Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 02/09/2013, a pag. 2, gli articoli di Maurizio Molinari titolati " Kerry, offensiva in tv: Assad ha usato il sarin, è come Hitler e Saddam " e " Obama, la risoluzione al Congresso .È sfida a liberal e isolazionisti ", a pag. 4, l'articolo di Giordano Stabile dal titolo " Damasco: Obama fa ridere il mondo ", a pag. 5, l'articolo di Aldo Baquis dal titolo " Israele preoccupata: un Obama tanto incerto non ci difenderà dall’Iran ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 2, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " Antenne e aerei spia. Le manovre segrete sono già cominciate ".
Sullo stesso argomento, invitiamo a leggere la 'Cartolina da Eurabia' di Ugo Volli di oggi, pubblicata in altra pagina della rassegna
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=50551
Ecco i pezzi:
La STAMPA - Maurizio Molinari : " Kerry, offensiva in tv: Assad ha usato il sarin, è come Hitler e Saddam "


Maurizio Molinari, John Kerry
«È stato usato il sarin contro i civili, Bashar Assad è come Hitler e Saddam»: John Kerry sfrutta i talk show tv della domenica per iniziare a presentare all’opinione pubblica i motivi per cui il Congresso di Washington deve autorizzare il presidente Barack Obama all’uso della forza contro il regime siriano.
Il Segretario di Stato interviene ai cinque maggiori programmi - su Cbs, Nbc, Cnn, Fox e Abc - puntando sulla rivelazione in merito al sarin per fare breccia negli americani che, sondaggi alla mano, al 50 per cento sono contrari all’intervento. «Sono state trovate tracce di sarin su campioni di sangue e capelli raccolti nei quartieri Est di Damasco dopo l’attacco del 21 agosto - sono le parole di Kerry - e giunti fino a noi attraverso una canale che ne ha garantito la protezione». Parlare di sarin significa accusare il regime di Assad perché si tratta del più aggressivo fra i gas e i ribelli non lo possiedono. L’intento di Kerry è provare la brutalità del raiss di Damasco «che ha violato la Convenzione di Ginevra del 1925 sul divieto dell’uso dei gas come hanno fatto in tempo di guerra solo Adolf Hitler e Saddam Hussein». È un messaggio teso a far breccia nell’ala liberal del partito democratico, finora più ostile all’attacco in Siria ma sensibile al richiamo dell’interventismo umanitario contro i dittatori e per la protezione dei diritti civili sin dai tempi dell’uso della forza da parte di Bill Clinton per liberare il Kosovo nel 1999.
Ai repubblicani invece il Segretario di Stato lascia intendere che se l’autorizzazione alla forza passerà, il presidente Obama potrà guidare un intervento militare più vasto rispetto a quanto finora previsto. «Con l’approvazione del Congresso potremo fare un lavoro migliore in Siria, come suggeriscono John McCain e Lindsey Graham chiedendo di fare di più» dice Kerry, disegnando l’orizzonte di un attacco che potrebbe andare oltre l’«azione limitata» al lancio dei missili Tomahawk al fine anche di «proteggere i nostri alleati e partner nella regione come Israele, Giordania, Libano e Turchia». È un linguaggio che tende anche a rassicurare l’opposizione siriana: «Ho parlato con Ahmad al-Jarba, leader dei ribelli, e sono convinto che comprende la serietà delle nostre intenzioni» di «punire Assad per l’uso dei gas» e accelerare una «soluzione politica alla crisi attraverso i colloqui a Ginevra».
Vestendo i panni del procuratore che illustra le tesi dell’accusa, Kerry assicura che «avere a disposizione più tempo consentirà di avere una tesi più forte» anche se «il presidente ha l’autorità di ordinare l’intervento anche senza l’avallo del Congresso» trattandosi di un intervento senza impiego di truppe di terra. L’offensiva di Kerry deve fare tuttavia i conti con le Nazioni Unite perché Martin Nesirky, portavoce di Ban Ki moon, precisa che «siamo gli unici ad avere capacità e imparzialità» per emettere verdetti sui campioni prelevati a Damasco Est. Oggi gli ispettori li consegneranno ai laboratori europei e sebbene Nerisky assicuri che «non ci sono scadenze fissate per i risultati» è evidente l’interesse di Ban di averli prima del voto del Congresso.
