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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa-Il Foglio-Corriere della Sera Rassegna Stampa
06.09.2013 Siria: il piano Usa anti-Assad, le armi chimiche, le atrocità dei ribelli
Analisi di Maurizio Molinari, Pio Pompa, Guido Olimpio

Testata:La Stampa-Il Foglio-Corriere della Sera
Autore: Maurizio Molinari-Pio Pompa-Guido Olimpio
Titolo: «Ecco i piani anti-Assad del Pentagono-Nonostante vincoli e segreti, non ci sono dubbi sull'attacco chimico in Siria-L'esecuzione dei soldati di Assad e i timori per le atrocità dei ribelli»

Tre analisi utili per capire quel che succede in Medio Oriente. Maurizio Molinari  sulla STAMPA sulla politica americana, Pio Pompa  sul FOGLIO sulle armi chimiche di Assad e Guido Olimpio sul CORRIERE della SERA sulle stragi dei ribelli anti-Assad.

La Stampa-Maurizio Molinari: " Ecco i piani  anti-Assad del Pentagono"


Maurizio Molinari

Gli Stati Uniti usano più potenza di fuoco e Bashar Assad non erisponde all’attacco ma a prendere l’iniziativa sono i ribelli, infliggendo al regime una spallata capace di trasformarsi nella svolta della guerra civile: è lo scenario dell’intervento a cui Washington lavora, secondo analisi e ricostruzioni di componenti della delegazione al seguito di Barack Obama.

I tempi dell’attacco «Il Senato voterà a partire da lunedì 9 settembre» prevede un diplomatico, lasciando intendere che «la Camera si esprimerà la settimana seguente». Ciò comporta che «possono passare circa due settimane» prima che Obama dia al Pentagono l’ordine dell’attacco. Sempre a patto che i due rami del Congresso riescano a convergere su un identico testo.

La coalizione

L’alleanza che Obama si propone di guidare è assai diversa da quelle che finora hanno accompagnato gli interventi Usa dalla fine della Guerra Fredda. Il motivo è che «questa volta non abbiamo bisogno di aiuto militare» trattandosi di un’operazione limitata mentre ciò che serve è il «sostegno politico» spiega un consigliere. A tale riguardo «importante è il sostegno che daranno i Paesi arabi» a cominciare da Arabia Saudita, Qatar ed Emirati a cui si aggiunge la Turchia già apertamente favorevole - perché disegnano un consenso regionale alla «punizione di Assad per l’uso dei gas». Sul fronte europeo la partecipazione della Francia si unisce «alle dichiarazioni di Paesi come la Svezia che esprimono la necessità di dare una risposta all’uso dei gas se l’Onu non lo farà» e «alla Germania che condivide le prove a carico di Assad». È una cornice minima ma a Obama sembra bastare «anche perché dopo la bocciatura di David Cameron in Parlamento» la defezione di Londra rende più difficile ulteriori adesioni.

L’attacco

Quando Obama darà luce verde al Pentagono l’intervento sarà contro «obiettivi» selezionati per «degradare l’efficacia delle forze siriane, chimiche e convenzionali» e ciò a prescindere dallo spostamento di truppe e mezzi da parte del regime. La distruzione di antiaeree, piste, centri di comando e controllo, aerei ed elicotteri priverà Assad «almeno del controllo dei cieli che finora è stato un vantaggio sui ribelli».

Più potenza di fuoco

Il Pentagono si prepara a usare più potenza di fuoco. Il motivo è la necessità di colpire «più obiettivi», affermano fonti militari al «Wall Street Journal», ovvero anche quelli «nuovi» creati dal regime spostando truppe e armamenti. Oltre ai missili Tomahawk saranno impiegati i bombardieri: i B52 in grado di lanciare cruise, i B1 di base in Qatar e i B2 posizionati in Missouri. Saranno tali aerei, in grado di colpire da grande distanza, a occuparsi di una «seconda ondata» di attacchi dopo quella iniziale dei missili partiti dalle navi.

Assad non reagisce

Nell’amministrazione è diffusa la convinzione che Assad «non reagirà all’attacco» proprio come è avvenuto in occasione degli almeno quattro blitz israeliani subiti nell’arco dell’ultimo anno. «È verosimile che Assad avrà un comportamento simile, scegliendo di non sfidare gli Stati Uniti per non andare incontro a ripercussioni più pesanti» assicura un consigliere.

Le navi russe osservano

Il team del presidente valuta in «almeno 20 o forse più» le navi da guerra di Mosca davanti alle coste siriane ma nessuno pensa che interverranno, neanche passivamente, per ostacolare l’intervento. «Sono lì per osservare ciò che accadrà» afferma una diplomatico, lasciando intendere che si tratta di un’operazione di spionaggio che «non avrà conseguenze».

L’offensiva dei ribelli

Il tassello più importante dello scenario americano sono i ribelli perché Washington ritiene che «dopo i duri colpi inferti al regime» saranno le loro unità a prendere l’iniziativa, esercitando una massiccia pressione contro un regime in affanno. Stiamo parlando delle unità dei ribelli non-jihadiste, addestrate in Turchia e Giordania da istruttori americani, francesi e britannici grazie ad armi fornite da Paesi del Golfo ed ora in arrivo dagli Usa. Alcune di queste unità potrebbero assumere il controllo di singole aree, ai confini con Giordania e Turchia, e le forze jihadiste di Jubat al-Nusra vengono considerate «non così efficienti come alcuni reputano». A dimostrarlo sarebbe il fatto che «ogni volta che si sono trovate davanti i pashmerga curdi hanno battuto in ritirata».

