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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa - Il Foglio - Corriere della Sera Rassegna Stampa
04.09.2013 Siria: le armi chimiche di Assad
cronache e commenti di Maurizio Molinari, Daniele Raineri, Bernard-Henri Lévy, Guido Olimpio

Testata:La Stampa - Il Foglio - Corriere della Sera
Autore: Maurizio Molinari - Daniele Raineri - Bernard-Henri Lévy - Guido Olimpio
Titolo: «Forniture russe, tecnologia Ue. Così è nato l’arsenale chimico - Hollande più determinato di Obama, ma i francesi hanno perso coraggio - Navi, missili, soldati e falsi bersagli. Usa e Siria si preparano allo scontro»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 04/09/2013, a pag. 3, l'articolo di Maurizio Molinare dal titolo " Forniture russe, tecnologia Ue. Così è nato l’arsenale chimico ". Dal FOGLIO, a pag. 1-4, l'articolo di Daniele Raineri dal titolo " Perché Assad è costretto a ricorrere alle armi chimiche a Damasco ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 5, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " Navi, missili, soldati e falsi bersagli. Usa e Siria si preparano allo scontro ", a pag. 34, l'articolo di Bernard-Henri Lévy dal titolo " Hollande più determinato di Obama, ma i francesi hanno perso coraggio ".


Con qualche goccia di profumo ha un odore delizioso
Ecco i pezzi:

La STAMPA - Maurizio Molinari : " Forniture russe, tecnologia Ue. Così è nato l’arsenale chimico "


Maurizio Molinari

Ingenti forniture da Mosca, acquisti dall’Europa all’Asia e almeno una parte delle armi chimiche di Saddam: sono le tre origini dell’arsenale di gas della Siria che, da almeno 15 anni, ha raggiunto la capacità produrle.

Damasco firma il Protocollo di Ginevra del 1925 contro le armi chimiche nel 1968, due anni dopo il golpe che porta al potere il gruppo di generali che include Hafez Assad, ma alla vigilia della guerra del Kippur del 1973 l’Egitto fa arrivare le prime forniture di gas mostarda e sarin. Quando i carri israeliani arrivano a 41 km da Damasco le forze siriane non sono ancora addestrate a lanciare i gas ma dopo l’armistizio Assad decide - secondo un rapporto della Nuclear Threat Initiative del Centro di nonproliferazione dell’Istituto di Montenerey in California - di rivolgersi a Mosca, puntando sulle armi chimiche per bilanciare la superiorità militare di Gerusalemme. Il National Intelligence Estimate redatto dai servizi Usa il 15 settembre 1983 riassume così quanto avvenuto nei dieci anni precedenti: «La Siria ha ricevuto grandi quantitativi di armi chimiche e biologiche sovietiche» e in particolare «Urss e Cecoslovacchia hanno consegnato agenti chimici, sistemi di lancio e garantito istruttori».

Sono questi gas che, secondo Amnesty International, Assad usa nel febbraio 1982 per reprimere la rivolta di Hama. Nel giugno seguente Assad subisce un nuovo smacco da parte di Israele: l’intera aviazione viene annientata durante l’operazione «Pace in Galilea» in Libano e «per reazione decide di produrre in proprio i gas», scrive l’analista Zuhair Diab sulla «Non proliferation Review» nel 1997. Questo è il motivo per cui dalla metà degli anni Ottanta iniziano gli acquisti in Europa e Asia di materiali e sostanze necessarie a realizzarli: nel 1983 arrivano dalla Germania ampolle resistenti alle corrosioni e equipaggiamenti da laboratorio, nel 1989 Pechino recapita 11 mila maschere antigas e il 9 febbraio di quell’anno il direttore della Cia William Webster ammette al Congresso che Assad è «sta ammassando munizioni chimiche, non solo acquistate ma prodotte». I centri di stoccaggio sono a Khan Abu Shamat e Furqlus mentre lo sviluppo avviene nel Centro di studi e ricerche scientifiche di Damasco.

