L'Onu contro Assad, il rapporto dell'America con l'Iran, Obama visto da Israele e dall'Egitto, e per finire Assad che bombarda gli ospedali, sono queste le notizie più rilevanti sulla crisi mediorientale uscite oggi, 14/09/2013.
Le abbiamo riprese da LA STAMPA e LIBERO.
La Stampa-Paolo Mastrolilli:" L'Onu contro Assad, prove schiaccianti sull'uso dei gas"


Paolo Mastrolilli
Assad ha commesso molti crimini contro l’umanità», e il rapporto degli ispettori dell’Onu sull’attacco del 21 agosto scorso conterrà «prove schiaccianti» dell’uso di armi chimiche da parte del regime. Dichiarazioni così nette uno se le potrebbe aspettare dagli americani, ma se a farle è il segretario generale del Palazzo di Vetro Ban Ki-moon, l’intera dinamica della crisi siriana cambia.
Ban ha parlato ieri durante il Forum internazionale sulla condizione delle donne, mentre a Ginevra il segretario di Stato Usa Kerry e il ministro degli Esteri russo Lavrov continuavano a negoziare i dettagli del piano per disarmare Damasco, che vorrebbero trasformare nell’occasione per riprendere il processo finalizzato a trovare una soluzione politica alla guerra civile. Non era previsto che l’intervento del segretario generale toccasse anche la Siria, e il suo tono ha sorpreso tutti, perché finora lo stesso Ban aveva detto che il mandato degli ispettori non era quello di indicare la responsabilità dell’attacco, e il rapporto del capo missione Ake Sellstrom non era ancora arrivato. Può darsi che il segretario abbia espresso un giudizio complessivo, tenendo conto anche di un’altra indagine pubblicata ieri dal Palazzo di Vetro, in cui si accusa il regime di molte violazioni dei diritti umani, inclusa quella di aver sparato sugli ospedali. Sellstrom però ha ammesso ieri che il suo rapporto è finito, e quindi è molto probabile che Ban abbia parlato conoscendone il contenuto. Inoltre il segretario, in genere molto prudente, non si è limitato a puntare il dito contro Assad, ma ha aggiunto anche questa frase: «Sono sicuro che alla fine ci sarà un processo di accountability». Detta da lui, una dichiarazione del genere sembra preludere all’incriminazione del leader di Damasco davanti alle corti internazionali. Come minimo, offre un prezioso assist a Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna, che vogliono presentare al Consiglio di Sicurezza una risoluzione per guidare il disarmo chimico del regime, basandola sul Capitolo 7 della carta delle Nazioni Unite, che prevede l’uso delle forza in caso di violazioni. Di sicuro è difficile conciliare la permanenza al potere di Assad, con le parole pronunciate ieri dal misuratissimo Ban. I suoi portavoce infatti hanno cercato per tutta la giornata di ieri di fare marcia indietro, sostenendo che il segretario non ha ancora visto il rapporto di Sellstrom e non intendeva pregiudicare la situazione, ma il genio ormai era fuori dalla bottiglia.
L’uscita di Ban ha un forte peso, anche perché è avvenuta mentre Kerry, Lavrov e l’inviato dell’Onu Lakhdar Brahimi negoziavano a Ginevra il piano proposto da Mosca. Giovedì il leader russo Putin aveva scritto sul «New York Times» che i ribelli erano responsabili degli attacchi chimici, e dunque la smentita del segretario generale dell’Onu rafforza la mano di Washington nel chiedere garanzie, che vincolino Assad alla promessa di disarmare. Una necessità resa ancora più urgente dalle rivelazioni pubblicate ieri dal «Wall Street Journal», secondo cui Damasco avrebbe sparpagliato le sue riserve chimiche in circa cinquanta siti diversi, proprio per nasconderle e rendere più difficile il loro censimento e la distruzione. Kerry, che domenica sarà in Israele per discutere la situazione col premier Netanyahu, ha detto che lui, Lavrov e Brahimi torneranno a vedersi intorno al 28 settembre a New York, per riprendere la trattativa e possibilmente allargarla alla definizione di un appuntamento per rilanciare il «processo di Ginevra 2», che appunto doveva trovare una soluzione politica alla guerra civile. Del piano russo sul disarmo di Assad ha parlato anche Obama ribadendo di sperare che i colloqui fra Kerry e Lavrov abbiano successo. Ora, però, ha aggiunto, il disarmo «dovrà essere verificabile».
