Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 25/09/2013, a pag. 17, l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo " Obama l'equilibrista: fa il leone con la Siria e l'agnello con l'Iran ". Dalla STAMPA, a pag. 14-15, due articoli di Maurizio Molinari titolati " Obama apre a Teheran. Rohani: basta accuse non siamo una minaccia " e " A New York i “vecchi cattivi” non sono più di casa ". Da LIBERO, a pag. 16, l'articolo di Glauco Maggi dal titolo " L’Iran dalla faccia umana illude Obama ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 17, l'articolo di Francesco Battistini dal titolo " È la Guida Khamenei a dirigere le danze. E ha imposto cautela ". Da REPUBBLICA, a pag. 15, l'intervista di Arturo Zampaglione a Gary Sick, ex consigliere di Jimmy Carter, dal titolo " Dagli Usa rispetto per Teheran. Forse il ghiaccio sta per rompersi ", preceduta dal nostro commento.
a destra, Ali Khamenei con Hasan Rohani
Ecco i pezzi:
Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein : " Obama l'equilibrista: fa il leone con la Siria e l'agnello con l'Iran "


Fiamma Nirenstein
Chissà come si dice in inglese cerchiobottista, così il presidente Obama potrebbe ben definire il suo discorso di ieri all’Assemblea generale dell’ ONU. Tutto il mondo lo aspettava, specie da quando Obama aveva annunciato che sarebbe stata una ridefinizione della politica americana in Medio Oriente dopo tanti errori e fraintendimenti. Era un discorso importante perché niente in questo momento è più decisivo degli USA di fronte al terrorismo di massa, e alla cosiddetta “charm offensive” del nuovo sorridentissimo presidente iraniano Rouhani. Ma Obama ha presentato una sola novità quando in varie riprese ha ricordato che egli è deciso a difendere gli interessi americani nel mondo, e ha persino suggerito che sarebbe pronto anche al ricorso alle armi. L’ha detto quattro volte, riferendosi con sufficiente chiarezza agli interessi strategici (contro l’Iran nucleare), umanitari ma anche petroliferi. Questo era il cerchio. La botte era tutta un inno alla pace e alla trattativa. Se per esempio con la Siria aveva abbracciato l’ipotesi militare dopo l’uso del gas Sarin, alla fine, ha detto, seguire la strada diplomatica era risultato possibile grazie ai russi. Ma, colpo al cerchio, la faccenda non è finita, se Assad non è serio nel consegnare le armi chimiche, ci si può ripensare. L’attacco unilaterale, perché a volte l’ONU non ci sta, non ci preoccupa. Ma ha subito aggiunto: certo ora il Consiglio di Sicurezza deve promettere invece la partecipazione collettiva se gli accordi non vengono osservati.
Sull’Iran Obama ha fatto proprio l’Obama: morbido, soggiogato da un’inesorabile visione etnocentrica che non gli suggerisce la liceità della bugia islamica per il proprio popolo e il proprio Dio. Il Presidente ha così aperto un canale diplomatico con l’Iran che fin’ora non c’era: ha annunciato di avere incaricato John Kerry di dialogare col suo omologo iraniano, ha dichiarato la sua simpatia per il popolo che ha scelto un leader come Rouhani. Ha messo completamente da parte che, sciita o sunnita, ogni islamista guarda con ammirazione, anche se con odio di parte, al terrorismo mondiale perpetrato dall’Iran, alle sue milizie degli Hezbollah, all’aiuto alla Siria. Ha anche detto (poveri prigionieri politici, giornalisti incarcerati, donne condannate a pene shariatiche per non essere abbastanza segregate, omosessuali impiccati) di non tenerci affatto al cambiamento di regime. Sul nucleare, contro tutte le prove storiche che ci dicono che gli iraniani hanno spesso finto di trattare per prendere tempo, contro il fatto che ormai è questione di mesi, Obama ha espresso la speranza che la novità di Rouhani possa aprire una nuova strada verso la stabilità mondiale. Poi, l’ha sparata grossa: nello stabilire le priorità americane, con tutte le sue esclamazioni sui diritti umani, con la preoccupazione per la guerra terrorista di Al Qaeda, pure ha messo sullo stesso piano, per la stabilità e per gli interessi americani, lo stop alla bomba (ma, colpo al cerchio, certo gli iraniani hanno diritto a un nucleare pacifico) con (colpaccione alla botte) le trattative fra Israele e i palestinesi.
