Riportiamo da LIBERO di oggi, 15/09/2013, a pag. 15, l'articolo di Carlo Panella dal titolo " Usa e Russia fan finta di accordarsi sulla Siria". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 3, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " I trucchi del regime, trappole qaediste: tutte le incognite per gli ispettori Onu ". Da REPUBBLICA, a pag. 15, l'articolo di Fabio Scuto dal titolo " Il rebus sull’arsenale di Assad: lo ha nascosto in Iraq e Libano ", l'intervista di Valeria Fraschetti a Christopher Swift dal titolo " È un progetto destinato a fallire: da Washington e Mosca nessun piano per mettere fine alla guerra civile ". Dalla STAMPA, a pag. 1-2, l'articolo di Gianni Riotta dal titolo " Passo avanti, ma la guerra continua ", a pag. 3, l'articolo di Francesca Paci dal titolo " Opposizione delusa: adesso il regime ci ucciderà con le armi convenzionali ".
Ecco i pezzi:
LIBERO - Carlo Panella : " Usa e Russia fan finta di accordarsi sulla Siria "

Carlo Panella
Appena annunciato al mondo l’accordo, si è subito compreso che Assad aveva non vinto, stravinto, che Putin aveva vinto con lui e che J.F. Kerry e Barack Obama avevano subito un KO. Con l’aggravante che si sono stesi sul tappeto per essersi tirati da soli un micidiale gancio al mento. Subito dopo aver spiegato che Usa e Russia avevano convenuto sul numero delle testate chimiche che Assad deve dichiarare entro 7 giorni, sulla localizzazione dei siti che le contengono da bonificare con inizio entro la fine di novembre, Kerry ha infatti detto: «Se Assad non ottempererà in tutto o in parte a questo accordo, si esporrà alle misure previste dal capitolo 7° della Carta dell’Onu». In altre parole: verrà automaticamente autorizzato dall’Onu l’uso della forza militare. Ma subito Serghej Lavrov, il ministro degli Esteri russo, lo ha seccamente smentito: «L’ac - cordo è frutto di consenso e compromesso e non prevede assolutamente un ricorso alla forza in nessun caso». Cioè: sono escluse tutte le opzioni militari e, se Damasco non rispetterà l’accordo, tutto ritornerà al Consiglio di Sicurezza. Cappotto quindi per Kerry e Obama che quando sarà chiaro che Assad avrà violato lo spirito e la lettera dell’accordo –come è del tutto probabile viste queste premesse - dovranno tornare al Consiglio Onu dove la Russia e la Cina apporranno l’ennesimo veto a ogni risoluzione che preveda raid contro la Siria. Inizia così un perverso gioco dell’oca, che vedrà da qui a poche settimane gli Usa di Obama ritornare, letteralmente scornati, alla casella di partenza, avendo però nel frattempo perso ogni credibilità per il proprio comportamento alla Zelig. D’altronde, che Assad abbia tutte le intenzioni di non rispettare questo accordo è già chiarissimo. I satelliti americani che monitorano ogni palmo del territorio siriano, così come le non poche spie disseminate per la Siria da Israele -più che dagli Usa che hanno colpevolmente disertato da anni quel teatro di crisi - hanno infatti rilevato negli ultimi giorni che la Unità 450 siriana è impegnata in rapidissimi «traslochi». Questa unità, (formata da militari ad altissima specializzazione, addestrati da istruttori della Corea del Nord, tutti alauiti, di strettissima fiducia) sposta infatti da giorni in nuovi siti ben «coperti» le migliaia di bidoni che compongono la miscela di Sarin e le ogive in cui viene versata. Questa stessa Unità 450 è peraltro responsabile anche degli eccidi con armi chimiche ordinati da Assad (lo ha confermato ieri Ban Ki Moon) a Goutha e nelle altre 6 località in cui gli ispettori dell’Onu hanno accertato il loro impiego. Le sue caserme erano infatti tra i principali obbiettivi dei raids che Obama aveva trionfalmente annunciato di voler lanciare sulla Siria 10 giorni fa, salvo cambiare poi idea e subire la vincente controffensiva diplomatica di Russia e Siria. Grazie all’accordo siglato ieri, peraltro, l’Unità 450 passa dallo scomodo ruolo di target dei missili Usa, a fondamentale e indispensabile collaboratrice per l’attua - zione dei patti Usa-Russia sul disarmo chimico. La sua collaborazione è infatti indispensabile gli ispettori dell’Onu pena l’ineffica - cia dell’intero processo di disarmo chimico. Questo particolare dà la pennellata finale alla trappola grottesca in cui si è cacciato Obama con la sua decisione di intervenire in Siria solo e unicamente se Assad avesse sorpassato la «linea rossa» dell’impiego di armi chimiche. Quella «linea rossa» si è ora ribaltata contro di lui ed è tragicomica la certezza di J.F. Kerry che ha detto che l’accordo sulle armi chimiche sblocca la strada a una soluzione politica da concordarsi in una «Ginevra II». Tra i tanti ostacoli alla sua convocazione, spicca infatti la più che legittima precondizione dei leader della rivolta che non intendono avviare nessuna trattativa se prima Assad non fa uscire dalla Siria i 6-10.000 pasdaran iraniani e Hezbollha a cui deve essenzialmente la sua capacità di resistenza al potere. Mossa che Assad non farà mai, perché sarebbe sconfitto sul campo in poche settimane.