La STAMPA - Maurizio Molinari : " Obama, la risoluzione al Congresso .È sfida a liberal e isolazionisti "

Barack Obama
Inviando al Congresso di Washington la richiesta per l’autorizzazione all’uso della forza la Casa Bianca dà inizio ad una battaglia politica che può vincere solo se riuscirà a spezzare la coalizione anti-intervento composta da repubblicani isolazionisti e democratici ultraliberal. La posta in palio non potrebbe essere più alta: «In gioco c’è non solo l’intervento in Siria ma la credibilità della leadership del presidente Barack Obama come comandante in capo» riassume Zbignew Brzezinski, ex consigliere per la sicurezza di Jimmy Carter.
Per riuscire nell’intento la Casa Bianca ha redatto una richiesta basata su tre pilastri. Primo: la responsabilità del regime siriano di aver ucciso «oltre 1000 civili innocenti con i gas» il 21 agosto a Damasco. Secondo: la violazione da parte di Assad della Convenzione di Ginevra del 1925 contro l’uso dei gas, della risoluzione Onu 1540 del 2004 contro la proliferazione di armi di distruzione di massa e della risoluzione del Congresso Usa di contenuto analogo, risalente al 2003. Terzo: la richiesta di usare la forza «per prevenire ed evitare la proliferazione dentro, da o verso la Siria di armi di distruzione di massa» e «proteggere Stati Uniti, alleati e partner da simili armi» senza alcun esplicito riferimento alla «limitazione» dei tipo di attacco.
È un testo che, secondo il deputato repubblicano Peter King, «se fosse votato oggi non passerebbe ma Obama può rovesciare la situazione spiegando con chiarezza le prove raccolte dall’intelligence e quale è l’interesse nazionale degli Stati Uniti». King evidenzia le difficoltà perché «nel mio partito c’è una crescente ala isolazionista». Il suo volto di maggior spicco è Rand Paul, senatore del Kentucky, la cui previsione è: «L’approvazione del Senato è sicura mentre alla Camera le possibilità sono 50-50». Il motivo è che al Senato i democratici hanno una maggioranza di 54 seggi su 100 ed anche subendo delle defezioni fra i liberal potranno contare sul sostegno di un numero importante di repubblicani. Soprattutto in ragione del fatto che il documento della Casa Bianca va incontro alla richiesta di John McCain dell’Arizona di «fare di più» dell’«intervento limitato» finora ipotizzato. I democratici hanno reagito presentato una nuova versione più restrittiva, ma le posizioni sembrano vicine.
Proprio in ragione di tale situazione è il Senato che inizia domani l’esame del testo - in commissione Esteri - e voterà per primo dopo la ripresa dei lavori il 9 settembre.
Alla Camera dei Rappresentanti invece è tutto più difficile: i conservatori isolazionisti sono almeno una quarantina, i democratici anti-guerra sono 54 e la maggioranza repubblicana -233 seggi su 435 - restringe i margini di manovra della Casa Bianca. John Boehner, presidente della Camera, fotografa la situazione in bilico facendo sapere di «approvare la scelta di Obama di andare al voto» ma di «non essere ancora pronto» a dire come si pronuncerà. Gli oltre 200 deputati firmatari della lettera a Obama in cui si chiedeva il voto del Congresso evidenziano le difficoltà.
L’unica strada che la Casa Bianca ha per ottenere l’avallo della Camera è il recupero dei 54 ultraliberal dissidenti, veterani dell’opposizione all’Iraq. E poiché si tratta in gran parte di deputati della California come Barbara Lee che li guida - ciò implica che la responsabilità cade su Nancy Pelosi: come capo della minoranza e ed anche in quanto eletta nella progressista San Francisco. Da qui il fatto che la credibilità politica di Obama è legata alla capacità della leader democratica di far votare a favore dell’intervento in Siria almeno parte della coalizione di deputati anti-guerra che lei stessa contribuì a creare nel 2006 cavalcando l’opposizione alla guerra in Iraq.
La STAMPA - Aldo Baquis : " Israele preoccupata: un Obama tanto incerto non ci difenderà dall’Iran "

Bibi Netanyahu
Seduto al tavolo di governo, di fronte alle telecamere, il primo ministro Benyamin Netanyahu ostenta calma olimpica. «Israele – dice – è sereno, ha fiducia di sè. Siamo pronti a ogni evenienza, i nostri cittadini ben lo sanno. E i nostri nemici hanno buoni motivi per non mettere a prova la nostra forza, la nostra potenza». Poche ore prima Israele aveva lanciato in orbita, dal Kazakhstan, un satellite di quattro tonnellate.
