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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - La Stampa Rassegna Stampa
30.08.2013 Intervento in Siria: il fronte dei no
cronache di Serena Danna, Alberto Mattioli

Testata:Corriere della Sera - La Stampa
Autore: Serena Danna - Alberto Mattioli
Titolo: «Il fronte del no riunisce democratici e repubblicani - Bonino, pressing su Hollande. 'Serve una base di legalità'»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 30/08/2013, a pag. 16, l'articolo di Serena Danna dal titolo " Il fronte del no riunisce democratici e repubblicani ". Dalla STAMPA, a pag. 3, l'articolo di Alberto Mattioli dal titolo "Bonino, pressing su Hollande. “Serve una base di legalità” ".
Ecco i pezzi:

CORRIERE della SERA - Serena Danna : " Il fronte del no riunisce democratici e repubblicani "


No alla guerra in Siria

NEW YORK — Almeno una decisione, per il momento, Obama sembra averla presa: il presidente degli Stati Uniti non spiegherà di persona al Congresso le ragioni dell’eventuale intervento in Siria. A fare richiesta formale era stato il presidente della Camera, il repubblicano John Boehner, con una lettera in cui venivano messi in evidenza i rischi di sicurezza nazionale causati da un eventuale attacco e il futuro della credibilità degli Stati Uniti. Boehner, che ieri Obama ha comunque contattato per discutere al telefono la situazione, si è fatto interprete di un disagio crescente a Washington, dove — con il passare dei giorni e il consolidarsi degli stop-and-go dell’amministrazione Obama — cresce un fronte anti-interventista bipartisan. I democratici contrari a un’azione militare contro il regime di Assad vedono nel coinvolgimento del Congresso l’unica chance per evitare l’effetto boomerang per la Casa Bianca, e, di conseguenza, per il partito: «C’è molto preoccupazione in aula — ha detto al sito Politico il senatore Jim McDermott — ci sono tantissimi che aspettano solo che arrivi la tempesta per puntare il dito contro Obama». Piuttosto che un dibattito «postumo» sulle responsabilità dell’ennesimo disastro internazionale, i compagni di partito del presidente — come Barbara Lee deputata della California — stanno lavorando per un confronto preventivo, capace di provocare una mozione il più possibile condivisa del Congresso. Peccato che l’unico fronte comune sia rappresentato al momento da democratici e repubblicani contrari all’intervento, considerato tardivo, dispendioso e, di certo, da un esito troppo insicuro per la fragile diplomazia mondiale. 110 deputati hanno affidato le loro firme al repubblicano Scott Rigell per l’ennesima richiesta bipartisan al Congresso e addirittura l’isolazionismo di Rand Paul comincia a fare proseliti. Mentre la sinistra del fronte interventista — guidato dall’ambasciatrice Usa alle Nazioni Unite Samantha Power e dalla National Security Advisor Susan Rice — si ritrova, come fu per l’Iraq, a essere più vicina ai neocon che ai democratici; i dubbi dell’ex segretario della difesa Donald Rumsfeld hanno confuso ancora di più le acque: il grande architetto della guerra in Iraq si è detto dubbioso su un possibile coinvolgimento americano chiedendo alla Casa Bianca di «giustificare» un eventuale attacco. L’imbarazzo della sinistra americana trova forse il suo simbolo evidente nell’assordante silenzio dell’ex segretario di Stato Hillary Clinton, consapevole che la soluzione siriana potrà avere peso sulla sua futura possibile candidatura. Difficile dimenticare che solo il 27 marzo del 2011 Clinton aveva definito Assad un riformatore: «C’è un leader diverso adesso in Siria — aveva dichiarato —. Molti membri bipartisan del governo che sono stati in Siria recentemente hanno detto di aver visto un riformatore». Se è vero, come ha scritto il Washington Post , che Obama ha «demolito il movimento contro la guerra», è chiaro però che i timori in crescita nel Paese non riguardano ideologie pacifiste ma la paura di trovarsi, per l’ennesima volta, invischiati in nuovo «Vietnam del XXI secolo». La confusione del democratico intrappolato tra l’orrore per la guerra civile in Siria e la paura per i rischi domestici è sintetizzata da un bellissimo dialogo immaginario di George Packer sulla rivista New Yorker . Sul fronte conservatore, il paradosso continua con l’ex speechwriter di George W. Bush David Frum che su Twitter ha paragonato gli attacchi «chirurgici» di Obama in Siria a interventi chirurgici su un emofiliaco. Mentre, al solito, la destra mediatica — capitanata da Michelle Malkin e Sean Sannity — si scatena contro «l’ipocrisia e l’incoerenza di Obama», il conduttore Glenn Beck la spara più forte di tutti dichiarando che «l’America non sopravviverà a un attacco», salvo poi ricordare — più pragmaticamente — che in caso di conflitto gli Stati Uniti non potranno più vendere alla Cina i suoi debiti. Argomentazione che trova subito il sostegno di Rush Limbaugh secondo cui Obama sta trovando qualcosa che distragga gli americani dai «suoi disastri nazionali». Proprio come Bush con la guerra in Iraq, ha aggiunto. Gli unici che sembrano avere le idee chiare sono proprio gli americani: solo il 25% — secondo gli ultimi sondaggi Reuters Ipsos — sarebbe favorevole a un intervento se confermate l’uso delle armi chimiche. Il 61% si dice fortemente contrario, mentre i restanti si perdono nella confusione generale del momento.