La STAMPA - Gianni Riotta : " Passo avanti, ma la guerra continua "

Gianni Riotta
Chi ha vinto e chi ha perduto nella complicata partita geopolitica sulla Siria di questi giorni, dopo l’accordo a sorpresa tra i ministri degli Esteri russo e americano? Il primo vincitore netto è, senza dubbi, il dittatore siriano Assad: isolato per l’uso dei gas contro i suoi cittadini, con in arrivo un dossier Onu a lui sfavorevole, era ormai nel mirino di un blitz di Obama che avrebbe scardinato il suo sistema di aeroporti e radar. Invece si vede difeso dal suo patron russo, con i ribelli dimenticati dagli americani e frustrati perché la promessa di più armi –sostenuta dal repubblicano McCain – resta solo una promessa. Vantaggio netto.
Anche per Vladimir Putin e il suo veterano capo della diplomazia Sergei Lavrov, successo palmare. Il Cremlino ha messo alle corde il premio Nobel per la pace Obama, lo ha caricaturato come «guerrafondaio», e – dopo avere paralizzato da anni l’Onu con i veto, i niet cari al tempo dell’Urss al vecchio ministro Andrej Gromyko – s’è ammantato con il laticlavio da difensore della collaborazione internazionale.
Misto il risultato per il presidente Obama. Dopo essersi cacciato in una trappola kamikaze, annunciando il blitz e poi affidandosi all’incerto ok del Congresso, Obama s’è aggrappato al ramoscello d’ulivo offerto per una volta non dalle colombe, ma proprio dai falchi russi. Può vantarsi di avere costretto Assad a mettere sotto chiave Onu il suo arsenale chimico, esce alla fine dallo stallo politico e diplomatico in cui si era cacciato, ma certo ridursi ad affidare il suo carisma internazionale alle mani di Putin, lo lascia abbastanza ammaccato. In America e nel mondo.
L’Onu è rimasta nel retroscena, il segretario generale Ban Ki-moon spera di poter condannare Assad sui gas e ridare credibilità alle Nazioni Unite, il Consiglio di Sicurezza potrebbe alzare la voce, ma Putin intende tenere ben stretti i bandoli della matassa e non mollerà un centimetro. Assente l’Europa, con gli inglesi confusi e divisi, i tedeschi in campagna elettorale, gli italiani ondivaghi, i francesi che – subìto come Londra il danno dell’incertezza alla Casa Bianca – hanno almeno con il presidente Hollande rialzato il profilo internazionale di Parigi e promettono battaglia per i diritti umani all’Onu. Nettamente perdenti i ribelli siriani, che schiumano rabbia nelle loro dichiarazioni contro Obama, da cui si dicono «traditi».
