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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio-La Repubblica Rassegna Stampa
28.09.2013 Iran all'Onu: vince Neville Chamberlain
Editoriale del Foglio, cronaca di Federico Rampini

Testata:Il Foglio-La Repubblica
Autore: Editoriale del Foglio-Federico Rampini
Titolo: «Il punto più basso della diplomazia- Obama telefona a Rohani, primo colloquio diretto dal '79, è svolta tra Stati Uniti e Iran»

Onu, vince lo spirito di Neville Chamberlain. Rohani viene creduto sulla parola, per la Siria non occorrono fatti, tutti scrivono che è arrivata una svolta.  E' il trionfo del wishful thinking, l'illusione, il pio desiderio che le cose vadano come uno vorrebbe, poco importa la realtà, meglio ignorarla.
Puublichiamo dal FOGLIO di oggi, 28/09/2013, a pag.3, con il titolo "Il punto più basso della diplomazia". Da REPUBBLICA, a pag.14, la cronaca di Fededico Rampini.

Obama & Rohani, quello a destra ha buoni motivi per essere allegro

Il Foglio-Editoriale: " Il punto più basso della diplomazia"

  

 Rohani, Letta, Bonino

C'erano anche Enrico Letta e Emma Bonino,   l'Italia non conta niente ma è dappertutto. Il desiderio del nostro Ministero degli Esteri si è avverato, nessuno osa più mettere le dita negli occhi dell'Iran, ecchediamine !

Ecco l'editoriale del Foglio:

Non fosse che siamo storditi dal cinico realismo che arriva dalle stanze della Casa Bianca, il cuore ci si stringerebbe a vedere Samantha Power, ambasciatrice americana all’Onu, che festeggia un accordo con i russi per la risoluzione sulle armi chimiche siriane (i russi non riconoscono le prove dell’Onu, e ieri ne sono arrivate di nuove, di altri attacchi, e le violenze continuano in Siria). Lei sa che è un bluff, che Bashar el Assad è e rimarrà impunito, che una risoluzione che non prevede conseguenze in caso sia violata è una risoluzione senza potere, che come scrive il Monde s’è fatto come volevano i russi. La Power lo sa, e sa che resterà testimone di un crimine che ancora una volta l’America non ha voluto punire, nonostante il gran vociare e l’imperativo morale che, non si sa come, è arrivato e sfumato nel giro di una decina di giorni. La Power lo sa, è esperta di genocidi e diritti umani: ma deve tacere, perché Barack Obama ha fatto un calcolo preciso e a quello bisogna attenersi. La crisi siriana sarà risolta per vie diplomatiche: garantiscono i russi che l’arsenale chimico sarà depotenziato e distrutto, in nove mesi non ci sarà più, ma se poi qualcosa dovesse andare storto, ci si ritroverà all’Onu a discuterne: il Cremlino non voleva che fosse incluso l’uso della forza nel caso la risoluzione non fosse ottemperata, e l’uso della forza non c’è. L’opinione pubblica vuole così, e vuole anche piantarla con la paura della Bomba iraniana, vuole che quel presidente con l’aria da nonno, Rohani, venga accolto e ascoltato. Obama viaggia sul 43 per cento della popolarità, se la sua immagine sgualcita si salva così, anche Samantha si volta dall’altra parte.

La Repubblica-Federico Rampini: " Obama telefona a Rohani, primo colloquio diretto dal '79, è svolta trta Stati Uniti e Iran "