Ma come, Presidente? Hai la Siria in cui ancora si uccidono decine di persone ogni giorno, in Kenia i terroristi hanno ucciso cento persone ieri, quest’anno circa 5000 iracheni sono morti nello scontro terrorista sciita-sunnita, in Pakistan, in Nigeria, in Afghanistan i morti civili innocenti uccisi da attacchi terroristici disegnano una vera guerra per i confini, per l’etnia, per la religione, per le ricchezze naturali, per il migliore attacco terroristico e la più effettiva aggressione contro l’Occidente, i profughi dilagano, i bambini non sono bambini, le donne sono segregate, si violano tutte le regole di comportamento civile e militare, i confini degli Stati disegnati nel 1916 sono state cancellati, e Obama immagina che all’origine della instabilità mediorentale ci sia il conflitto israelopalestinese? Certo, Iran e Israele insieme come problemi mondiali sono un esempio di cerchiobottismo da Premio Nobel. E’ una gaffe?
www.fiammanirenstein.com
La STAMPA - Maurizio Molinari : " Obama apre a Teheran. Rohani: basta accuse non siamo una minaccia "


Maurizio Molinari
Il titolo non rispecchia il contenuto dell'articolo. Obama non ha semplicemente aperto all'Iran, ma ha ribadito che " in ogni caso l’America «non consentirà all’Iran di avere l’arma nucleare» e dunque l’opzione militare resta sul tavolo.".
Ecco il pezzo:
Barack Obama apre a Hasan Rohani che risponde sfidandolo a «non considerarci una minaccia» ma l’incontro fra i due leader all’Onu non avviene perché Teheran non è «ancora pronta».
Nel discorso del presidente americano all’Assemblea Generale, l’Iran è il tema centrale. «Il Leader Supremo Khamenei ha emanato una fatwa contro lo sviluppo di armi nucleari e il presidente Rohani ha assicurato che non perseguiranno l’atomica» sottolinea Obama, aggiungendo però che «alle parole conciliatorie devono seguire azioni trasparenti e verificabili» sul nucleare. Obama si dice «incoraggiato dal mandato ricevuto da Rohani per una politica più moderata» e per verificare l’entità di tale apertura affida al Segretario di Stato John Kerry la missione di «guidare gli sforzi con l’Iran in cooperazione con Ue, Gran Bretagna, Francia, Germania, Russia e Cina» a partire dall’incontro di domani con il ministro iraniano Zarif. È l’inizio di un’apertura. «Gli ostacoli potrebbero rivelarsi troppo grandi ma la strada diplomatica va tentata" aggiunge Obama, ribadendo che in ogni caso l’America «non consentirà all’Iran di avere l’arma nucleare» e dunque l’opzione militare resta sul tavolo. È un approccio simile alla crisi siriana perché nasce dalla determinazione dell’America ad «impedire la proliferazione delle armi di distruzione di massa» e dunque ad arrivare alla distruzione dei gas proibiti di Assad «in quanto sarebbe un insulto all’intelligenza affermare che l’attacco a Damasco non è stato lanciato dalle sue forze». Per riuscire nell’intento, Obama conferma di tenere in sospeso il blitz a favore dell’opzione diplomatica ma «serve una risoluzione Onu forte che preveda conseguenze» sottolinea, indicando la necessità di includere un riferimento al capitolo VII della Carta Onu sul ricorso alla forza. Il graffio lo riserva al presidente russo Vladimir Putin. «Anche se qualcuno è in disaccordo - dice il presidente credo che l’America sia un’eccezione perché non perseguiamo solo i nostri interessi ma anche quelli degli altri, promuovendo i diritti umani».