Come è ora possibile trarre il meglio dal negoziato che si va ad aprire? Assad ha nove mesi per consegnare i gas, (si devono distruggere parti delle componenti chimiche che li innescano), ma già Washington e Mosca dissentono sulle proporzioni dell’arsenale. Gli ottimisti diranno che è comunque un passo avanti, con il regime alawita costretto a trattare, i pessimisti temono la deriva «iraniana», un lungo tirare in avanti, appigliandosi a mille cavilli senza cedere mai di un passo. Per di più i controlli internazionali andranno fatti in un Paese teatro di una guerra civile, con soldati governativi e ribelli a contrastate le ispezioni.
Solo se Obama e l’Onu vigileranno con estrema severità sulle prevedibili tattiche dilatorie di Assad e Putin, il negoziato avrà un senso e potrà portare a qualche risultato non aleatorio. Se invece si faranno prendere la mano dall’astuzia di Putin e dalla crudeltà di Assad saranno prima irrisi, poi umiliati.
Qualche ingenuo – e molti furbi – parleranno di «vittoria della pace», ma la guerra in Siria continua, ai 100.000 morti altri si uniranno nelle fosse comuni, la fila dei profughi, quasi 4 milioni, si allunga.
La Francia, che ha agito con risolutezza, potrebbe adesso prendere la testa degli europei affinché l’Ue, sgombrato il campo dal blitz Usa, agisca con forza all’Onu e il negoziato non sia farsa. Finite le elezioni in Germania, la cancelliera Merkel e il premier Letta – che ha meritoriamente riequilibrato la posizione italiana in chiave occidentale – dovrebbero dare una mano a Parigi.
Non ci vorrà molto tempo per capire chi avrà avuto ragione sul valore dell’accordo Lavrov-Kerry, se gli ottimisti o i pessimisti. Ma per il bene dei civili in Siria sarebbe meglio che gli occidentali vigilassero senza distrazione, dabbenaggine e indifferenza.
CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " I trucchi del regime, trappole qaediste: tutte le incognite per gli ispettori Onu "

Guido Olimpio
WASHINGTON — L’accordo russo-americano di Ginevra è un accordo importante. Però non è la fine ma l’inizio di un processo sul quale pesano tante incognite. E che, per ora, non mette fine alla guerra, anche se qualcuno non vuole sentirlo dire.
LA SINCERITA’
Per decenni Assad ha fatto finta di non avere un arsenale chimico, nascondendolo dietro dichiarazioni ambigue e un reticolo di rifugi. Poi nell’arco di pochi giorni la svolta e il sì formale all’intesa. Un atteggiamento che riempie di sostanza i sospetti e si lega alla «localizzazione» dell’arsenale, circa 1000 tonnellate. A dicembre 2012 fonti americane avevano sostenuto che le armi si trovano in tre aree: Masyaf e Furqlus vicino a Homs; Khan Abu Shamat, 50 km a est di Damasco. Pochi giorni fa, sempre informazioni statunitensi hanno lanciato l’allarme affermando che l’unità 405, reparto coinvolto nel programma chimico, le ha spostate in una cinquantina di siti. Si è parlato dell’area di Palmyra e di altre località, con depositi improvvisati in edifici civili. Diversa un’analisi attribuita all’intelligence israeliana, secondo la quale i gas si trovano in 4 o 5 posti. A questo punto sarà la Siria a dover dare le indicazioni e Mosca a far da notaio. Assad può «dimenticarsi» di alcuni razzi chimici, può celarne altri in vista dello scontro finale con gli insorti. Si è detto che avrebbe addestrato all’uso diverse milizie create in questi mesi e diventate fondamentali per il controllo del territorio. Tutti rammentano il «catenaccio» organizzato dagli iracheni nei mesi precedenti all’invasione del 2003. L’opposizione insinua anche che abbia portato i gas in Iraq e in Libano, nelle mani degli Hezbollah. Tesi non nuova, già nel 2012 era stata evocata senza trovare conferme. In ogni caso la missione di verifica dell’Onu non sarà agevole.
