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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa - Corriere della Sera Rassegna Stampa
30.09.2013 Siria: Assad resta dov'è, il successo di Putin
cronache di Giordano Stabile, Francesco Semprini, Fabrizio Dragosei

Testata:La Stampa - Corriere della Sera
Autore: Giordano Stabile - Francesco Semprini - Fabrizio Dragosei
Titolo: «Assad: 'Sui gas rispetterò gli accordi' - L’opposizione 'balcanizzata' aumenta le chance del raiss - Putin disinnesca la bomba siriana per disarmare l' 'Emiro' del Caucaso»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 30/09/2013, a pag. 16, l'articolo di Giordano Stabile dal titolo " Assad: 'Sui gas rispetterò gli accordi' ", l'articolo di Francesco Semprini dal titolo " L’opposizione “balcanizzata” aumenta le chance del raiss ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 34, l'articolo di Fabrizio Dragosei dal titolo " Putin disinnesca la bomba siriana per disarmare l' «Emiro» del Caucaso ".
Ecco i pezzi:

La STAMPA - Giordano Stabile : " Assad: 'Sui gas rispetterò gli accordi' "


Bashar al Assad intervistato da Monica Maggioni (Rainews24)

Ha anche accennato, per la prima volta dalla scoppio della guerra civile, alla possibilità di dimettersi. «Se servisse a migliorare la situazione». Ma non servirà. Bashar al Assad resta al suo posto. Per lo meno fino alle elezioni presidenziali del prossimo anno, se mai ci saranno. E senza la paura di essere cacciato con la forza.

Dopo di anni di assedio, di disfatte e controffensive, di momenti terribili con i proiettili di mortaio che cadevano nel cortile del palazzo presidenziale, il raiss è apparso tranquillo. Nell’intervista rilasciata al direttore di RaiNews24 Monica Maggioni, era più rilassato che in precedenti colloqui con media occidentali, come con la Cnn, quasi sciolto. La svolta nei rapporti fra UsaIran, l’accordo all’Onu per una risoluzione che lo disarma sì del suo arsenale chimico, ma non fa cenno a un suo eventuale sacrificio politico, sono nuove frecce al suo arco, pericoli scampati, se non vittorie nette.

Assad si rivolge all’Occidente, e in particolare all’Europa, visto l’interlocutore. Prima sulle armi chimiche. «Rispetteremo gli accordi - conferma -. E le nostre forze armate, naturalmente, garantiranno l’incolumità agli ispettori Onu che dovranno procedere all’identificazione e alla distruzione delle armi». Il pericolo semmai viene dai «terroristi», cioè l’opposizione armata che controlla vaste aree del Paese, che sono «pronti a porre qualunque ostacolo» per impedire il trasferimento degli stock. Colpa loro, dunque, se non riuscirà a mantenere l’impegno di distruggere l’arsenale entro il 2014.

E colpa dei terroristi sono anche le terribili stragi con i gas, in particolare quella del 21 agosto nel sobborgo di Ghouta a Damasco, che ha portato Assad sull’orlo di essere spazzato via dai raid franco-americani: «L’esercito non ha mai usato armi chimiche - ribatte alle accuse il raiss -. Nessuno può averlo fatto senza il mio consenso, la procedura è molto rigida, le armi sono custodite dalle unità speciali». Dunque i colpevoli sono gli estremisti, le falangi che seguono l’ideologia di Al Qaeda e che hanno «colonizzato l’opposizione», insiste il raiss.

Un mondo lontanissimo dall’Occidente, sottintende. Con cui è impossibile dialogare, anche per noi. Mentre lui, il presidente siriano, può accogliere la giornalista nel salone tappezzato di libri del palazzo, senza imporre veli o altre limitazioni coraniche, indossando un completo all’occidentale. Un interlocutore credibile, come in fondo lo era stato fino al 2011, prima della primavera araba.

Ma le concessioni non sono infinite. Di fronte all’ipotesi di una forza di interposizione, di una missione dei Caschi blu, lo sbarramento è netto: «Non funzionerebbe, questa non è una guerra fra due Stati, non c’è una linea di demarcazione precisa». Sulla conferenza di pace, la Ginevra 2, altri paletti: «Qualunque partito può partecipare, ma non Al Qaeda».

Benvenuto a Ginevra è invece l’Iran. Anche perché il nuovo dialogo con gli americani, «se sono sinceri», porterà a buoni risultati in tutta la regione. Chi non potrà «svolgere un ruolo», nella visione del raiss, è la maggior parte dei Paesi europei: «L’Europa ha tagliato i rapporti e non può parlare di credibilità». Insomma, i giochi saranno condotti da Stati Uniti, Russia e Iran, con lui saldamente in sella. Uno scenario ottimista, dal suo punto di vista, ma a questo punto abbastanza realistico.

La STAMPA - Francesco Semprini : " L’opposizione “balcanizzata” aumenta le chance del raiss "


Ribelli con la bandiera di al Qaeda

Moderati contro estremisti, moderati contro moderati, estremisti contro estremisti. È la guerra di tutti contro tutti quella che sta balcanizzando l’opposizione siriana, un conflitto nel conflitto che pesa sulle sorti del Paese e mina la tranquillità delle diplomazie occidentali. La conferma è giunta la scorsa settimana all’Onu in occasione della visita di Ahmad al Jarba, capo della Coalizione nazionale siriana. Il leader ha mostrato tutta la sua abilità nel dribblare domande spinose sullo stato di salute della sua coalizione, definita «una bomba a orologeria».