Quando però i giornalisti sono accompagnati fuori dall’aula, emerge un filo di preoccupazione. Giunge dai ministri nazionalisti, Naftali Bennett e Uri Ariel. Il primo è preoccupato «dai balbettii, dalle titubanze internazionali» di fronte ad Assad. Il secondo prosegue sulle medesima lunghezza d’onda. Pensa alla brusca frenata di Obama. «A Teheran – sostiene – stappano bottiglie di champagne, accelerano di sicuro i progetti nucleari». «Se qualcuno crede ora che Obama attaccherà l’Iran per impedirgli di dotarsi di armi nucleari, ha le traveggole».
Nei giorni scorsi Netanyahu aveva chiesto ai ministri di non esprimersi sulla scottante «questione Siria». Un’intervista radio di Ariel lo manda dunque su tutte le furie. Nessuno, ripete con foga, osi criticare in pubblico il presidente degli Stati Uniti. Eppure secondo un suo collaboratore, citato dalla radio militare, anche lui prova la stessa apprensione: «Se Obama esita di fronte ad Assad, esiterà ancora di più il giorno in cui fosse necessario attaccare l’Iran: una impresa militare molto più complessa».
«Al momento della verità rischiamo di restare da soli» avverte il ministro Bennett. Ma il Capodanno ebraico è alle porte, nel Paese c’e aria di festa. E Netanyahu tranquillizza: «Comunque, le nostre forze armate non sono mai state così forti come ora».
La STAMPA - Giordano Stabile : " Damasco: Obama fa ridere il mondo"

Bashar al Assad
È stato un bellissimo fine settimana per Bashar al Assad. Assediato da due anni e mezzo da una rivolta popolare che si è trasformata prima in guerriglia e poi guerra totale, il presidente siriano non gustava due giorni così, di fila, dai tempi dell’ascesa al potere. Cameron bocciato a Westminster, Obama in mezzo al guado. E lui che fa il comandante in capo. «Possiamo difenderci da qualsiasi attacco - ha detto all’ospite di ieri, il presidente della commissione Esteri del parlamento iraniano, Aleddin Burujerdi -. Lo stiamo già facendo, ogni giorno combattiamo i terroristi sostenuti dall’esterno, Usa in testa».
Un commendo più freddo, sottile, rispetto alle battute degli altri notabili. Che descrivono il presidente americano come uno zimbello, «uno che si è arrampicato su un albero e non sa come scendere» (l’ambasciatore all’Onu Bashar al Jafari), «oggetto di scherno da parte di tutto il mondo (il vicepremier Qadri Jamil), mentre il vice ministro degli Esteri Fausal Moqdad invita il Congresso Usa a non ascoltare il presidente e il segretario di Stato John Kerry, e a dar «prova di saggezza». Assad invece insiste sul tema di una Paese «in lotta contro il terrorismo». Logo che appare sulle tv siriane, come su quelle dell’Egitto all’opera nello sradicare i Fratelli musulmani, alleati degli insorti siriani. Stesso logo che appariva sulle tv americane dopo l’11 settembre.
Le minacce americane, insiste il raiss, «non piegheranno la Siria e non le faranno dimenticare la lotta ai terroristi». Un eventuale attacco «si ritorcerebbe contro i Paesi che l’hanno cominciato, i grandi perdenti saranno gli Stati Uniti». Il raiss insiste sul terrorismo. Cinque giorni fa avvertiva che gli stessi ribelli legati ad Al Qaeda oggi appoggiati dall’Occidente potrebbero riversarsi in Europa, anche con le armi chimiche rubate dai suoi arsenali. Il peggiore incubo per i governi occidentali. E il dubbio capitale nella loro strategia: colpire Assad per far vincere gli jihadisti ha davvero senso?