La STAMPA - Alberto Mattioli : "  Bonino, pressing su Hollande. “Serve una base di legalità” "


Emma Bonino

«Con i francesi siamo d’accordo sul fatto che non siamo d’accordo». La ministra degli Esteri Emma Bonino non è troppo diplomatica, ma almeno è molto chiara. E, in una saletta del Quai d’Orsay, riassume così il colloquio con il suo omologo francese, Laurent Fabius. Ovviamente con i cugini l’oggetto del contendere non è «la condanna, né tantomeno l’orrore e l’indignazione» (sempre Emma) per i civili gasati in Siria, ma l’eventuale reazione militare e «l’ambito legale» nel quale agire. Insomma, com’è ormai ampiamente chiaro, se Washington, Londra e Parigi attaccheranno lo faranno senza Roma. E nemmeno senza le basi italiane? «A oggi non ce le ha chieste nessuno e i problemi si affrontano quando vengono posti».

Bonino ha scelto il momento giusto per la sua tournée parigina, dove peraltro in origine l’escalation siriana non era nemmeno al primo punto dell’ordine del giorno, con il bilaterale italo-francese del 20 novembre a Roma (scippato a Torino per risparmiare) e il semestre di presidenza italiana della Ue che incombono. Ieri in tutto l’Occidente è stato il giorno del colpo di freno all’accelerazione bellicista. Ricevendo il capo dell’opposizione siriana, Ahmad al Jarba, François Hollande si è tolto l’elmetto e ha fatto sapere che una «soluzione politica» va comunque ricercata, mentre David Cameron, di fronte a una classe politica e un’opinione pubblica scettiche, annunciava di aspettare il responso degli ispettori Onu.

Da qui l’interesse francese per la posizione italiana. È piuttosto insolito, per esempio, che Bonino sia stata ricevuta anche dal Presidente: un ministro, di regola, parla con il ministro corrispondente. All’Eliseo, Hollande si è mostrato più «morbido» di Fabius: per 35 minuti ha ripetuto che una reazione all’orrore ci vuole, ma l’attacco sarebbe chirurgico e l’obiettivo, in ogni caso, quello di far ripartire la trattativa.

Bonino giura che i francesi (e anche gli americani) «non sono irritati» con l’Italia pacifista. «Forse qualche esperienza del passato rende più prudente la coalizione. Spesso la comunità internazionale è stata colpevole di non intervento. Ma altrettanto spesso di interventi non proprio ragionati». Intanto, da Bruxelles fonti europee fanno sapere che una guerra a due passi dai pozzi potrebbe provocare una fiammata dei prezzi petroliferi e strozzare nella culla la ripresa che forse c’è.

Tutto questo rafforza le due obiezioni made in Italy alla guerra. Bonino le ha ripetute ai francesi. La prima è teorica, perché «senza un apprezzamento giuridico del Consiglio di sicurezza» l’intervento non ha base legale. La seconda è pragmatica, perché «la regione è una tale polveriera che non è opportuno buttarci qualche cerino in più», sottinteso con il rischio di trovarsene poi uno in mano, tipo Iraq. Dunque meglio aspettare il verdetto degli ispettori Onu, sottoporre le prove dell’uso dei gas («comunque indirette, perché il gas è appunto gas») a «istituzioni terze», anche se «finora è chiaro che tutti gli indizi spingono in una direzione», leggi quella del regime.

Possibile danno collaterale di un raid, i rischi per i due italiani spariti in Siria, il nostro Domenico Quirico e padre Paolo Dall’Oglio. Ma qui Bonino si dice «abbastanza ottimista»: «La situazione è già talmente complessa che un raid non potrebbe complicarla ulteriormente. Da quelle parti le cattive notizie si sanno subito». Però non c’è solo la vecchia regola che nessuna nuova è una buona nuova: «Alcuni canali di contatto - rivela il ministro degli Esteri - che parevano fragili si sono rivelati recentemente più solidi. Quindi resto non solo determinata, ma anche fiduciosa».

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