La Stampa-Maurizio Molinari; " L'America vede l'Iran dietro l'apertura del regime alla proposta di Mosca"


Maurizio Molinari
Nell’amministrazione Obama si fa largo la convinzione che vi sia Teheran dietro la repentina scelta del disarmo chimico da parte di Assad e che, di conseguenza, l’intervento dell’Onu in Siria possa diventare un’occasione di dialogo fra Usa e Iran.
La prima indicazione su tale interpretazione della Casa Bianca è venuta dallo stesso presidente Obama quando, nelle interviste a «Fox» e «Cnn» di lunedì scorso, ha detto: «Perfino gli alleati di Assad riconoscono che ha superato il limite usando le armi chimiche, lo stesso Iran è stato vittima dell’uso dei gas da parte di Saddam Hussein. I suoi abitanti ricordano bene quanto terribili siano». Giovedì è stato il portavoce, Jay Carney, ad aggiungere un altro tassello sottolineando che «gli iraniani hanno accusato il governo siriano per l’uso dei gas» spiegando che tale posizione «è stata espressa dall’ex presidente dell’Iran». Il riferimento è ad Akbar Hashemi Rafsanjani, considerato l’eminenza grigia del fronte politico guidato dal nuovo presidente Hassan Rohani, che in un discorso pronunciato il 1 settembre ha detto «da un lato i siriani sono attaccati dal loro stesso governo con le armi chimiche e dall’altro aspettano le bombe degli americani». A confermare lo scontento dei sostenitori di Rohani nei confronti di Assad c’è l’editoriale del giornale «Bahar» pubblicato il 31 agosto con la firma di Muhammad Ali Sobhani, ex ambasciatore iraniano in Libano, che paragonando implicitamente il raiss di Damasco a Saddam Hussein imputa la crisi siriana a «un governo autocratico che non rispetta il proprio popolo, giustificando le sue azioni in nome della resistenza». A Teheran continuano a prevalere ufficialmente posizioni filo-Assad come quelle espresse da Qasem Soleimani, comandante della Forza Al Qods delle Guardie Rivoluzionari, secondo il quale «difenderemo la Siria fino all’ultimo» ma le parole di Rafsanjani e Sobhani hanno portato Washington a maturare la convinzione che Rohani sia intenzionato a smarcarsi dall’eredità di Ahmadinejad, strenuo difensore di Damasco. Secondo tale interpretazione, Rohani avrebbe «più a cuore la Siria che Assad» - come riassume una fonte diplomatica a Washington - e dunque avrebbe fatto conoscere il proprio disappunto a Damasco per l’uso dei gas, risultando decisivo nel portare il raiss ad accettare il piano russo per il disarmo chimico sotto l’egida della comunità internazionale. Ad avvalorare tale lettura ci sono le informazioni di intelligence rivelate da Berlino sull’intercettazione della telefonata di un alto funzionario Hezbollah all’ambasciata iraniana a Beirut per far presente che «Assad ha perduto la testa, commettendo un grande errore nell’ordinare l’uso delle armi chimiche». Per Hossein Mousavian, ex negoziatore iraniano sul nucleare con l’Ue oggi all’università di Princeton, la convergenza fra Teheran e Washington è «la maggiore novità diplomatica del momento». «Tanto l’Iran che gli Usa considerano l’uso di armi di distruzione di massa un grave crimine ed è vero che l’Iran fu vittima dei gas di Saddam nella guerra con l’Iraq combattuta fra il 1980 e 1988» osserva l’ex ambasciatore di Teheran a Berlino, arrivando a dedurre che «l’Iran può essere un importante partner di Obama contro le armi di distruzione di massa in Siria» e tale convergenza potrebbe materializzarsi nel «sostegno congiunto ad una missione del Consiglio di Sicurezza in Siria per identificare chi ha usato i gas». «Le armi chimiche sono una linea rossa tanto per Barack Obama che per Alì Khamenei» conclude Mousavi avvalorando l’opinione che induce la Casa Bianca a ritenere che potrebbe essere Rohani a compiere il prossimo passo. Forse in occasione del suo imminente arrivo a New York per partecipare all’apertura dei lavori della nuova sessione dell’Assemblea Generale dell’Onu.
