Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Iran all'Onu: lo show di Rohani incanta gli allocchi occidentali cronache di Glauco Maggi, Mattia Ferraresi
Testata:Libero - Il Foglio Autore: Glauco Maggi - Mattia Ferraresi Titolo: «L’Iran all’Onu ha preso in giro l’Occidente - Il disgelo nucleare costa più a Obama che a Rohani»
Riportiamo da LIBERO di oggi, 26/09/2013, a pag. 14, l'articolo di Glauco Maggi dal titolo " L’Iran all’Onu ha preso in giro l’Occidente ". Dal FOGLIO, in prima pagina, l'articolo di Mattia Ferraresi dal titolo " Il disgelo nucleare costa più a Obama che a Rohani". Ecco i pezzi:
LIBERO - Glauco Maggi : " L’Iran all’Onu ha preso in giro l’Occidente "
Glauco Maggi Hasan Rohani
La montagna dell’incontro (mancato) di Obama all’Onu con il presidente iraniano Hassan Rouhani ha partorito il topolino. Oggi John Kerry, segretario di Stato Usa, si vedrà con il suo omologo iraniano Muhammad Javad Zarif e con i ministri degli Esteri di Gran Bretagna, Francia, Russia, Cina e Germania per sentire che cosa di nuovo ha da proporre l’Iran, dietro l’offensi - va di pace verbale. Sarà un buco nell’acqua, ha avvertito il presidente israeliano Benjamin Netanyahu dallo stesso podio dal quale Rouhani ha sparato menzogne e accuse, promesse e minacce nel suo discorso il cui filo rosso era l’ipocrisia: «L’Iran pensa che con parole ammorbidite e azioni simboliche sarà in grado di continuare nella sua corsa alla bomba. Come la Corea del Nord prima di lui, il governo di Teheran tenterà di rimuovere le sanzioni offrendo concessioni cosmetiche, e preservando nel contempo la sua abilità di costruire rapidamente un’ar - ma nucleare ad un tempo a sua scelta». Alla vigilia dei discorsi dei due leader davanti all’Assemblea si è parlato di «disgelo», «nuovo tono moderato», «apertura storica», «trattativa avviata» e, a suggello, la «mano» di Barack che finalmente, «tesa» dal 2009 verso Teheran, trovava la sua controparte nel novello premier figlio della Rivoluzione Islamica. Uno che, per vendere il suo volto nuovo, ha fatto gli auguri agli ebrei appena eletto e non ha negato l’Olocausto o accusato l’America di aver organizzato l’attacco dell’11 settembre 2001 come faceva il suo predecessore. Invece, Rouhani ha prima umiliato Obama rifiutando un colloquio che la Casa Bianca aveva cercato, poi ha evitato il pranzo dove c’era Obama (con la scusa che si poteva anche bere del vino), e infine gli ha dettato una linea, nell’intervento in aula, che lascia poche illusioni. Ha detto che le sanzioni e le pressioni militari negano la pace e la sicurezza, e ha negato che l’Iran ponga alcuna minaccia nella regione. Con sprezzo della decenza, ha sostenuto che l’Iran non ha mai avuto piani per fare armi di distruzione di massa atomiche, ma ha difeso al 100% la strategia nucleare del suo Paese, su cui peraltro lui non ha l’ultima parola che spetta all’Ayatollah Khamenei. «L’arricchimento dell’uranio ha raggiunto livelli di produzione di massa», ha affermato Rouhani. «L’idea che il programma nucleare possa bloccato attraverso mezzi illegali di pressione è irrealistica». Se queste sono le intenzioni –mantenere attivo il programma ma ottenere la cancellazione delle sanzioni in cambio di parole - suonano spudorate le frasi conciliatorie che ha sparso qua e là: «L’Iran sta cercando di risolvere le questioni, non vuole creare problemi. Non ci sono questioni o temi che non possono essere risolti con speranza, moderazione, mutuo rispetto e rigetto della violenza ». E detto dal rappresentante del regime che finanzia il terrorismo di Hezbollah e dà armi al despota di Damasco, e che attraverso suoi scherani ha organizzato l’atten - tato nel ristorante diWashington che doveva uccidere l’ambasciatore della Arabia Saudita, è provocatorio l’impegno verbale alla «cooperazione» e alla «costruzione di una coalizione internazionale per la pace, non per la guerra», che Rouhani ha pure fatto.