In parte già esplosa, perché proprio mentre Al Jarba tentava di farsi pubblicità al Palazzo di Vetro, in Siria tredici gruppi ribelli ripudiavano la sua coalizione. Tra questi alcuni di quelli che gravitano nella galassia qaedista come il Fronte Al Nusra e Ahrar al Sham. I tredici affermano di non sentirsi rappresentati da organizzazioni «formate all’estero che non siano tornate nel Paese», come appunto la Coalizione nazionale siriana, e fanno appello a «tutti i gruppi civili e militari perché si uniscano in un contesto musulmano fondato sulla Sharia». «Al Nusra e gli altri estremisti non sono mai stati considerati parte della Coalizione - sostiene al Jarba -. Con loro non c’è nessun dialogo».

Il punto è che gli scissionisti non sono solo jihadisti, basti pensare che tra i tredici c’è anche Liwa al-Tawhid, una delle principali forze sul terreno nella provincia settentrionale di Aleppo, che fa parte dell’Esercito di liberazione siriano. I «puristi» siriani, insomma, non vogliono avere nulla a che fare con uomini piazzati lì da Paesi come Arabia saudita, Qatar e Turchia, i finanziatori principali della rivolta sunnita contro il regime alawita e filo sciita di Assad.

C’è poi la questione dei curdi, ancor meno contenti di vedersi comandati da «mercenari», o tanto meno da jihadisti. «Per quanto riguarda questi gruppi ha detto al Jarba - tornerò in Siria e cercherò di capire cosa è successo, lavorando per una ricomposizione in vista della conferenza di Ginevra 2». Certo le cose non vanno meglio nemmeno tra gli estremisti visto che l’esercito del Califfato d’Iraq e d’Oriente (Isis), la formazione considerata più estremista di tutte ha dichiarato guerra ad Al Nusra. Sembra, ma è ancora tutto da verificare, che avrebbero anche emesso una fatwa nella quale autorizzano i militanti a violentare le mogli dei combattenti della formazione rivale. In questa anarchia, a Ginevra 2, con Assad in spolvero dopo la resa degli arsenali, i ribelli rischiano di arrivare a pezzi.

Servirebbe l’intervento proprio dell’Arabia Saudita sollecitata dalle democrazie occidentali. In ballo c’è però l’Iran determinato a partecipare come negoziatore alla conferenza di metà novembre, specie dopo la svolta distensiva di Hassan Rohani. Il punto è che Riad non ne sarebbe affatto contenta e l’ipotesi degli occidentali di ammettere Teheran solo come osservatore rischierebbe di soffiare contro la ventata distensiva del presidente iraniano.

CORRIERE della SERA - Fabrizio Dragosei : " Putin disinnesca la bomba siriana per disarmare l' «Emiro» del Caucaso "


Vladimir Putin

La Russia festeggia il successo della sua iniziativa per disinnescare l'attacco militare al regime di Assad, ma non è affatto tranquilla per quanto potrà accadere in Siria. Il risultato di non far passare il principio di un'ingerenza esterna, anche se «umanitaria», negli affari di un altro Paese è stato portato a casa. E sappiamo quanto questo interessi Mosca (e Pechino) che da sempre teme lo scoppio di una rivoluzione in patria (su modello di quelle georgiana e ucraina) accompagnata da un appoggio americano, magari «umanitario».
Ma c'è un altro aspetto, assai più grave, che per il Cremlino costituisce una questione di sicurezza nazionale: la presenza in Siria di una folta pattuglia di combattenti islamici provenienti proprio dalla Russia. Una vittoria del fronte anti-Assad, e quindi anche dei «russi» che ne fan parte, avrebbe conseguenze immediate in patria, soprattutto nell'instabile Caucaso. Recentemente vari gruppi di combattenti ceceni, daghestani, ingusci e musulmani osseti, tutti veterani delle guerre cecene, dell'Iraq e della Libia, si sono uniti in una formazione chiamata Jeish Mujahirin va Ansar (Jma) guidata da un comandante giordano-ceceno, Abu Umar Al-Shishani, che iniziò la sua lotta contro i russi addirittura in Afghanistan. I combattenti «russi» hanno avuto la benedizione del capo della guerriglia cecena in patria, quel Doku Umarov che si definisce emiro del Caucaso e punta alla creazione di uno califfato indipendente da Mosca che imponga la sharia. «Sono almeno quattrocento combattenti», ha affermato il vice capo dell'Fsb, il servizio segreto russo. E il presidente Putin ha aggiunto: «Non vengono dal nulla e non finiranno nel nulla». Vale a dire che l'esperienza fatta in Siria verrà messa poi in pratica in altri Paesi. Soprattutto in Russia, dove gli estremisti islamici hanno annunciato l'intenzione di «scatenare l'inferno» in occasione delle Olimpiadi invernali che si terranno l'anno prossimo a Sochi, a ridosso del Caucaso. Sostenere Assad fino alla fine, dunque. E non solo per mantenere fede a una storica alleanza: finché combatteranno in Siria, i mujaheddin ceceni non torneranno a casa.

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