Nel 1985 Washington convince l’Australia Group - oltre 40 nazioni - a bloccare la vendita a Damasco di sostanze farmaceutiche capaci di essere usate anche a fini militari ma gli esiti sono scarsi. Nel maggio 1992 Assad acquista dall’India 45 tonnellate di precursori per gas nervino e il mese seguente un cargo tedesco viene bloccato a Cipro con una seconda spedizione da parte della «United Phosphourus Limited» indiana, la cui difesa è che si tratta di «sostanze per la produzione di pesticidi». Assad non esita a corrompere alti funzionari e imprenditori: il generale russo Anatoly Kuntsevich, ex capo della Commissione sulle armi chimiche di Mosca, nel 1995 viene processato per vendita illegale a Damasco di 815 kg di sostanze proibite, e nel 1996 è l’industriale tedesco Hans-Johachim Rose, direttore di Rose GmbH, ad essere incriminato per export illegale. Nel 1996 consegne di «materiale per fabbricare armi chimiche» vengono bloccate a Cipro, provenienti da Russia e Cuba. Stati Uniti e Israele si convincono che Assad acquista da Mosca le armi più avanzate e al tempo stesso accelera la produzione di quelle più rudimentali. Nel giugno 2002 due cargo dell’aviazione irachena trasportano a Damasco armamenti chimici di Saddam. George Sada, ex vicecapo dell’aviazione di Baghdad, lo racconta al «New York Sun» del 2006: «Adattammo due aerei di linea per trasportare centinaia di tonnellate di sostanze chimiche». Nel dicembre 2002 l’allora premier israeliano Ariel Sharon in un’intervista tv avverte Washington che «gran parte delle armi chimiche di Saddam si trova in Siria». A confermarlo è David Kay, ex capo degli ispettori Onu in Iraq, che nel 2004 dichiara a «The Telegraph»: «Dagli interrogatori di ex funzionari iracheni sappiamo che una parte del materiale proibito è stato trasferito in Siria prima della guerra, cosa ne sia avvenuto deve essere ancora determinato». Ciò significa che è finita a Damasco almeno una parte dell’arsenale di gas di Saddam, che li usò a Halabja nel 1988 per sterminare 5000 curdi.

Lo shopping europeo di Damasco, dove Bashar succede al padre Hafez, si svolge anche in Gran Bretagna dove, fra il 2000 e 2001, acquista precursori chimici e, secondo «The Independent» continua fino al gennaio 2012 quando - a guerra civile iniziata - un’azienda britannica viene autorizzata a vendere ai siriani sostanze «dual use» - possibili da usare a fini militari - per sei mesi. Secondo uno studio di «Globalsecurity» «gran parte della tecnologia per la produzione di gas è stata acquistata con transazioni in Olanda, Svizzera, Francia, Austria e Germania». «L’esistenza dell’arsenale chimico siriano riassume Amy Smithson, del James Martin Centre per la Non-proliferazione di Washington - si deve in gran parte agli aiuti ricevuti dall’esterno anche se ora è in grado di produrre i gas da solo». A soffermarsi sulla continuità delle forniture russe dopo la fine dell’Urss è il rapporto del Congressional Research Service del 2012 che cita gli esperti Mary Beth Nitikin, Andrew Feickert e Paul Kerr: «Mosca ha fornito per decenni istruttori, agenti chimici e vettori a Damasco». Ciò spiega perché, secondo l’ex ispettore Kay è «di uno degli arsenali più avanzati del mondo».

Il FOGLIO - Daniele Raineri : " Perché Assad è costretto a ricorrere alle armi chimiche a Damasco "