La soluzione politica

È in una Siria con Assad indebolito e i ribelli rafforzati, che l’amministrazione si propone, a intervento finito, di rilanciare i colloqui per la «transizione», contando sul fatto che il regime non avrà più la forza per opporsi.

Il Foglio-Pio Pompa: " Nonostante vincoli e segreti, non ci sono dubbi sull'attacco chimico in Siria "


Roma. E’ stata Hezbollah, il nocciolo duro e vincente nella controffensiva di Bashar el Assad contro i ribelli, a consentire a quei servizi d’intelligence che da anni ne seguono le tracce di massimizzare, proprio sul territorio siriano, l’efficacia degli agenti infiltrati e della rete informativa da loro predisposta. E’ in questo modo che sono state acquisite, nel corso del tempo, le informazioni e le prove sull’uso ripetuto delle armi chimiche da parte del regime di Damasco, culminato nell’uccisione di 1.429 persone. Tuttavia può accadere che l’eccessiva prudenza e una letale indeterminatezza dei vertici politici possano condurre a decisioni contraddittorie e tardive vanificando di fatto l’attività d’intelligence. Tranne, poi, rivalutarla repentinamente come accaduto in questi giorni di fronte all’ennesimo eccidio compiuto da Assad. “Prima che il segretario di stato americano John Kerry – racconta al Foglio una fonte d’intelligence mediorientale – rendesse pubbliche le quattro pagine sulle prove raccolte dagli Stati Uniti sull’attacco con armi chimiche a Ghouta, l’Amministrazione Obama sarebbe stata a un passo dal lanciare un intervento militare che prevedeva l’uccisione o la cattura di Assad. Sennonché il timore di impantanarsi nella polveriera mediorientale, unito ai fantasmi dell’Iraq e dell’Afghanistan e alla disfatta di David Cameron in Parlamento, ha indotto il presidente americano a percorrere la strada della prudenza. Alla fine la scelta di Washington ha alimentato il fronte dei non interventisti che hanno colto l’occasione anche per adombrare il sospetto sulle prove acquisite dall’intelligence statunitense. Da qui l’insoddisfazione con la quale sono state accolte le motivazioni sostenute da Kerry”. Ora sarebbe intervenuto un ulteriore scoglio a rendere ancora più complessa la diffusione di quelle prove, tenute segrete a tutela della sicurezza del dispositivo Humint dislocato in Siria. “Da nostre informazioni – continua la fonte d’intelligence – sembra che tali prove provengano anche da servizi alleati dell’America che avrebbero chiesto il vincolo della segretezza e che non si faccia menzione della fonte. Un vincolo, quindi, che lascia pochi margini d’azione all’utilizzatore finale. Non sappiamo se sarà mai possibile la diffusione delle prove o se altri soggetti, ad esempio l’Onu, siano ammessi a esaminarle. Quel che io posso testimoniare è l’assoluta affidabilità delle prove acquisite dagli Stati Uniti e l’esistenza incontrovertibile della “pistola fumante” che comprende anche l’ordine impartito da un gerarca siriano di usare il sarin. Si tratta del fratello minore del presidente siriano, quel Maher el Assad già coinvolto nell’assassinio dell’ex premier libanese Rafiq Hariri che, contrariamente a quanto riportato da alcuni organi di stampa, avrebbe assunto la decisione concordandola direttamente con Bashar. Entrambi hanno scelto consapevolmente di ricorrere all’uso delle armi chimiche con l’obiettivo di terrorizzare la popolazione e gettare nello sgomento i ribelli”. Della partita sarebbero stati anche i vertici militari di Hezbollah, anch’essi convinti di fiaccare il nemico e la popolazione con il gas.

 Corriere della Sera-Guido Olimpio: "L'esecuzione dei soldati di Assad e i timori per le atrocità dei ribelli"

Video e foto girano da mesi. Documentano scene di guerra ma anche gli eccessi, le torture, gli abusi. Compiuti da entrambe le parti in Siria. Ma la decisione del New York Times di pubblicare l'immagine in prima pagina e il filmato sul sito ha un alto impatto politico. Perché mostra un gruppo di insorti a uccidere, nel mese di aprile, alcuni soldati lealisti e cade nel pieno del dibattito al Congresso sull'opportunità di attaccare la Siria. La foto verrà usata da quanti, nell'opinione pubblica e tra i deputati, sono contrari all'intervento. Un no spesso motivato dalla scarsa fiducia o ostilità nei confronti dei ribelli considerati estremisti e vicini ad Al Qaeda. Tema forte, che fa presa e che ha dei sostenitori anche all'interno dell'amministrazione Obama. Nell'articolo che accompagna l'immagine, il quotidiano spiega che a capo del gruppo autore dell'esecuzione è Abdul Samad Issa, 37 anni, ex commerciante trasformatosi in guerrigliero. Noto come " lo zio", ha formato e finanziato lui stesso la sua fazione composta da circa 300 elementi e attiva nel Nord della Siria. Issa sarebbe mosso dallo spirito di vendetta. Suo padre sarebbe scomparso nell'82 quando il regime schiacciò la rivolta di Hama, con decine di migliaia di persone trucidate o fatte sparire. Il documento ha fatto discutere ed è rispuntato sulle tv. Però è anche vero che ve ne sono altri non meno terribili che testimoniano la ferocia dei soldati di Assad. Questa non è una giustificazione ma la prova che in un conflitto civile si commettono brutalità indicibili. Solo che in questo modo il New York Times sembra sposare il famoso detto meglio il diavolo che conosci dell'angelo sconosciuto». Un vecchio proverbio che ben coglie gli umori della Washington politica e militare.

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