LA SICUREZZA
Basterebbe poco — una sparatoria o un’autobomba messa da chiunque — per stoppare i controlli da parte degli ispettori. La frammentazione politica e territoriale favorisce sabotaggi e provocazioni. Ricordiamo che dei Caschi Blu, armati, sono stati presi in ostaggio sul Golan. Poi c’è la questione della «gestione». Un’ipotesi parla di concentrare il materiale nella base navale di Tartus dove sono presenti anche i russi. Dunque saranno necessari dei convogli che richiedono una tutela robusta. L’ex senatore americano Richard Lugar ha sostenuto che gli Usa hanno messo a punto un sistema mobile per la distruzione dei gas, in questo modo si eviterebbe il trasferimento. Il politico è un esperto: non solo è stato protagonista dei negoziati sul disarmo con la Russia, ma nell’aprile del 2012, durante una visita a Mosca, ha avanzato per primo l’idea di un controllo dell’arsenale siriano.
L’OPPOSIZIONE
A Ginevra nessuno è sembrato considerare l’opposizione. Un errore. L’Esercito libero siriano, in teoria la componente più moderata o meno estrema, ha espresso tutta la sua contrarietà all’accordo Russia-Usa. Bashar, secondo gli insorti, grazie all’intesa potrebbe cogliere il momento per sferrare una nuova offensiva usando tank e aerei, ossia quei mezzi responsabili della morte di migliaia di persone. Cosa accade se i ribelli lanceranno attacchi durante il lavoro delle Nazioni Unite? O se i combattimenti investono le zone dei depositi? Lo stesso regime potrebbe usare eventuali scontri come un pretesto per non adempiere a quanto previsto dall’intesa ginevrina.
GLI ESTREMISTI
Tra gli scenari studiati dal Pentagono ne esiste uno che preoccupa molto: quello di una formazione ribelle qaedista con in mano i gas. Nella situazione di caos, con molte basi perdute dal regime, il movimento Al Nusra, determinato e ben addestrato, potrebbe cercare di impossessarsi delle armi chimiche. Anzi, secondo il regime, gli insorti le hanno ottenute grazie all’aiuto di qualche Paese musulmano e poi le hanno usate. Gli americani e gli israeliani ritengono che l’eventuale dispersione degli ordigni potrebbe favorire un’operazione degli insorti. Pericolo accresciuto dalla proliferazione dei gruppi, talvolta — come avviene in questi giorni — impegnati in scontri tra loro. L’instabilità dello schieramento lealista sommato alla confusione del campo nemico rappresentano, purtroppo, le condizioni ideali per qualsiasi tipo di manovra. Lo stesso Assad, per mesi, ha giocato sul fattore «armi in mani sbagliate» ed ha assicurato — attraverso canali riservati — di essere nel pieno controllo della situazione. Gli hanno creduto. Anche per convenienza. Ora non c’è più la certezza assoluta. E l’iniziativa russa probabilmente ne ha tenuto conto. A patto che quanto annunciato a Ginevra da John Kerry e Sergei Lavrov non resti solo una promessa.
La REPUBBLICA - Fabio Scuto : " Il rebus sull’arsenale di Assad: lo ha nascosto in Iraq e Libano "

GERUSALEMME — Arriva stamane a Gerusalemme John Kerry per incontrare il premier Benjamin Netanyahu e spiegare al leader del Paese più a rischio da una possibile deriva della guerra civile siriana, i termini dell’accordo raggiunto ieri a Ginevra sul disarmo chimico di Bashar Assad. Sui termini dell’intesa i politici israeliani mantengono per ora una prudente riservatezza, i tecnici e strateghi del mondo dell’intelligenece e della Difesa hanno invece molti dubbi sulla riuscita del piano che dovrebbe portare alla distruzione di oltre 1000 tonnellate di materiale di varia natura containers, bombe d’aereo, proiettili d’artiglieria, missili a media gittata, granate - sparso ai quattro angoli del Paese. Tutto questo materiale “sensibile” – Iprite, Vx, Sarin e altri gas nervini letali - dovrebbe traversare un paese dilaniato dalla guerra per essere riunito, classificato, stivato e distrutto secondo procedure stabilite e testate negli anni dall’Organizzazione per il controllo delle armi chimiche (Opac) che ha base all’Aja. Unam missione ad altissimo rischio sempre con l’incubo che una parte – durante un trasferimento - possa in qualche modo cadere