La scommessa di Obama è trovare interlocutori per le soluzioni diplomatiche in Medio Oriente e la risposta di Teheran arriva con l’intervento di Rohani. «Dobbiamo opporre la speranza alla paura» dice il neopresidente, indicando la necessità di «far prevalere il dialogo sull’estremismo e sul militarismo» nelle relazioni internazionali. «Bisogna lasciarsi alle spalle la mentalità della Guerra Fredda» suggerisce Rohani, chiedendo all’America di rinunciare all’«idea della superiorità degli uni sugli altri». «L’Iran non pone minacce al mondo o alla regione» assicura. Ma l’ipotesi dell’incontro con Obama sfuma. È la Casa Bianca a farlo sapere, spiegando che «gli iraniani non sono ancora pronti perché hanno una loro dinamica interna nei rapporti con noi». Da qui l’ipotesi che Khamenei abbia frenato Rohani. I portavoce del presidente corrono ai ripari: «Non abbiamo mai avuto piani per un incontro formale, poteva essere solo l’opportunità di presentarsi a vicenda ai margini dei lavori, ma per loro si è rivelato troppo complicato».
La STAMPA - Maurizio Molinari : " A New York i “vecchi cattivi” non sono più di casa "

Mahmoud Ahmadinejad
I delegati iraniani e russi ascoltano Barack Obama con attenzione, quelli siriani borbottano per una traduzione ritenuta inefficiente, il rappresentante libico in giacca e cravatta gli sorride durante l’intervento e l’affondo più duro arriva dalla brasiliana Dilma Roussef che imputa al Datagate un’aggressione spionistica, ma senza mai pronunciare il nome degli Stati Uniti: è il parterre dell’apertura della 68° sessione dell’Onu a descrivere la novità di un Palazzo di Vetro dove l’America sembra aver perduto i nemici. Guardando le delegazioni ciò che spicca è anzitutto l’assenza di tiranni ed autocrati che negli ultimi anni avevano colto questa occasione per sfidare l’America.
Il combattivo caudillo venezuelano Hugo Chavez, che paragonava gli yankee a Satana, ha lasciato il posto ad un più grigio Nicolas Maduro. Al posto dell’imprevedibile colonnello libico Gheddafi ci sono inviati libici che sfoggiano un inglese impeccabile. Fra i banchi siriani manca non solo Bashar Assad ma anche il suo ministro degli Esteri - che ha delegato la missione al vice - e in quelli della Repubblica islamica dell’Iran l’arcinemico Mahmud Ahmadinejad ha lasciato il posto ad un deputato ebreo del Parlamento di Teheran in attesa dell’arrivo nell’aula del successore Hasan Rohanì, che veste i panni della colomba tendendo la mano all’America sul contenzioso del nucleare.
Lo schieramento dei tradizionali rivali di Washington appare decimato di leader e senza artigli. Forse anche per questo il capo del Cremlino Putin ha scelto di far rappresentare la Russia da Sergei Ivanov, il più occidentale dei suoi stretti collaboratori, e Xi Jingping lo ha imitato affidandosi al proprio ministro degli Esteri.
Fra chi ricorda le battaglie che doveva affrontare George W. Bush all’apertura dei lavori dell’Onu, o anche le aperte sfide a Obama negli anni più recenti, è forte l’impressione di sentirsi immersi in una comunità internazionale dove l’America certamente non è amata, ma neanche sfidata in maniera palese. Ad avvalorarlo sono gli interventi del presidente francese Hollande in totale sintonia con Obama su Siria e Iran - facendo apparire passato remoto gli affondi verbali di Jacques Chirac sull’Iraq contro George W. - e del Segretario generale Ban Kimoon, che tanto nell’aula come in occasione del pranzo fra i leader, sottolinea il riconoscimento nei confronti del Paese ospitante. Chi più interpreta e riassume il nuovo clima è il sovrano giordano, Abdallah II, che espone dal podio - in perfetto inglese - il «modello di Stato islamico moderno» basato su «Stato di diritto, uguaglianza e libertà di fede ed espressione», suggerendo alle nazioni arabe di ispirarsi di fatto ai principi delle rivoluzioni francese ed americana.