Daniele Raineri

Roma. Il presidente siriano Bashar el Assad dice che le accuse contro di lui per le stragi con le armi chimiche sono illogiche. “Che beneficio avrei a usare le armi chimiche quando la nostra situazione sul terreno oggi è migliore dell’anno scorso? Perché un esercito, di qualsiasi stato, userebbe armi di distruzione di massa proprio nel momento in cui sta facendo progressi con le armi convenzionali?”, ha chiesto lunedì all’intervistatore del Figaro. Il governo siriano preme su questa narrativa: ha recuperato l’iniziativa militare e sta vincendo, quindi non avrebbe bisogno di usare il gas. E’ vero che il presidente ha recuperato il controllo di Homs, nel centro del paese, grazie ai combattenti del gruppo libanese Hezbollah, ma nel resto della Siria la rimonta assadista è un’illusione. Ad Aleppo i ribelli hanno preso la località di Khan Assir, tagliando l’ultimo corridoio che univa le truppe al resto dell’esercito – ora sono isolate. A Damasco i ribelli stanno avanzando e “l’intera leadership siriana vive nella paura che le linee di difesa stiano per collassare”, scrive l’ultimo Spiegel, che ha fonti sul posto. “Poco prima dell’attacco con il gas, i ribelli stavano ammassando le forze in unità più grandi per un’offensiva dentro Damasco. Gruppi di combattenti si erano già infiltrati in città e l’esercito siriano si preparava a difenderla”. Già a maggio il Monde aveva scritto, grazie a due inviati, che il comando siriano faceva un “uso tattico delle armi chimiche” nella periferia della capitale: un impiego limitato e molto localizzato, per far arretrare i ribelli da settori del fronte troppo difficili da ripulire con altri mezzi. Se usasse i soldati, dovrebbe farli combattere per ogni palazzo e per ogni angolo. Il 24 luglio i ribelli hanno lanciato una grande offensiva contro tre aree controllate dagli assadisti: Jobar, Qaboun e Barzeh. Il governo ha reagito con bombardamenti intensi, ma non riesce a sloggiarli: per la prima volta, i ribelli riescono a spingersi in tre quartieri e a tenerli, senza interrompere nel frattempo le operazioni contro altri grandi obiettivi di Damasco, incluso l’aeroporto internazionale e quello militare di Mezzeh. Secondo alcuni analisti militari sentiti dal Wall Street Journal, le testate chimiche usate il 21 agosto facevano parte di un bombardamento preventivo – anche convenzionale – per rompere le linee della guerriglia prima di un contrattacco dell’esercito. Fino a luglio il governo siriano ha fatto affidamento sulla sua superiorità aerea per tenere a bada l’avanzata dei ribelli dalla periferia di Damasco, ma ora il vantaggio sta venendo meno. Secondo alcuni video usciti il 29 luglio, Liwa al Islam – che è uno dei battaglioni ribelli più impegnati nei combattimenti – ha abbattuto un elicottero con un missile terra aria da spalla (un Sa-8 Gecko di fabbricazione sovietica). Il gruppo ne avrebbe molti grazie ai saccheggi nei depositi dell’esercito e per gli esperti di tecnologia militare sarebbe stato molto difficile renderli operativi senza ricevere aiuto e istruzioni dall’esterno. Liwa al Islam ha minacciato il governo: ogni aereo che sorvolerà la Ghouta, la zona a est e sud della capitale, sarà abbattuto. E’ la stessa area delle stragi chimiche del 21 agosto. Per il governo non va meglio con i corazzati. All’inizio di agosto i ribelli hanno conquistato un deposito a nord di Damasco e hanno trovato un tesoro, dal punto di vista strategico: centinaia di missili controcarro, di fabbricazione sovietica, come i Konkurs, ma anche occidentale, come i francesi Milan. Ora nelle vie strette sotto la tangenziale di Damasco è un massacro quotidiano di carri armati, colpiti a distanza ravvicinata. Senza più la superiorità aerea garantita e con le unità a terra in difficoltà e in lento arretramento, la logica di Assad – non usiamo le armi chimiche perché stiamo vincendo – non regge. Il think tank Institute for the Study of War, che segue nel dettaglio i combattimenti, nota – in un’analisi scritta prima dell’ultima strage chimica – che cominciano anche a venire in superficie tensioni tra le forze governative. Imporre ai soldati gli ordini, soprattutto nel caso di operazioni che prevedono il bombardamento di settori abitati, è sempre più difficile ora che i ribelli spostano il fronte verso la città. E’ un altro motivo che costringe il comando siriano a impiegare le armi più letali dell’arsenale. Ieri il presidente americano Barack Obama, che deve convincere il Congresso ad autorizzare l’attacco contro Assad, ha portato dalla sua lo speaker della Camera dei Rappresentanti, il repubblicano John Boehner. Nei briefing con i senatori John McCain e Lindesy Graham, il presidente ha rivelato un dettaglio importante: una prima squadra di 50 ribelli siriani addestrati dalla Cia è già dentro la Siria.

