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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa-Corriere della Sera Rassegna Stampa
10.09.2013 La crisi siriana vista da Washington
Maurizio Molinari, Guido Olimpio

Testata:La Stampa-Corriere della Sera
Autore: Maurizio Molinari-Guido Olimpio
Titolo: «Obama apre senza convinzione e va a caccia di voti al Congresso-Kaplan, via d'uscita per il presidente-Nazionalisti, islamici, qaedisti: il chi è dei ribelli»

Intanto a Washington, Obama..
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 10/09/2013, a pag.9, due servizi di Maurizio Molinari, dal CORRIERE della SERA l'analisi di Guido Olimpio sui gruppi siriani anti-Assad.

La Stampa-Maurizio Molinari: " Obama apre senza convinzione e va a caccia di voti al Congresso"

La Casa Bianca apre alla proposta russa sul controllo internazionale degli arsenali chimici siriani ma teme un trucco del regime di Damasco per prendere tempo e dunque avverte: «Bashar Assad deve consegnare immediatamente le armi proibite».

È Anthony Blinken, viceconsigliere per la Sicurezza di Barack Obama, ad assicurare che «esamineremo con attenzione la proposta russa» promettendo di «parlarne con Mosca al più presto». Ma c’è scetticismo sulla serietà dell’impegno di Assad «perché fino a questo momento non ha ammesso neanche di possedere l’arsenale chimico» come precisa Ben Rhodes, consigliere strategico del presidente. L’offerta russa viene discussa nello Studio Ovale da Barack Obama con Hillary Clinton. Al termine è l’ex Segretario di Stato che, parlando ad un evento pubblico alla Casa Bianca, fa conoscere l’opinione del presidente: «Il piano russo può essere un passo importante ma può funzionare solo se Assad inizia immediatamente a consegnare le armi chimiche alle Nazioni Unite». Hillary aggiunge: «Se tale possibilità esiste è grazie alla minaccia dell’azione della forza da parte degli Stati Uniti» e dunque «il Congresso deve votare l’autorizzazione ad usarla al presidente Obama». Grinta politica e determinazione personale, fanno dell’ex First Lady il personaggio del giorno a Washington. Anche perché illustra le ragioni dell’intervento militare con una chiarezza che ad altri esponenti dell’amministrazione finora è mancata: «L’uso dei gas da parte di Assad è una minaccia alla convivenza globale, la comunità internazionale non può consentire l’uso di armi di distruzione di massa contro i civili, toglierle dalla circolazione significa impedire che possano cadere nelle mani di Iran o Hezbollah, minacciando partner ed alleati dell’America». Nelle insolite vesti di portavoce di Barack, Hillary domina la scena politica a Washington trasformandosi nell’alleata più importante nella Casa Bianca in vista della battaglia che incombe al Congresso sul voto per l’ntervento. Se infatti al Senato Obama si sente al sicuro, alla Camera dei Rappresentanti è vero l’opposto: i deputati favorevoli sono appena 44 a fronte di 149 contrari e ben 340 indecisi. E’ la conferma di un orientamento dell’opinione pubblica che, secondo un sondaggio Cnn, vede il 59 per cento degli americani contrari e solo il 39 per cento favorevoli all’intervento. La raffica di interviste tv di Obama, trasmesse nella notte, e il suo discorso alla nazione in programma questa sera puntano proprio a conquistare i favori mancanti. A indebolire l’amministrazione sono anche passi falsi come quelli del Segretario di Stato, John Kerry, che parlando da Londra di «intervento incredibilmente limitato» irrita i repubblicani al Senato e suggerendo l’ipotesi della consegna delle armi siriane all’Onu sembra suggerire la mossa di Mosca. Per lunghe ore il tam tam di Washington parla di “scivoloni” e “gaffes” di Kerry fino a quando, ancora una volta, è Hillary a correre in soccorso dell’amministrazione precisando che “come ha detto il Segretario di Stato, la consegna funzionerà solo se inizia subito” e dunque non ci troviamo davanti “all’ennesimo tentativo di Assad di ingannare tutti e prendere tempo”.