LIBERO - Glauco Maggi : "L’Iran dalla faccia umana illude Obama"


Glauco Maggi Barack Obama
Nel giorno storico dell’annunciato disgelo tra l’America e l’Iran dopo oltre 30 anni di rottura diplomatica, il presidente Usa e il neo eletto collega Hassan Rohani hanno parlato dal podio del Palazzo di Vetro confermando che la strada della «trattativa» è, come l’inferno, lastricata per ora solo di buone intenzioni. I due non si vedranno, l’ipotesi di un faccia a faccia è saltato. Obama ha chiesto ciò che l’Occidente vuole da sempre da Teheran, lo stop dei piani nucleari che l’Iran nega di avere sostenendo di arricchire l’uranio per scopi civili. E Rohani ha portato all’Onu un nuovo linguaggio, dettato dal vero leader supremo, l’Ayatollah Khameney, che la settimana scorsa in un discorso alla Guardia Islamica Rivoluzionaria ha detto che «è un bene e una necessità avere approcci flessibili in qualche periodo e in qualche situazione», citando la teoria della «eroica tolleranza con cui puoi mostrare clemenza verso il tuo avversario, senza mai dimenticare i suoi obiettivi».
SULLA SIRIA
La nota politicamente più rilevante da parte Usa è stato il richiamo al ruolo assoluto dell’Onu usato dal presidente nell’affrontare i problemi, dalla Siria all’Iran atomico, alle relazioni tra Israele e i palestinesi. Su Assad, Barack ha ribadito il rigetto della sua stessa «linea rossa» sull’uso delle armi chimiche: «La nostra risposta non è stata all’altezza della prova», ha detto a nome dell’Assem - blea, non degli Usa. «La crisi in Siria e la destabilizzazione della regione vanno al cuore delle più alte sfide che la comunità internazionale adesso deve affrontare ». Cioè Obama conferma la linea dell’appello agli altri Paesi perché, tutti insieme, aggiustino i guasti del mondo. Obama ha così spinto nel discorso per una pronta risoluzione Onu sulla Siria, ma ha ammesso che «se non possiamo essere d’accordo neppure su questo, allora sarà dimostrato che l’Onu è incapace di far rispettare le leggi internazionali di base». Un approccio da storico, non da leader Usa che conosce chi sono gli amici e i nemici. Per lui sono tutti moralmente uguali; anzi, parlando ai palestinesi, ha detto della West Bank che è un territorio «occupato» pur offrendo il solito sostegno verbale al «diritto all’esistenza dello Stato di Israele». Ma è una chimera pensare che la Russia, che a Damasco e a Teheran dà le armi e offre la copertura nel Consiglio di Sicurezza (per non parlare della Cina), tolgano le castagne dal fuoco a Washington e a Israele, che ha capito ieri che dovrà fare da sé. Da parte sua Rohani è venuto al Palazzo di Vetro, mostrando la faccia del trattativista, perché al suo Paese l’inflazione è alle stelle e le condizioni economiche in cui vive la gente sono peggiorate grazie alle sanzioni imposte dagli Usa e dall’Europa. Quindi il regime islamico ha un obiettivo concreto domestico, dettato dai rischi sociali interni, ma vuole perseguirlo senza cedere un millimetro del potere regionale che ha accumulato negli anni, appoggiando la Siria, manovrando Hezbollah, e minacciando Israele. In questa strategia il dotarsi di un arsenale nucleare è componente irrinunciabile, per Teheran. Se Obama, e l’Occidente, non possono rifiutarsi di riconoscere che c’è la novità della moderazione nelle parole di Rohani, che dal suo vocabolario ha cancellato le provocazioni di Ahmadinejad della negazione dell’Olocausto e dei riferimenti all’11 settembre architettato da Bush, la prima cosa che deve succedere nell’eventuale meeting fra le parti è qualche fatto tangibile, verificabile, sullo stop al processo tecnico di arricchimento dell’uranio.
STRATEGIA
Ma, venendo non a caso in quasi perfetta concomitanza temporale con la vittoria di Assad, a cui è bastato promettere che entro un anno smantellerà i suoi arsenali chimici sotto la sorveglianza più che sospetta di Mosca, per diventare partner legale di Obama e dell’Onu nelle trattative di «disarmo» e ottenere il suo disimpegno dalla guerra civile a Damasco, la conclusione è amara. I nemici dell’America hanno preso le misure del suo presidente, e hanno capito che il non intervento in Siria è una «strategia» che può essere replicata: dando la disponibilità a parlare, ad avere colloqui periodici sotto l’egida dell’Onu, i peggiori nemici degli Usa si garantiscono di bagnare le cartucce americane a tempo indefinito e di acquisire lo status di nazioni che dialogano.