La Stampa-Francesca Paci: " Tutti i dubbi degli israeliani verso Obama 'il perdente' "


Francesca Paci
A leggere i quotidiani israeliani di tre giorni fa, day after dell’iniziativa russo-americana per fermare la crisi siriana, non c’era da farsi grandi illusioni: «Obama il perdente», sentenziavano con diverse ma poco sostanziali sfumature i giornali del più fedele alleato statunitense in Medio Oriente, sottolineando la resa di Washington al pressing russo in difesa di Assad. «Reagan si rivolterà nella tomba a vedere il ritorno dei russi grazie a Obama» scriveva sul «Maariv» il professore della Bar Ilan University Yehuda Balanga. Perfino sul liberal «Haaretz» campeggiava una simbolica foto del presidente Usa di schiena con lo sguardo rivolto in basso, lontano. E anche ora che la comunità internazionale ha concordato di concedere una estrema chance alla pace, il premier Netanyahu, notoriamente poco affine a Obama, non nasconde il disappunto. «Il messaggio ricevuto a Damasco sarà compreso nitidamente in Iran» continua a ripetere Bibi, ricordando come il proprio paese debba «sempre essere in grado di proteggersi da solo, contro qualsiasi minaccia».
In realtà, sebbene Obama non abbia mai scaldato il cuore degli israeliani sin da quando, nel 2009, appena eletto, tenne il suo primo discorso al Cairo, il giudizio è altalenante. Certo, i sondaggi non sono lusinghieri: una delle ultime rilevazioni indica un gradimento del 33%, una percentuale minima per un inquilino della Casa Bianca che allinea eccezionalmente l’umore degli israeliani a quello degli arabi. E anche se nel frattempo l’amico americano si è recato in visita a Gerusalemme, la sua mai celata volontà di aprire un canale con gli ayatollah anziché tener loro la pistola puntata addosso non riscuote grande successo nel paese in cima alla lista nera di Teheran. Eppure, giorno dopo giorno, tra quei militari e i responsabili della sicurezza meno vincolati dei politici alle dichiarazioni roboanti si fa strada l’idea che, se avesse buon esito, la messa in sicurezza delle armi chimiche di Assad potrebbe servire con l’Iran.
«Israele sta seguendo la reazione della comunità internazionale come fosse un test, se si dimostrasse capace di mettere le mani su tutto l’arsenale siriano creerebbe una sorta di precedente per l’Iran» ammette al «Washington Post» Oded Eran, ex diplomatico dell’ambasciata israeliana di Washington. Anche perché, aggiunge una fonte militare, «al punto in cui siamo non dobbiamo aspettarci nulla di buono da un intervento comunque non risolutivo».
Per le strade di Tel Aviv, dove nelle settimane scorse sono andate a ruba le maschere antigas, il dibattito non è caldissimo. In parte perché la minaccia di un attacco dal confine nord è considerata una routine quanto lo jogging serale sul lungomare e in parte perché la posizione del governo israeliano sulla Siria non è stata costante, tacitamente pro Assad fin tanto che sembrava essere il miglior garante di una stabilità risalente al 1973 e poi, dopo l’entrata in campo delle milizie di Hezbollah, sempre più favorevole all’intervento.
«Non credo che qui la gente abbia voglia di un’altra guerra, Assad è orribile ma se l’alternativa è peggiore meglio ridimensionare gli istinti bellici» ragiona il grafico 42enne di Petah Tikva Ron Hillel, un liberal che detesta Netanyahu ma che quando parla di Obama lo chiama ironicamente «Barack Hussein» per marcare come lo consideri troppo sbilanciato a favore dei «cugini».