La Stampa-Maurizio Molinari: " Kaplan, via d'uscita per il presidente"

Robert Kaplan

«L a proposta russa offre a Barack Obama una via d’uscita alla crisi siriana»: a sostenerlo è Robert Kaplan, lo stratega di «Stratfor» già consigliere di più presidenti americani.

Che effetto può avere a Washington il piano russo per il controllo internazionale sull’arsenale chimico siriano?

«Consente al presidente degli Stati Uniti di poter dichiarare il successo delle proprie pressioni militari e di non condurre l’attacco contro il regime di Assad, evitando un’azione militare dalle caratteristiche incerte come anche di affrontare i rischi connessi ad un voto del Congresso di Washington dall’esito assai dubbio. Sarà Obama a decidere se cogliere tale opportunità».

Ma il piano proposto da Mosca è davvero realizzabile?

«E’ una proposta abile da un punto di vista politico ma sul piano concreto la realizzazione da parte delle Nazioni Unite si preannuncia molto difficile perché si tratta di impiegare un numero massiccio di personale Onu, assumere il controllo di dozzine di siti militari in Siria e di trasportare in luoghi sicuri centinaia di kg di gas nel bel mezzo di una sanguinosa guerra civile».

Come giudica la mossa compiuta da Vladimir Putin?

«Putin si comporta come un abile autocrate russo. Sta giocando una partita geopolitica lucida, raffinata. Ma nasconde un bluff...».

Quale è il bluff?

«Sta nel fatto che i suoi margini di manovra sono destinati a scomparire se gli Stati Uniti lanceranno l’attacco militare contro Assad. A quel punto la debolezza strategica russa diventerebbe palese, impossibile da nascondere. E’ per evitare di trovarsi in tali condizioni che il capo del Cremlino sta operando, con indubbia abilità, per tentare di ostacolare l’America».

Barack Obama appare stretto fra lo scenario di un intervento limitato e un voto al Congresso che rischia di indebolire la sua credibilità. Perché si trova in tale situazione?

«Per il motivo che la politica estera degli Stati Uniti non è più disciplinata come avveniva ai tempi della Guerra Fredda. Basta guardare a quanto avvenuto nelle ultime settimane per accorgersene. Quando Gorbaciov era al Cremlino e iniziò a seguire la strada che avrebbe portato alla dissoluzione dell’Urss Bush padre ordinò ai funzionari di non parlare più di diritti umani per non irritare Mosca, perché avrebbe potuto creare ostacoli imprevisti. Tale disciplina alla Casa Bianca non c’è più».

Come spiega la scelta di Obama e del Pentagono di annunciare in anticipo che l’intervento sarà “limitato”?

«Lo spiego con l’assenza di strategia. Questo tipo di attacchi hanno successo se chi li riceve non ha idea di cosa sta per avvenire. Quando Bill Clinton attaccò la Jugoslavia per liberare il Kosovo ebbe successo perché non avvertì in anticipo Slobodan Milosevic che sarebbe stata esclusivamente una campagna aerea».

Corriere della Sera-Guido Olimpio: " Nazionalisti, islamici, qaedisti: il chi è dei ribelli"