nelle “mani sbagliate”. Una guerra civile su vasta scala infuria in Siria da quasi tre anni, è un territorio attraversato dalle battaglie fra l’esercito fedele ad Assad e il Free Syrian Army ma anche dalle decine di gruppi ribelli salafiti, sunniti, jihadisti filo-Al Qaeda, bande di volontari stranieri venuti da Yemen, Iraq, Algeria, Libia, reduci dall’Afghanistan, che rispondono soltanto al comandante della loro “katiba”. Senza un cessate-il-fuoco rispettato da tutte queste parti sarà difficile per gli ispettori potersi anche solo avvicinare ai siti di stoccaggio o lavorazione delle armi chimiche; il materiale è poi talmente sensibile che può essere maneggiato e trasportato solo in condizioni di estrema cautela. Nessuno poi è in grado di garantire la sicurezza degli ispettori Onu e dei materiali da trasferire: in un Paese che pullula di bande armate chiunque può sparare su un convoglio di camion e paralizzare l’intera missione; o peggio ancora, questo l’incubo dei servizi segreti di mezzo mondo, impadronirsene. Il regime baathista ha poi da tempo sparso in 45 siti diversi l’arsenale, oltre ai cinque impianti di produzione: Hama, Homs, Palmyra, Latakya e Aleppo. I primi segnali sulle difficoltà del piano russo-americano sono venuti ieri sera dal comandante del Free Syrian Army, il generale Salim Idris. Per il gruppo più importante della rivolta siriana, l’intesa è «una perdita di tempo, i ribelli continueranno a lottare contro il regime per farlo cadere», Idris fra l’altro accusa Assad di aver già trasferito alcune quantità armi chimiche verso il Libano e l’Iraq nel tentativo di nasconderle all’Onu. Il generale – che ha telefonicamente parlato con Kerry ha annunciato che il Free Syrian Army «faciliterà il passaggio degli ispettori internazionali, però non ci sarà nessuna tregua». Ma chi può garantire per le altre cento brigate ribelli che combattono in Siria?
La STAMPA - Francesca Paci : " Opposizione delusa: adesso il regime ci ucciderà con le armi convenzionali "

Francesca Paci
«Perfino Fidel Castro si è rallegrato dell’accordo russoamericano? Allora a essere scontenti siamo davvero solo noi» commenta amara l’attivista 31enne Samar al telefono dalla zona di Hama. L’opposizione al regime di Damasco è spiazzata. Tutta. Il residuo di quella pacifica degli albori quanto quella armata, dalle cui fila il generale Selim Idris, capo del Libero esercito siriano, boccia la via diplomatica rivelando che i lealisti avrebbero già iniziato a trasferire parte dell’arsenale in Libano e in Iraq per aggirare l’Onu.
«L’iniziativa sulle armi chimiche di Assad è un duro colpo per la rivoluzione» ammette Idris, che però promette di agevolare la missione nelle regioni sotto il controllo dei suoi uomini (combattenti, ma distinti dagli jihadisti di al Nusra e delle altre sigle islamiste). L’umore è pessimo. Prova ne sia lo sfogo del suo commilitone colonnello Qassim Saadeddine che alla Reuters giura ostracismo: «Il piano Kerry-Lavrov vada all’inferno, lo rifiutiamo e non proteggeremo gli ispettori».
Il punto, sottolineano i ragazzi del blog collettivo «The Revolting Syrian», è che le vittime dei gas rappresentano il 2% dei 130 mila morti negli ultimi due anni e mezzo: «La Russia e l’America hanno raggiunto un accordo con Assad ma noi siriani non abbiamo la chance di mettere fine alla nostra miseria». Mentre la comunità internazionale tenta l’estrema corsa contro il tempo, sul terreno infuria la battaglia che uccide circa 100 persone al giorno.
«Il nostro dramma non è solo l’uso delle armi chimiche, che alla fine sono addirittura il modo più facile per morire, ma i bombardamenti fissi di un regime che va consegnato al tribunale internazionale» spiega l’attivista Sima Abed Rabboh, staffetta dell’opposizione tra Dubai, la Turchia e il nord della Siria. È convinta che Damasco oggi se la rida sotto i baffi: «Il regime usa i radicali di al Qaeda, che fanno il suo gioco contrastando il Libero esercito siriano, e cosa rispondono Europa e Stati Uniti? Ritirano le minacce e monitorano le armi chimiche, roba che ci vorranno decenni... che vergogna per il mondo».