I titoli dei giornali restano negativi perché, spiega il direttore dell’emittente Channel 10 Nadav Eyal, «siamo tutti d’accordo che eliminare le armi chimiche siriane senza un attacco sarebbe un risultato fantastico, ma siamo anche molto scettici». Gli esperti avvertono che per eliminare un chilo di sostanze letali servono mille dollari e non si vedono volenterosi donatori per le circa mille tonnellate siriane. Ma nel frattempo qualcuno, come l’ex capo della divisione strategica della difesa israeliana Shlomo Brom, ammette che l’iniziale reazione dei suoi connazionali alla decisione di Obama di rivolgersi al Congresso è stata forse «infantile», espressione della diffidenza verso un presidente che pur non avendo diminuito di un dollaro il sostegno americano a Israele ha sempre risentito del confronto perdente con George W. Bush.
La Stampa-Francesca Paci: " Kassem, il caos siriano svela il bluff, la Casa Bianca non ha una politica estera "

Hisham Kassem
Hisham Kassem, fondatore di «Al-Masry Al-Youm», il pioniere dei quotidiani egiziani indipendenti, ammette di non aver mai amato Obama. Ma dall’alto di una militanza per i diritti umani iniziata assai prima della rivoluzione di Tahrir, il decano degli oppositori all’ex Faraone Mubarak abbona al presidente Usa i dubbi sulla Siria a fronte d’un giudizio assai più severo.
Oggi nel mondo arabo Obama è meno popolare di Bush. Perché?
«Il problema non è la Siria ma le attese seguite all’elezione di Obama, e non solo tra gli arabi. Nel 2009 assistetti al discorso del Cairo e alla fine, oltre a decine di persone, la Bbc in arabo intervistò anche me che, diversamente dagli altri, non ero entusiasta, perché il neo presidente non aveva detto nulla di dirompente rispetto al predecessore. Ma nel tg della sera la mia voce era stata tagliata a favore di quelle adoranti per Barack Hussein Obama. Ora, dopo due anni, gli arabi attaccano il fallimento di Washington sulla Siria, anche perché, da xenofobi, non concepiscono che un paese straniero li bombardi mentre accettano che a farlo sia un arabo come Assad. Ma solo pochi capiscono il ben peggiore flop di Obama».
Qual è?
«La politica estera di Obama non esiste. Perfino il ritiro dall’Afghanistan e dall’Iraq era stato pianificato prima di lui. Adesso annuncia che vuol tagliare gli investimenti militari in Medio Oriente seminando il panico in Israele ma anche in tutti gli altri paesi, perché, al di là della retorica, gli arabi sanno che non c’è alternativa alla sicurezza garantita dagli Usa in una regione etnicamente divisa e nel caos. Se Washington fa capire che se ne va, che succede qui? Magari sbuca fuori un altro Assad. Gli israeliani hanno ragione a essere allarmati, la riluttanza di Obama a tirare qualche missile sulla Siria non li incoraggia a contarci in caso di un raid iraniano».
La Russia di Putin non può diventare un garante alternativo e credibile?
«Il pezzo sul New York Times trasuda indottrinamento da Kgb: Putin gioca ancora come uno 007 sovietico. Ma la sua iniziativa sulla Siria, sebbene confusa, ha messo in scacco Obama. Che succede se fallisce? Obama torna al Congresso? Già nel 2009 preferivo McCain, era più chiaro di quel senatore Obama così poco deciso: la Siria è l’ennesima prova della sua inadeguatezza».
È favorevole all’intervento in Siria?
«Andava fatto due anni fa. Ora chi spiega ai parenti delle 100 mila vittime la storia della linea rossa? In Siria sarà l’inferno per anni anche perché, come in tutti i paesi arabi tranne l’Egitto, l’esercito è tribale e difende il potere. Condivido le paure dell’occidente che teme un post Assad jihadista. È tardi per attaccare Damasco o per la no fly zone. Qualcosa va fatto, speriamo che l’iniziativa russa funzioni, proviamo a bloccare i gas. Ma, diversamente dalla Libia, non si può più aiutare la Siria».
Sa che i libici sostengono Obama?
«In realtà devono ringraziare la Nato, senza il cui intervento Gheddafi avrebbe fatto colazione con i ribelli libici».
E l’esercito egiziano? È tentato dalle lusinghe del Putin anti islamisti?