CORRIERE della SERA - Bernard-Henri Lévy : " Hollande più determinato di Obama, ma i francesi hanno perso coraggio "


 Bernard-Henri Lévy

Che strano clima! Ecco un presidente determinato, che dopo la carneficina del 21 agosto alla periferia di Damasco ha avuto il riflesso giusto. Ecco un presidente che ha avuto la buona ispirazione, trovando le parole, anche la denominazione, «massacro chimico», di questo bombardamento. Ed ecco un presidente che ha fatto onore alla Francia parlando, per primo, della necessità di una risposta e trascinando dunque con sé, come aveva fatto Nicolas Sarkozy in Libia, un Barack Obama esitante.
Ebbene, di fronte a questo, che cosa vediamo? Mass media litigiosi, cavillosi, sospettosi. Il «non mi fido» dell'immortale Juliet Berto nel film La cinese di Jean-Luc Godard, divenuto il punto centrale dell'analisi politica in questi tempi di complottismo generalizzato. Vediamo la gioia bizzarra, quasi malvagia, che si percepisce nei commentatori quando sottolineano: chi l'isolamento del presidente, chi la sua precipitazione, chi il fatto che l'omologo americano non l'abbia citato nel proprio discorso. Un'opinione pubblica che, in maniera generale, ha sempre meno scrupoli nel far sapere che la storia dell'attacco con i gas non le fa né caldo né freddo e che, quanto a gas, è molto più preoccupata d'esserne privata se, proprio alle soglie dell'inverno, il temibile Putin decidesse d'irritarsi davvero. E una classe politica scesa ai livelli più bassi che, invece di far blocco — come s'usa quando il Paese impiega la forza militare su un teatro esterno — attorno al capo delle forze armate e di dimenticare, per un istante, appena un istante, le sue legittime dispute politiche, dà prova d'una leggerezza, se non di un'irresponsabilità, desolanti.
Da una parte c'è la signora Le Pen, con l'insulto pronto, che persevera, come un tempo suo padre, nel sostenere le dittature arabe, nemiche del diritto e della Francia: è una costante del suo partito. C'è Jean-Luc Mélenchon, che abbiamo visto più ispirato quando approvava l'intervento di Nicolas Sarkozy in Libia e che vorremmo ci spiegasse in virtù di quale logica la caduta del tiranno Assad gli appaia meno auspicabile di quella del tiranno Gheddafi: opportunismo? Voltagabbanismo? Un odio accecante nei confronti dei suoi ex compagni? O altro? C'è il Partito comunista o, almeno, quel che ne resta, che lancia attraverso L'Humanité una grande petizione nazionale contro la guerra: la «grande petizione» non andrà lontano, ma comunque! Il partito dei morti nella Resistenza, quello dell'intervento in Spagna e delle Brigate internazionali, che vola in aiuto d'un tiranno divenuto folle: che pietà!
Sul fronte opposto, c'è la destra repubblicana o, perlomeno, alcuni dei suoi protagonisti, la cui posizione o i cambiamenti di posizione, lasciano perplessi: che cos'è successo fra l'epoca (marzo 2012) in cui Dominique de Villepin giudicava maturo il tempo di «un'azione sul terreno», da condursi con «offensive mirate» contro le istituzioni «civili e militari siriane» e quella (d'una decina di giorni fa) in cui afferma che un'offensiva «anche mirata» non può che «allontanarci da un regolamento politico» del conflitto? E come può il presidente del partito gollista Ump, Jean-François Copé, a pochi giorni d'intervallo, ritenere «giusta nella forma come nel merito» la posizione francese e poi dissociarsene adducendo il motivo, indegno di lui, poco serio, che il capo dello Stato rifiuterebbe «ostinatamente» di «ricevere i capi dell'opposizione e i presidenti dei gruppi parlamentari»? Cosa dire, infine, della base Ump che come un sol uomo ha seguito il proprio capo e ora — come del resto il Partito socialista guidato all'epoca da Martine Aubry, quando si trattò nel marzo 2011 di salvare Bengasi — fa la difficile o s'oppone di fronte alla possibilità di fermare un'ecatombe che ha già provocato 110 mila morti?
E poi i socialisti... I socialisti sempre pronti a fustigare la sinistra americana e che adesso, all'improvviso, cominciano a sognare a voce più o meno alta di fare «come l'America» e d'aver diritto, anch'essi, al loro quarto d'ora di celebrità parlamentare: la Francia non è l'America; la sua Costituzione prevede un calendario molto preciso che obbliga l'esecutivo a informare la rappresentanza nazionale in caso d'ingaggio dei nostri soldati, ma un voto preliminare, un voto che autorizzi tale ingaggio no, non è nella lettera e neppure nell'uso delle nostre istituzioni e sarebbe — se, non oso immaginarlo, si cedesse alle pressioni — un grave attacco, senza precedenti, allo spirito delle nostre leggi. Tutto questo non è degno né ragionevole. Né è degno o ragionevole il modo di qualificare, qui o là, come guerrafondai gli amici della giustizia e della pace ai quali la Storia ha insegnato che esistono circostanze in cui, ahimè, la forza è l'ultimo ricorso per convincere gli assassini.
Nessuno parla di «fare la guerra alla Siria». Nessuno ha l'intenzione di condurre, al posto degli stessi siriani, il loro duplice e necessario combattimento contro la dittatura e contro l'islamismo radicale. Ma la legge internazionale esiste. Essa dà ai popoli liberi la responsabilità di proteggere coloro che non lo sono e che una lotta impari espone al massacro di massa. Contravvenire a questa legge, sottrarsi a questo mandato, sabotare un giusto intervento deciso e, lo ripeto, sollecitato per primo dalla Francia, significherebbe la violazione del diritto e, per le democrazie, sarebbe fonte d'un discredito durevole che stavolta, indubbiamente, destabilizzerebbe il mondo.

CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " Navi, missili, soldati e falsi bersagli. Usa e Siria si preparano allo scontro "


Guido Olimpio

Assad avrà chiesto consigli ai vecchi ufficiali di Gheddafi, ai serbi che hanno servito con Milosevic, agli ufficiali nordcoreani che collaborano con il suo esercito e, infine, ai russi che lo assistono. Poi avrà riesaminato le incursioni dell’aviazione israeliana contro le installazioni militari siriane. Almeno quattro. Quindi ha impartito gli ordini nella speranza di proteggere una parte del materiale che potrebbe essere colpito da un attacco statunitense.
Da giorni le segnalazioni degli oppositori e di normali cittadini raccontano di movimenti delle unità siriane. Una manovra per «disperdere» i pezzi più importanti. I primi ad essere spostati i numerosi missili terra-terra Scud. Indispensabili per una possibile rappresaglia contro Israele e spesso usati per distruggere interi quartieri. Di solito sono sul Qalamoun, la montagna fortezza che ospita molte installazioni, ora sarebbero nella zona di Homs e Latakia. Si sono trasferiti a Nord anche reparti della 155esima brigata, sospettata di essere coinvolta negli attacchi chimici. Ancora gli attivisti a Damasco hanno «marcato» convogli diretti a Deraa (sud) e Dumayr (sud est). Evacuate parzialmente posizioni nell’aeroporto internazionale nella capitale e i comandi.
Imitando quanto fatto da altri eserciti, quello siriano ha cercato di mimetizzare i nuovi posizionamenti. Con un parco veicoli decrepito, il regime ha usato camion civili requisiti. Sono più moderni, possono essere confusi con mezzi comuni. Missili e altro materiale sarebbero stati nascosti in capannoni industriali mentre i soldati hanno occupato palazzi abbandonati. Si è sparsa la voce — inverificabile — che la polizia abbia trasferito dei prigionieri politici nei siti a rischio. In caso di attacco non faranno da scudi umani, bensì da «vittime dell’aggressione». Le contromisure di Assad, per alcuni osservatori, potrebbero funzionare costringendo il Pentagono a riprogrammare continuamente la lista dei bersagli dei missili cruise Tomahawk che ricevono via satellite le coordinate dei bersagli. E si ricorda come in occasione della guerra per il Kosovo i serbi fossero riusciti ad ingannare, almeno inizialmente, l’aviazione americana con falsi bersagli.
Non la pensano così altri esperti. Gli Usa vedono quello che accade sul terreno. Inutile speculare. Lo diranno i fatti. I satelliti spia, intanto, sorvegliano il dispositivo siriano in coppia con gli U-2, considerati sempre molto efficaci nell’attività di ricognizione. Poi i droni in partenza dalle basi turche e da Sigonella. Insomma mille occhi, uniti alle informazioni che possono arrivare da nuclei di ribelli addestrati dalla Cia: il primo contingente di 50 uomini — ha rivelato Obama ai congressisti — è entrato da poco in azione. In realtà gli insorti «buoni», preparati dall’intelligence occidentale, sono al lavoro da ben prima.