Nella settimana che separa dal voto al Congresso Damasco giocherà tutteù le sue carte propagandistiche. Già ora sui tweet amici compare Kerry, nel 2009, che strige la mano al raiss. E pigerà il freno, per qualche giorno, sulla repressione militare, anche se ieri in tutto il Paese ci sono stati 70 morti negli scontri, denuncia l’Osservatorio siriano per i diritti umani. Chi ha masticato questo week end è la Coalizione dell’opposizione siriana. «Ad Assad è stata data luce verde dalla comunità internazionale», ha commentato Musab Abu Qatada, del Consiglio militare di Damasco. Parlava da una zona sotto controllo dei ribelli ad ovest della capitale, vicino ai quartieri colpiti dalle bombe chimiche. La Coalizione, con il leader Ahmed al Jarba, chiede al Congresso e alla Lega Araba di dare il loro appoggio ai raid. Ma soprattutto di avere armi: «Fermiamo la distruttiva macchina da morte del raiss».
CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " Antenne e aerei spia. Le manovre segrete sono già cominciate "

Guido Olimpio
WASHINGTON — Per questo tipo di missioni non serve sparare missili, sganciare bombe, utilizzare il cannone. Non ci sono esplosioni, crateri, fumo. Un’attività militare che non si vede ma che si «sente». È la guerra elettronica. È probabile che gli americani, con l’aiuto degli inglesi, abbiano iniziato a farla in Siria. E da tempo. Unendo lo spionaggio dei segnali — sigint — a intrusioni nel sistema bellico di Assad.
Gli Usa ricorrono alla Nsa che, come ormai tutti sanno in dettaglio, spia, intercetta comunicazioni radio, rastrella email. Ma nel Sud-Est del Mediterraneo contano su un partner fondamentale nella stazione dell’agenzia sorella britannica, la Gchq. Gli inglesi hanno un avamposto formidabile a Cipro e da qui fanno un’azione di monitor profonda in territorio siriano. Hanno raccolto dati nei mesi scorsi, lo fanno ancor più in queste ore per tenere sotto ascolto i dialoghi degli ufficiali preoccupati di nascondere le armi più importanti per una rappresaglia, come gli Scud. Washington può poi ricevere aggiornamenti dalle «antenne», non meno potenti, piazzate sulle alture del Golan e sotto il controllo dell’unità 8200 israeliana.
Sempre Gerusalemme avrà messo a disposizione del Pentagono la propria esperienza. Nel settembre 2007 i suoi caccia hanno violato lo spazio aereo siriano e distrutto un centro di ricerche nucleari. Ricostruzioni successive hanno sostenuto che gli israeliani hanno accecato elettronicamente la rete radar avversaria, probabilmente con un’operazione di hackeraggio sofisticato. Poi, più di recente, Israele è tornato a colpire siti strategici sul Monte Qasyioun, vicino a Damasco, e a Latakia. Le sentinelle di Assad sono state colte di nuovo di sorpresa. O comunque non c’è stato tempo e modo per parare la minaccia.
Gli esperti hanno segnalato che gli Usa hanno già schierato nel teatro velivoli per la guerra elettronica. Li hanno notati a Incirlik, nel Sud della Turchia. Una ripetizione dello schema adottato per piegare lo scudo (debole) della Libia gheddafiana. Aerei speciali, come l’EC130H e l’EAG18G, hanno «confuso» e «bloccato» gli apparati libici. In queste settimane — e in precedenza — i velivoli alleati hanno testato le difese «provocando» i radar. Operazioni condotte restando fuori dello spazio aereo siriano, missioni che talvolta nascondono dei rischi. La contraerea di Assad ha abbattuto, nel giugno 2012, un Phantom turco impegnato nella raccolta di dati.
E in questo clima di grande sospetto non potevano mancare neppure le «cimici» per guidare i missili. I guerriglieri di Al Nusra, formazione ribelle siriana vicina a Al Qaeda, sono convinti di essere nella linea di tiro degli Usa, pronti a distruggere le basi degli insorti jihadisti. Attacchi che verrebbero favoriti da segnalatori elettronici in grado di guidare i missili dei droni Predator e Reaper. A piazzarli delle spie. Voci sostengono che alcuni collaborazionisti al servizio degli americani sono stati scoperti e, con loro, le «cimici». Racconti che ricordano quelli dei qaedisti yemeniti e pachistani sorpresi dai razzi dei droni.
Forse sono timori eccessivi. Però nella bozza che la Casa Bianca ha trasmesso al Congresso per chiedere il via libera all’attacco si dice anche che è necessario agire per impedire che i gas finiscano nelle mani di gruppi radicali.
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