CORRIERE della SERA - Francesco Battistini : " È la Guida Khamenei a dirigere le danze. E ha imposto cautela "


Francesco Battistini, Ali Khamenei mentre indossa la faccia di Hasan Rohani
Parlare col Grande Satana? Non è difficile, ironizza un ex ambasciatore occidentale a Teheran: «Le parole in comune ci sono già: in farsi dicono pedar , papà, e in inglese si dice father ; madar , mamma, e mother ; baradar , fratello, e brother ; dokhtar , figlia, e daughter … Non basterà a costruire una casa comune, ma è un buon inizio per odiarsi come parenti». L’ultima parola non è uno scherzo. E a dirla non sarà comunque l’offensiva di charme del nuovo presidente Rouhani. «Non daremo segnali di debolezza — s’alza come un falco Mohammad Kousari, vecchio pasdaran che oggi fa da consigliere diplomatico — non ci saranno colloqui diretti con Washington. Rouhani non ha alcun via libera, Khamenei l’ha solo autorizzato a tentare un’apertura verso l’Occidente. Noi non abbiamo bisogno del sorriso americano».
Sorrisi e tenzoni. Funziona così, la diplomazia iraniana ai tempi della crisi. Per un Ahmadinejad che ieri augurava l’apocalisse nucleare, c’era un Khamenei che gli tirava il guinzaglio. Per un Rouhani che ora va all’Onu ad allungare la mano destra, ecco il Khamenei che si tiene ben in tasca la sinistra (l’unica utilizzabile, dopo l’attentato che lo menomò negli anni ’80). In cima a tutto e a tutti, a un rial svalutato, ai bazari esasperati dai prezzi triplicati e a un embargo petrolifero che sta seppellendo l’economia, lassù c’è da sempre Sua Eminenza Ali Hoseyni Khamenei, l’uno e trino che incarna l’esecutivo, il legislativo e il giudiziario, la 73enne Guida suprema che in base al principio del velayat-e faqih , l’assoluto potere, ha ragione come capo dello Stato e delle forze armate, da presidente della tv e da selezionatore dei candidati alla presidenza, leader religioso e playmaker della politica estera. «Il governo agisce, io prego», ama dire. Non è vero: Khamenei l’altro giorno ha salutato Rouhani raccomandandogli «eroica flessibilità», ieri ha ordinato di liberare 80 prigionieri politici (ma non il leader della protesta 2009, Mousavi) e il tono conciliatorio, subito, è parso sostanza.
Una cosa è la comunicazione, altra sono i principi. E il successore di Khomeini ci ha ben abituati all’arte sciita del dissimulare. Negli anni ’90, epoca riformista, era lui a rassicurare gli arabi del Golfo: gli stessi «servi dell’Occidente» per i quali avrebbe poi invocato la punizione divina. E non fu proprio la Guida suprema a baciare in pubblico Ahmadinejad, qualche anno prima di silurarlo? «Voglio la Bomba nel 2005», dicono (gli israeliani) fosse l’altissimo ordine che impartì a metà dello scorso decennio; «la Bomba è il male», sostengono (i negoziatori dell’Agenzia atomica) abbia sentenziato quando Ahmadinejad minacciava sfracelli. Di famiglia azera, conservatore, un chiodo fisso nel perseguire gay e stregonerie, nonostante i modesti studi religiosi diventò Guida suprema proprio per il suo antiamericanismo intransigente: alle parate militari, da un quarto di secolo manca di rado l’invito a «schiacciare l’America sotto i nostri piedi». E quando la nazionale di calcio battè gli Usa, esultò come un hooligan: «L’arrogante avversario assaggi la sconfitta!». Oggi, però, l’Iran appare un partito unico diviso in correnti. E Khamenei lo sa: «D’istinto — spiega Ray Takeyh, studioso di cose iraniane a Yale — lui sosterrebbe i reazionari affascinati dal modello nucleare nordcoreano. Ma il suo ruolo è in un contesto più ampio. E così media tra le fazioni: da una parte sostiene l’accelerazione atomica, dall’altra lascia aperta la via negoziale. E aspetta di capire che cosa faranno gli Usa». Quando elessero Obama, la Guida disse: «Vedremo e giudicheremo. Se lui cambia, noi cambiamo». Ma lei, lo sfidò in pubblico uno studente dell’Onda verde che fu subito arrestato, è sicuro di non sbagliare mai?
