere Obama a non cambiare approccio a Teheran. È una richiesta che accomuna Gerusalemme a molti dei più stretti alleati arabi di Washington, a cominciare dall’Arabia Saudita. A descrivere lo schieramento sunnita-israeliano che ha vissuto come «uno shock» la conversazione Obama-Rohanì è il giornale arabo «A-Sharq A-Awsat», molto vicino alla monarchia wahabita, enumerando «Paesi del Golfo, Giordania, Turchia, Israele e altri». Turki al-Faisal, ex capo dell’intelligence saudita, aggiunge: «L’Iran nucleare minaccerà l’invio di petrolio all’Occidente aumentando i rischi di guerra».

Il fatto che un premier israeliano esprima nello Studio Ovale posizioni e preoccupazioni che lo accomunano con l’Arabia Saudita - rivale storico nei rapporti con l’America - dà la misura degli sconvolgimenti in atto in Medio Oriente. Obama ne sembra consapevole. «Viviamo tempi febbrili e in Medio Oriente è più vero che in qualsiasi altro luogo», dice il presidente, scegliendo sull’Iran un linguaggio teso a rassicurare non solo Netanyahu, ma anche lo schieramento sunnita acerrimo rivale strategico dell’Iran sciita.

«Le parole di Teheran non bastano, abbiamo bisogno di azioni concrete», dice Obama, ribadendo di essere «personalmente impegnato a impedire che l’Iran abbia l’atomica». «Spero in una soluzione diplomatica - aggiunge -, ma nessuna opzione è esclusa», dunque neanche quella militare. «Iniziamo a negoziare con l’Iran con gli occhi bene aperti promette Obama -, imporremo sul nucleare criteri di verifica molto alti in cambio della riduzione delle sanzioni». È l’impegno ad una trattativa «dura, non facile» la carta che Obama gioca per tranquillizzare gli alleati israeliani e sunniti. In tale cornice parla anche della Siria, «dove l’impegno comune è eliminare le armi chimiche», e dell’Egitto, «perché siamo impegnati ad avere relazioni costruttive» con i nuovi governanti.

Durante il pranzo che segue il colloquio, Obama affronta con Netanyahu il tema spinoso del negoziato con i palestinesi che stenta a decollare. Poche ore dopo tocca al Segretario di Stato John Kerry incalzare l’alleato chiedendogli di sbloccare l’impasse. Anche di questo parlerà oggi Netanyahu intervenendo dal podio del Palazzo di Vetro.

CORRIERE della SERA - Viviana Mazza : " Rohani? Bravo a parlare, ma la svolta è lontana "


Viviana Mazza    Shirin Ebadi

Shirin Ebadi è cauta. Il discorso pronunciato dal nuovo presidente iraniano Hassan Rouhani a New York, la sua storica telefonata con Obama dopo 34 anni di tensione tra Washington e Teheran, insieme ad alcune aperture in patria come il rilascio dal carcere di Nasrin Sotoudeh (avvocatessa che difese la stessa Ebadi) hanno acceso speranze di cambiamento sia per i rapporti tra i due Paesi che sul fronte interno. Ma non sono ancora delle «vere svolte» agli occhi della prima donna iraniana (e prima musulmana nel mondo) che, per il suo coraggio nella lotta per la democrazia e i diritti umani, ha ricevuto nel 2003 il Premio Nobel per la Pace. Ebadi, che è stata anche la prima vincitrice del Nobel a vederselo confiscare, nel 2009, dalle autorità del suo Paese, nota pure tuttavia che l'Iran sta manifestando oggi una volontà inedita di comunicare con l'Occidente. Anche dal 1997 al 2005 la Repubblica islamica ha avuto un presidente, Mohammad Khatami, che prometteva il dialogo tra civiltà e le riforme interne, ma gli mancò l'appoggio decisivo della Guida Suprema. Oggi, invece, forse qualcosa è cambiato: secondo Shirin Ebadi, «le sanzioni economiche hanno fatto capire al regime che l'Iran non è un'isola».
Che speranze le danno i discorsi e le azioni di Rouhani perla ripresa dei rapporti tra gli Stati Uniti e l'Iran?
«Il suo discorso all'Assemblea Generale dell'Onu, contrariamente ai discorsi di Ahmadinejad, è stato cortese, saggio, e privo delle affermazioni ridicole e offensive dell'ex presidente che si proclamava il capo del mondo. Ma non vuol dire che, nei contenuti, questo discorso abbia presentato una posizione del governo iraniano molto diversa da quella precedente. Personalmente, mi ha fatto molto felice che i presidenti degli Stati Uniti e dell'Iran abbiano parlato per telefono. Ma è troppo presto per prevedere la ripresa dei rapporti, anche perché, nelle parole che si sono detti, non si leggono i segnali di una vera svolta. C'è la voglia di superare le ostilità, solo questo si può dire, ma finché non si risolve la questione dell'energia nucleare, non a parole ma in pratica, non possiamo aspettarci un vero cambiamento».
Il linguaggio di Rouhani è parso a volte ambiguo o perlomeno è stato interpretato diversamente dai media In patria e all'estero.
«Sia in Iran che in Israele e in America ci sono quelli che non vogliono la ripresa dei rapporti politici tra Teheran e Washington, e fanno di tutto: mandano messaggi ambigui, li riportano in modo distorto o interpretano a proprio modo i discorsi perché non hanno interesse che le cose migliorino».
Sul fronte interno, come giudica le aperture di Rouhani, a partire dalla recente liberazione di attivisti come Nasrin Sotoudeh? Si tratta di una svolta per i diritti umani?
«Assolutamente no. Sono state liberate 11 persone, 9 delle quali avevano già scontato la condanna e al massimo tra uno o due mesi avrebbero dovuto essere rilasciate. Nasrin Sotoudeh, invece, doveva scontare altri tre anni di carcere: ma quando l'hanno liberata, anziché consegnarle una lettera scritta in cui si dichiara ufficialmente che ha completato il suo periodo di reclusione, le hanno detto soltanto a parole che non dovrà tornare in prigione. Un'affermazione puramente verbale come questa non vale nulla: possono arrestarla di nuovo quando vogliono. Non è per niente una svolta peri diritti umani».
Stavolta, rispetto ai tempi del presidente Khatami, c'è un'intenzione più seria da parte della Guida Suprema Ali Khamenei di arrivare ad un dialogo con i nemici esterni?
«Sì, infatti ai tempi di Khatami se qualcuno parlava della ripresa dei rapporti politici e del dialogo con gli Stati Uniti, veniva accusato d'essere una spia dell'Occidente. Ma le sanzioni economiche hanno fatto capire al regime che la politica precedente non era corretta, e che l'Iran non è un'isola, non è isolato dal resto del mondo. Hanno fatto capire che bisogna riprendere i rapporti con l'Occidente, e anche con gli Stati Uniti. È per questo che Rouhani stavolta ha avuto la mano più libera per agire come ha agito».
Sono le sanzioni a costringere l'Iran ad aprirsi al dialogo? Cosa pensa del loro effetto sia sui vertici del regime che sulla popolazione in questi anni?
«Sì, le sanzioni hanno danneggiato sia il regime che il popolo. Però è chiaro che il danno più serio è stato fatto alla popolazione: hanno causato una povertà estrema nel Paese».