«L’Europa giudica i generali egiziani golpisti e sbaglia: la presidenza Morsi non era democratica e se oggi non c’è democrazia c’è però libertà. Ma, dissensi a parte, il nostro esercito non mollerà gli Usa perché finché siamo amici la pace con Israele regge e nessuno qui vuole davvero metterla in discussione».
Libero-Carlo Panella: " Assad bluffa a Ginevra, intanto spara sugli ospedali"


John Kerry e Serghei Lavrov a Ginevra
«E’ un po’ presto per credervi sulla parola…»: la sferzata di J.F. Kerry al suo collega russo Serghej Lavrov indica perfettamente gli scarsissimi esiti che – alla fine - potrà avere la pur magistrale mossa russa di bloccare i raids americani mettendo in scena la trattativa di Ginevra sul disarmo chimico di Beshar al Assad. In buona sostanza, infatti, i russi,che hannoindubbiamente portato a termine un fulmineo contropiede sfondando la porta di Barack Obama, costretto a invischiarsi in una trattariva complessa e lunghissima, non possono che offrire parole e assicurazioni sul punto. Lo schemadi gioco è quello già praticato con successo per anni con l’Ammini - strazioneObamadagli iraniani – anch’essi spalleggiati da Mosca - ora alleati di Assad: invischiare la controparte in complessi meandri di accordo, e intanto proseguire impuniti i propri programmi oltranzisti. Accade così che Assad, nel momento stesso in cui dichiara all’Onu di voler aderirealla Convenzionecheproibisce learmi chimiche, ha tutto l’agio, come annuncia l’autorevole Wall Street Journal, di spostare le armi chimiche in nuovi e imprendibili siti. Da parte sua l’opposizione siriana denuncia il trasporto e la consegna di armi chimiche in Libano. «Le forze del regime hanno fatto partire ieri 28 camion militari carichi di missili, casse e altro materiale sconosciuto», ha riferito ieri Hadi al Abdallah, membro del Consiglio generale della Rivoluzione. «Il carico è partito da una località sulla costa siriana, diretto verso il Libano ed è arrivato nella Valle della Beqaa». La trattativa di Ginevra tra Kerry e Lavrov. dunque lascia mano libera al regime siriano, mentre paralizza il fronte internazionale anti Assad. Resta e resterà comunque irrisolvibile un nodo concreto: le migliaia di tonnellate di armi chimiche di Assad sono sparse in una cinquantina di siti ed esistono al mondo solo una dozzina o poco più di team in grado di distruggerle, i quali, ovviamente, devono operare su uno scenario pacificato. Questo significa che Assad potrà anche sottoscrivere – se e quando lo farà - tutti gli impegni che gli chiederà Kerry- ben sapendo che poi nessuno potrà renderli operativi. Per distruggere le migliaia di tonnellate di armi chimiche sparse nel Paese, è infatti indispensabile un cessate il fuoco generale, che nessuno, da una parte o dall’altra, ordinerà. Anche perché Assad continua a massacrare civili con armi convenzionali che per motivi tutti suoi Obama non considera motivo di intervento. Ieri, Human Rights Watch ha denunciato «l’esecuzione sommaria di almeno 248 persone nei villaggi di Bayda e Banias», mentre l’Onu denuncia come «arma di guerra del regime i sistematici suoi attacchi ai centri sanitari: il governo siriano impedisce in maniera sistematica, come prassi, che i feriti provenienti dalle zone controllate dall'opposizione o vicine ad esse siano curati. Per questo conduce incursioni contro le unità mediche, ospedaliere e il personale sanitario. Per questo i caccia di Damasco colpiscono gli ospedali e anche gli ospedali da campo ». Martedì 11 sono stati imorti per ilbombardamento dell’ospedale da campo dei ribelli ad al Bab, in provincia di Aleppo. Non a caso, persino il troppo prudente segretario dell’Onu Ban KiMoon haattribuito ieri la responsabilità dei massacri e dell’impiego delle armi chimiche ad Assad e ha preannunciato un tribunale contro di lui: «Assad si è macchiato di molti crimini contro l’umanità; ci sarà un processo per accertare le sue responsabilità quando tutto sarà finito».
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