Il FOGLIO - Mattia Ferraresi : " Il disgelo nucleare costa più a Obama che a Rohani "
Mattia Ferraresi Barack Obama
New York. I diplomatici americani non si aspettavano che Hassan Rohani concedesse qualche apertura parlando all’Assemblea generale dell’Onu. Il doppio livello della diplomazia iraniana impone messaggi conciliatori a porte chiuse e prese di posizione più ruvide (o ambigue) di fronte al mondo, con un occhio sempre rivolto al mercato interno. La stretta di mano con Barack Obama era “politicamente troppo complicata”, il pranzo con Ban Ki-moon troppo compromettente e i tavoli troppo ingombri di bottiglie di vino bianco, ma il discorso onusiano è stato “molto più aggressivo di quanto molti si aspettassero”, come dice Gary Samore, ex consigliere di Obama e promotore di un advocacy group sulle sanzioni iraniane. Rohani ha condannato l’occidente per le sanzioni e per le minacce di un attacco armato contro le installazioni nucleari di Teheran. L’intervento ha riportato l’acerbo negoziato sul nucleare al suo ambito naturale, quello degli incontri a porte chiuse, che iniziano oggi con un summit del ministro degli Esteri, Javad Zarif, con le delegazioni del 5+1. Il contrasto fra il clima di apertura che Rohani ha alimentato a New York – concedendo anche l’appellativo di “crimine” all’Olocausto – e il ripiegamento su messaggi più tradizionalmente iraniani rientra nei calcoli di Teheran. Obama ha detto chiaramente che alle parole di Rohani devono seguire i fatti, e che la riconciliazione non è cosa che si ottiene “overnight”, e questo è parte del calcolo americano. Il problema è che in questo tattico fronteggiarsi per aprire un negoziato, chi rischia di pagare il prezzo più alto è Obama. Rohani chiede una tregua alle sanzioni in cambio di un congelamento delle attività della centrale di Fordo. Ammesso che si tratti di uno scambio equo, Obama ha un potere limitato sulle sanzioni: soltanto otto delle 31 misure economiche contro l’Iran dipendono esclusivamente dalla Casa Bianca. Le altre, per essere modificate, devono passare da un voto del Congresso, dell’Onu o dell’Unione europea. Ammorbidire la posizione americana in vista di un compromesso nucleare richiede un profondo cambiamento dell’assetto occidentale nei confronti dell’Iran. Per promuovere il compromesso Obama dovrebbe fare pressioni sugli alleati e sul Congresso, dove i leader della commissione esteri hanno già messo nero su bianco le loro obiezioni sull’allentamento delle sanzioni. L’Amministrazione Obama ha già superato la posizione di George W. Bush, che aveva promosso negoziati dietro le quinte con l’Iran fissando la fine della proliferazione nucleare come condizione necessaria del dialogo; condizione che Teheran non ha mai considerato né considera oggi: all’America offre, per ora, soltanto la vaga promessa che le centrifughe non arricchiranno uranio per scopi militari. Per mettersi sulla via diplomatica, insomma, Obama dovrebbe fare piroette politiche e concessioni più costose rispetto a quelle che Rohani è disposto a offrire. Inoltre, dovrebbe convincere Bibi Netanyahu ad accettare un cambio di rotta impossibile per il premier che ha definito “cinico” il discorso di Rohani e giudica la mano tesa di Teheran una “trappola”, un diplomatico gioco di prestigio per “prendere tempo”. Il compromesso nucleare è un gioco in cui Obama ha molto da perdere.
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