Federico Rampini

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
NEW YORK
— Il ghiaccio è rotto. Per la prima volta in 34 anni, l’America e l’Iran si parlano al massimo livello. Lo rivela Barack Obama per primo, annunciando: «Ho chiamato io al telefono Hassan Rohani». Pochi minuti e arriva la conferma dal leader di Teheran, via Twitter: «E’ il primo contatto diretto dal 1979». Tra i due c’è spazio perfino per lo scambio di cortesie poliglotte. «
Have a nice day
», ha detto Rohani in inglese. «
Khodahfez
», gli ha risposto Obama in persiano («Dio sia il tuo custode »), dopo essersi scusato per il «terribile traffico di New York» durante l’assemblea Onu. Quando annuncia la clamorosa telefonata, parlando alla stampa, Obama è fiducioso: «Adesso un accordo onnicomprensivo tra di noi è possibile».
La svolta è storica, conferma i primi segnali di disgelo che i due si erano lanciati qui a New York. Parlando al Palazzo di Vetro martedì, Obama aveva salutato con ottimismo la “moderazione” del neopresidente iraniano. Aveva riconosciuto come legittimo il desidero del suo popolo di dotarsi dell’energia atomica a scopi civili. Aveva espresso la speranza che ai primi segnali concilianti di Teheran possa seguire un vero accordo. La posta in gioco: ottenere garanzie credibili che l’Iran non voglia costruirsi una bomba atomica, che destabilizzerebbe gli equilibri strategici in Medio Oriente minacciando anzitutto due alleati strategici dell’America come Israele e Turchia. A questo fine Obama aveva annunciato pubblicamente all’Onu il primo
passo verso il ristabilimento di normali relazioni diplomatiche: «Ho incaricato il segretario di Stato John Kerry di avviare un dialogo bilaterale». Le due nazioni hanno rapporti diplomatici quasi inesistenti dai tempi della crisi degli ostaggi americani a Teheran, che seguì la cacciata dello Scià, nell’anno 1979.
Poche ore dopo quel discorso di Obama, era arrivata la replica di Rohani sempre al Palazzo di vetro. E con messaggi altrettanto incoraggianti. Rohani aveva espresso l’auspicio di un accordo sul nucleare «in tempi rapidi, dai tre ai sei mesi». Poi, in un’intervista alla
Cnn,
aveva fatto un passo dall’alto valore simbolico denunciando l’orrore dell’Olocausto. Un’evidente rottura rispetto al suo predecessore Ahmadinejad
che invece professava il negazionismo. Le grandi manovre avviate all’assemblea Onu non si erano concretizzate in una stretta di mano fra i due. La delegazione americana ci
aveva provato, gli iraniani avevano preferito soprassedere. C’era già troppa carne al fuoco, e da Teheran arrivavano messaggi ostili dalle fazioni più radicali del regime, per prevenire l’avvicinamento agli Stati Uniti.
Ma è stata solo questione di tempo. Pur senza incontrarsi in un faccia a faccia newyorchese, prima ancora che finisse la settimana Obama e Rohani sono riusciti ad avere il dialogo diretto, un contatto inaudito e impensabile ancora poco tempo fa.
Per Rohani si tratta del coronamento di una vittoria elettorale all’insegna della moderazione, per uscire dall’isolamento internazionale, ottenere un riconoscimento “di dignità” dall’America, e possibilmente allentare le sanzioni che hanno provocato pesanti disagi alla popolazione. In quanto a Obama, proprio l’ipotesi di un disgelo con l’Iran lo aveva distinto come una “colomba” durante la sua prima campagna presidenziale, nel 2008. Allora Obama
osò dire che lui era disposto a parlare con tutti, anche col diavolo, se questo poteva servire la causa della pace e gli interessi strategici dell’America. Il suo rivale di allora, il repubblicano John McCain, lo aveva accusato di ingenuità. Un fuori-programma a microfoni spenti aveva rivelato la battuta guerrafondaia di McCain che canterellava sul motivo di una celebre canzone dei Beach Boys (“Barbara Ann”) lo slogan “Bomb-Bomb Iran”, bombardiamo l’Iran. Le aperture di Obama potrebbero portare a risultati che sfuggirono a tutti i suoi predecessori.
Ora tutto si rimette in moto: il dossier nucleare, e possibilmente anche la questione della Siria. L’Iran è insieme alla Russia il protettore di Assad. Sui
tempi del negoziato nucleare, prima ancora di decollare da New York per tornare in patria, Rohani ha ribadito che non intende tergiversare. A ottobre il primo appuntamento è fissato a Ginevra in seno al gruppo 5 + 1 che include i membri permanenti del Consiglio di sicurezza più la Germania. Tra i dettagli cruciali ci sarà l’accesso degli ispettori internazionali a tutti i siti nucleari iraniani. Obiettivo primario per Obama è garantire che si fermino quei programmi di arricchimento dell’uranio suscettibili di sfociare nell’uso bellico dell’atomo. Resta da verificare quanto Rohani voglia insistere sul coinvolgimento di Israele nel trattato di non-proliferazione nucleare.

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