La REPUBBLICA - Arturo Zampaglione : " Dagli Usa rispetto per Teheran. Forse il ghiaccio sta per rompersi"

Gary Sick
Gary Sick, nomen omen. Il suo cognome, Sick, in inglese significa "malato", ma anche "nauseato, disgustato, stanco".
Come se non bastasse il suo cognome, aggiungiamo il suo passato di consigliere per il disastroso presidente Carter, tristemente noto per la crisi degli ostaggi in Iran e per la sua avversione a Israele.
Per quanto riguarda la teocrazia iraniana l'opinione di Sick può avere qualche valore ?
Ciò che sfugge alla maggior parte dei commentatori occidentali, è che l'Iran è il centro del terrorismo internazionale. Sono tutti colpiti dal diverso 'stile' di Rohani rispetto ad Ahmadinejad. Cambiare qualcosa perchè tutto resti come prima.
Ecco l'intervista:
NEW YORK — Professor Gary Sick, che succede all’ombra del Palazzo di vetro? Si è finalmente rotto il ghiaccio tra i due arcinemici degli ultimi decenni, Stati Uniti e Iran? «Il ghiaccio non si è ancora rotto. O meglio: sarà la storia a stabilire se questi giorni saranno ricordati come l’inizio della svolta. Ma non c’è dubbio che stiamo assistendo a un rapido ravvicinamento. Se è vero che è stato il nuovo presidente iraniano Hassan Rohani ad avviare il processo, è anche vero che Obama ha risposto in modo serio, realistico e costruttivo. Ha detto cose che saranno apprezzate a Teheran, come il riferimento a decine di migliaia di iraniani uccisi dalle armi chimiche di Bagdad. E in questo modo ha creato un’atmosfera più calda e più idonea per la rottura del ghiaccio ». Professore alla Columbia university, autore di tre libri sull’Iran e uomo di punta della Casa Bianca ai tempi di Jimmy Carter e degli ostaggi all’ambasciata americana a Teheran, Sick non era mai stato tenero, negli anni scorsi, nei confronti della leadership iraniana. Parlava di “Stato fascista”. Ma è sempre stato convinto, prima come adesso, che non ci fossero alternative a un confronto diretto, pragmatico e paziente con l’Iran. Vede quindi con soddisfazione le novità di questi giorni. Da profondo conoscitore della realtà iraniana, come pensa che sarà accolto lì il discorso di Obama all’Onu? «Prevedo una reazione positiva. Il discorso — dedicato in grande proprio all’Iran — dimostra che il presidente americano è attento al messaggio che gli arriva dalla nuova leadership e che prende sul serio il paese, trattandolo con rispetto nell’arena internazionale. Ad esempio ha prospettato un ruolo all’Iran nelle nuove trattative di Ginevra sulla Siria. Non solo: Obama ha fatto riferimento a fatti storici, che magari a noi non dicono molto, ma che in Iran sono molto sentiti. Ad esempio ha parlato delle manifestazioni del 1963 contro lo Scià e degli eccidi compiuti con le armi chimiche durante la guerra Iran-Iraq: una ferita, questa, che a Teheran non si è ancora rimarginata e che spiega una certa prudenza sulla questione siriana». Ma Obama è anche stato molto rigido su alcuni punti che non piacciono agli iraniani: gli Stati Uniti, ha detto, sono pronti a un’azione militare unilaterale in Siria e non tollereranno lo sviluppo delle armi nucleari di Teheran. «Non si tratta di cose nuove. Semmai la cosa più importante è che il presidente americano non ha rivolto alcuna minaccia specifica e non ha detto, come altre volte, che tutte le opzioni erano aperte. E poi ha aperto una strada diplomatica con il prossimo negoziato che ci sarà tra il segretario di Stato John Kerry e gli iraniani. Un appuntamento a un livello politico così alto ha le potenzialità per aprire nuove porte al dialogo. Certo, è una strada ancora lunga e tortuosa, mentre la polveriera siriana non è certo d’aiuto. E solo nei prossimi giorni e nelle prossime settimane sapremo se le strizzate d’occhio di questi giorni porteranno a risultati storici ».
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