Il FOGLIO - Daniele Raineri : " Clausole nucleari "


Daniele Raineri, Amos Yadlin ex comandante dell’intelligence militare israeliana

Roma. Amos Yadlin era il comandante dell’intelligence militare israeliana, si è ritirato dal servizio attivo nel 2010 e i giornali nazionali scrivono che le sue analisi sono “rispettate”. Due giorni fa ne ha scritta una per spiegare come dovrebbe essere il patto sul nucleare tra americani e iraniani visto dal punto di vista di Israele – se davvero quel patto ci sarà, come fanno pensare le aperture diplomatiche recenti tra Washington e Teheran. L’analisi è stata pubblicata dall’Institute for National Security Studies di Tel Aviv alla vigilia dell’arrivo alla Casa Bianca e poi alle Nazioni Unite del premier israeliano, Benjamin Netanyahu, che ieri ha avvertito il presidente americano Barack Obama sui pericoli dei “discorsi soavi” degli iraniani e ha ribadito che la linea di Israele non cambia: l’Iran non deve avere la bomba atomica. Prima dell’analisi un preambolo. Il 30 agosto il generale Yadlin apparve su Channel 2 della tv israeliana e disse che il presidente siriano Bashar el Assad aveva un’unica possibilità per salvarsi dall’imminente strike degli americani: trasferire e distruggere l’arsenale chimico con l’aiuto del presidente russo Vladimir Putin. Erano i giorni in cui le navi da guerra americane si avvicinavano alle coste della Siria e a quel punto le bombe sembravano inevitabili. Dieci giorni dopo, però, le cose sono andate come anticipate da lui. Yadlin sostiene che un accordo tra l’Amministrazione Obama e Teheran che congelasse il programma iraniano al livello attuale sarebbe pessimo: ci sono più di diecimila centrifughe attive anche se di vecchio tipo, più altre centrifughe moderne con capacità di produzione maggiore e già abbastanza materiale – se fosse ulteriormente arricchito a grado militare – per produrre da sette a nove bombe nucleari. Bloccare le cose come stanno adesso, con il sito atomico di Fordo in funzione, concederebbe una piattaforma ottima per avere la bomba in qualsiasi momento nel caso l’Iran decidesse di ritirarsi dal patto. Un patto così – scrive Yadlin – dovrebbe essere considerato inaccettabile e si dovrebbe riportare Teheran indietro, a una fase più arretrata. L’accordo sul nucleare dovrebbe essere costruito in modo da non lasciare troppe scappatoie laterali agli iraniani, che sono maestri in fatto di negoziati, e quindi dovrebbe avere una data di scadenza certa, dice l’analisi. “L’Iran potrebbe ricorrere di nuovo a tattiche ritardanti che ha già dimostrato di conoscere e intanto guadagnare tempo per portarsi avanti in altri modi: mettere in funzione altre centrifughe per arricchire uranio, lavorare a un’arma alternativa che usi il plutonio, progredire sul problema della testata missilistica. Le controparti degli iraniani devono essere altrettanto abili. A dispetto di tutta la moderazione esibita, finora non hanno concesso nulla: sono esperti nel prendere senza dare e per ora sono sulle solite posizioni di sempre, anche se con retorica meno dura”. Uno dei punti più importanti per il generale israeliano è allargare la distanza tra l’Iran e la bomba atomica, nel caso Teheran dovesse annullare unilateralmente l’accordo, espellere gli ispettori, ritirarsi dal Trattato di non proliferazione delle armi nucleari oppure agire di nuovo in clandestinità. Per fare questo l’America dovrebbe proporre parametri che lascino un margine di sicurezza: un numero limitato di centrifughe, arricchimento dell’uranio sotto la soglia del 3,5 per cento, la rimozione dall’Iran di tutto il combustibile arricchito e il suo ritorno soltanto in una forma che non possa essere usata per scopi militari. “E’ necessario sapere fin dall’inizio che l’accordo potrebbe essere abrogato unilateralmente dall’Iran – scrive Yadlin – come accadde al ‘congelamento’ del programma stipulato nel 2003”. Il capo negoziatore con gli europei allora era Hassan Rohani, ora diventato presidente dell’Iran e volto buono di questa fase di dialogo.

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