La facilità con cui raggiungi al cellulare i ribelli della prima ora che un tempo si celavano per sicurezza, racconta come Assad abbia ormai ben altro in testa che i militanti pacifici. «Obama è una delusione, ci ha fatto credere che stava arrivando e poi ha accettato una road map per smantellare i depositi di gas entro la metà del 2014: quante migliaia di persone cadranno nel frattempo sotto i colpi delle armi convenzionali?» domanda da Homs Mulham al Jundi, membro del Consiglio Nazionale Siriano. Il collega blogger Maysaloon twitta in simultanea: «Il presidente americano si sta rivelando il Chamberlain della nostra era. Un giorno la gente chiederà quando le cose hanno cominciato a precipitare e partirà da oggi». Per questo, incalza il portavoce dei Fratelli Musulmani siriani Omar Mushaweh, bisogna alzare la voce adesso: «Rifiutiamo il patto russo-americano e qualsiasi compromesso con il regime».
In realtà, a Damasco, c’è anche qualcuno cautamente ottimista. Anas Joule, anima del movimento democratico Building the Syrian State, spera ancora in una soluzione politica: «Vedo una porta che si apre. Purtroppo i protagonisti non sono i siriani, che restano sullo sfondo, ma che altro fare? Sebbene le armi chimiche siano marginali dobbiamo giocarle come carta politica. Sono quasi sicuro che il Libero esercito siriano ripenserà la sua avversione all’accordo e anche l’opposizione all’estero finirà per allinearsi agli americani. Il problema saranno i gruppi jihadisti che rappresentano almeno il 40% dei ribelli armati e con cui prima o poi ci scontreremo». Al Nusra tace, con o senza le armi chimiche, in guerra contro Assad o già per il post Assad, calca la propria impronta nichilista sul regno del caos.
La REPUBBLICA - Valeria Fraschetti : " È un progetto destinato a fallire: da Washington e Mosca nessun piano per mettere fine alla guerra civile "

Christopher Swift
«È un bellissimo momento per la storia della diplomazia, ma l’accordo raggiunto tra Russia e Stati Uniti non è che un traguardo simbolico».
Non nasconde scetticismo Christopher Swift, esperto di sicurezza e diritto internazionale, professore alla Georgetown University, di fronte al risultato ottenuto, dopo tre giorni di colloqui a Ginevra, dal segretario di Stato americano John Kerry e dal ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov sulle armi chimiche del regime siriano. Quello che fino a una settimana fa sembrava impossibile è ora un piano concreto.
«Il passo compiuto da Mosca e Washington è enorme. Quest’accordo, con l’imposizione ad Assad della scadenza di una settimana per la consegna della lista dell’arsenale chimico, imprime un’accelerazione a tutto il processo. Ma il piano Kerry-Lavrov non andrà molto lontano».
Perché?
«Mai nella storia si è provato a individuare e smantellare sotto egida Onu l’arsenale chimico in un Paese in guerra. E la Siria è dilaniata, il suo territorio controllato da fazioni sempre più violente e non tutte interessate al buon esito della consegna di queste armi. In un simile contesto il lavoro affidato agli ispettori internazionali non è solo rischioso, è quasi impossibile. Quest’accordo è una finzione. Soprattutto, Russia e Usa non sono andati al cuore della questione: come pacificare la Siria».
Entrambi ostentano soddisfazione.
«Hanno raggiunto un interesse comune, mostrarsi al mondo interessati a evitare che le armi chimiche vengano usate contro civili innocenti. Poche settimane fa un attacco militare straniero contro Damasco sembrava imminente: ora sia Putin che Obama possono incensarsi per aver fatto risorgere la diplomazia».
Perché gli Usa non sono riusciti a convincere la Russia a inserire il numero preciso di siti in cui Damasco stoccherebbe le armi chimiche, che secondo Washington sono 45?
«Il sospetto è che se la Russia avesse detto che tutti i 45 siti sono controllati dal regime, avrebbe implicitamente ammesso che l’attacco del 21 agosto è stata opera di Assad, e non dei ribelli, come Mosca ha sempre sostenuto. E questo è un altro motivo per cui questo accordo è destinato nei fatti a naufragare ».
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