Per il resto dipenderà anche da quali target ha in mente il Pentagono. La lista di 50 obiettivi indicata pochi giorni fa potrebbe essere stata cambiata. Il presidente ha parlato ieri di un’azione limitata che «diminuisca» la capacità militare della Siria. Linee guida che possono tradursi in un arco di opzioni per distruggere basi aeree, depositi, reparti di Scud, comandi, sistemi missilistici. Una bastonata che provochi magari il collasso di alcune posizioni chiave. Ve ne sono un paio nella regione di Aleppo, altre attorno alla capitale. Sarebbero risparmiate quelle installazioni che ospitano le scorte di armi chimiche. Secondo fonti citate dalla stampa americana il Pentagono teme che si sprigionino nubi tossiche che coinvolgano i civili. Dichiarazioni che possono essere veritiere o invece rappresentare della pretattica.
Tutto questo può bastare a soddisfare le richieste della Casa Bianca? A Washington — e non solo — abbondano gli scettici. Due giorni di raid, osservano, cambiano poco. Servirebbe una campagna prolungata. Ma il presidente, insieme a gran parte degli americani, non la vuole. Resistenze irrobustite da un dato economico convincente. Il capo di Stato Maggiore Dempsey, mai entusiasta quando sente parlare di Siria, ha rivelato che ogni giorno di guerra può costare un miliardo di dollari. Conti a parte, il Pentagono ha mantenuto un dispositivo flessibile. In Mediterraneo ci sono le navi Stout , Gravely , Ramage e Barry , dotate di missili da crociera. Ordine di rientro ieri per una quinta, il Mahan , fino a pochi giorni fa nello scacchiere. Sempre in zona la nave da sbarco San Antonio con a bordo 300 marines e due sottomarini. Nel Mar Rosso incrocia la portaerei Nimitz , anche se ufficialmente rappresenta una riserva e non sarebbe prevista la partecipazione al raid. I velivoli U-2 a Cipro, insieme a quelli delle forze speciali (MC 130 e Osprey), in grado di intervenire per salvare piloti caduti «dietro le linee». Quote di caccia e aerei per la guerra elettronica a Incirlik (Turchia), una formazione di F-16 in Giordania. Dagli Usa possono arrivare, dopo una complessa operazione di rifornimento in volo, i bombardieri B-2 o B-52. I loro artigli sono rappresentati da armi lanciabili rimanendo fuori dallo spazio aereo siriano. A chiudere i francesi, con una fregata, un sottomarino più i caccia nel Golfo. Parigi è al fianco degli Usa, insieme a Arabia Saudita, Emirati e Turchia.
La «flottiglia» è seguita come un’ombra dalle navi russe, si parla di una dozzina. A ore si aggiungerà anche la Priazovye , unità-spia piena di antenne d’ascolto che può interagire con il personale presente in alcune basi siriane. Le orecchie del Cremlino in una fase pericolosa. L’episodio del test missilistico israeliano scoperto da una «stazione» russa ne è la prova.
Sono in guardia i guerriglieri che operano sui due fronti. L’Hezbollah libanese, alleato di Assad, ha messo i suoi uomini in stato d’allerta. Uno scenario considerato è che possa sparare razzi contro Israele non dal Libano bensì dal settore siriano di Homs, dove dispone di molti combattenti. Hanno sgomberato alcune delle loro basi a Aleppo i ribelli qaedisti di al Nusra. Sospettano che gli Usa approfittino del blitz per colpirli. Negli Usa più di uno stratega ha consigliato che sarebbe opportuno contrastarli. In chiave futura incutono più timori di Bashar Assad.

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