                                                                                             Guido Olimpio

 WASHINGTON — Non temono le pallottole. Agiscono dietro tante sigle. Avrebbero bisogno di un comando unificato e si trovano d'accordo solo su un punto: la cacciata di Assad. Per il resto la resistenza anti Assad è fluida e rispecchia divisioni legati ai conflitti della regione. Semplicistica la divisione moderati/ estremisti. H dogma appartiene solo alla componente qaedista. E non manca chi crede in forme democratiche. Ancora oggi in Occidente ci si arrovella su chi sia l'interlocutore ideale. La risposta definitiva non c'è. I diversi tentativi di trovare una voce comune sono falliti. Per colpa dei ribelli e delle manovre messe in atto da quanti sostengono l'opposizione. Sauditi, qatarioti, turchi hanno sfruttato le paure di Washington per servire i propri interessi e al tempo stesso presentarsi come garanti. Ognuno ha i suoi «cavalli». Figura chiave è il principe Bandar, attuale capo dell'intelligence in Arabia Saudita, profondo conoscitore del mondo politico Usa e in grado di essere ricevuto da Putin. La brutalità del regime ha poi incoraggiato le spinte oltranziste. A livello ufficiale esistono tre entità che pretendono di gestire le operazioni. L'Esercito libero siriano formatosi attorno a un nucleo di disertori, il Consiglio nazionale siriano, dove mettono mani e soldi il Qatar quanto i sauditi, il Comando supremo militare, oggi affidato al generale Salim Idris, altro personaggio molto vicino a Riad. Sotto, le «brigate». In alcuni casi c'è un rapporto gerarchico, spesso è un legame di convenienza. Non di rado i combattenti fanno di testa loro. La strategia è legata a quanto avviene attorno a un villaggio/città e non è globale. Gli Usa hanno cercato di migliorare il coordinamento con esiti scarsi. Un altro aspetto è quello del finanziamento diretto. Intere «brigate» ricevono denaro da privati cittadini del Kuwait o dell'Arabia. Assicurano dollari, organizzano lotterie pubbliche di solidarietà, preparano spedizioni.
La «Katiba» ribelle risponde documentando gli attacchi con i video. In questo modo è facile condizionare o far passare di campo interi battaglioni. Questo spiega in parte il proliferare su YouTube dei filmati dei reparti famosi. La Brigata Faruq (fondata da un saudita), la Al Liwa vicino a Fratelli musulmani, o la Ahfad Al RasuL Solo alcune delle centinaia.
La galassia dei nemici di Assad si compone di diversi filoni, con migliaia di guerriglieri. I nazionalisti (in gran parte ufficiali e disertori), i pragmatici che oscillano a seconda del momento, gli islamisti vicini alla Fratellanza musulmana, i salafiti (estremisti con un'agenda locale), l'asse qaedista-jihadista che attira i volontari dall'estero, dai 6 mila ai io mila.
Discorso a parte per i curdi del Pyd. Di fatto sono rimasti neutrali con il regime e sono avvinghiati in una lotta sanguinosa con gli islamisti ma anche con l'Esercito libero. L'obiettivo è difendere la loro enclave, rinsaldando i vincoli con i curdi turchi e iracheni. Per questo Ankara risponde aiutando gli integralisti di Al Nusra. Proprio la frattura curdi-jihadisti è un'indicazione di quello che potrebbe accadere nel caso di una sconfitta di Assad. Non poche brigate sono a favore di uno Stato di orientamento islamista, cambiano solo le gradazioni. Ovviamente più marcate quelle dei terroristi di Al Nusra, guidati da Abu Mohamed Al Golani. Sono nati grazie all'aiuto dello Stato Islamico dell'Iraq, Isis, la branca irachena di Al Qaeda con la quale collaborano e, a volte, litigano. Gli Usa li hanno inseriti nella lista nera del terrore. Sognano il Califfato, si sono resi protagonisti di massacri contro gli alawiti, hanno un programma «regionale» che corre parallelo alla guerra sunniti-sciiti e al duello Arabia-Iran. Ne sono parte, come l'Isis il cui leader vivrebbe nell'Est della Siria, al suo fianco molti mujahedin.
Un gradino sotto c'è il Fronte islamico siriano, dove però militano anche gruppi pragmatici, e i guerriglieri di Ahrar Al Sham.
E un orizzonte che non rassicura Washington, sempre fredda verso la crisi. Diversi report sostengono che Usa, Francia e Giordania hanno puntato su un contingente di ribelli che dovrebbe agire a sud, nel settore di Deraa.
I sostenitori degli insorti insistono: Obama, aiuta i moderati altrimenti i radicali prenderanno campo. Gli scettici ribattono: attento, domani ti ritrovi Al Qaeda al comando. Ed è così che la via di Damasco somiglia al percorso di un labirinto.

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