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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Repubblica - Corriere della Sera Rassegna Stampa
26.08.2013 Siria: USA e GB valutano l'intervento militare
cronaca di Federico Rampini, commento di Guido Olimpio

Testata:La Repubblica - Corriere della Sera
Autore: Federico Rampini - Guido Olimpio
Titolo: «Siria, sì agli ispettori Onu ma gli Usa gelano Assad. 'Adesso è troppo tardi' - Così il regime risponderà alla mossa obbligata di Obama»

Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 26/08/2013, a pag. 14, la cronaca di Federico Rampini dal titolo " Siria, sì agli ispettori Onu ma gli Usa gelano Assad. 'Adesso è troppo tardi' ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 13, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " Così il regime risponderà alla mossa obbligata di Obama ".
Ecco i pezzi:

La REPUBBLICA - Federico Rampini : "Siria, sì agli ispettori Onu ma gli Usa gelano Assad. 'Adesso è troppo tardi' "


Barack Obama David Cameron

NEW YORK — La Siria accetta le ispezioni Onu sulle armi chimiche, ma per la Casa Bianca è troppo tardi: ha avuto il tempo di eliminare prove. Barack Obama consulta il premier inglese David Cameron sull’opzione militare, nonostante un sondaggio Reuters/Ipsos gli mandi un segnale chiaro: il 60% degli americani è contrario. Tra i possibili interventi contro Assad, oltre al lancio di missili dalle navi della Sesta flotta nel Mediterraneo emergono altri due scenari discussi nel weekend alla Casa Bianca: l’imposizione di una no-fly zone per proteggere i territori siriani in mano ai ribelli; e un’intensificazione delle forniture di armi all’opposizione. Il regime di Bashar al-Assad, accogliendo anche il consiglio della Russia, ieri ha autorizzato gli ispettori dell’Onu a indagare sull’attacco con armi chimiche del 21 agosto scorso andando sul luogo della strage. La task force di esperti delle Nazioni Unite potrà entrare nei sobborghi di Damasco, dove il gas nervino avrebbe ucciso 1.300 persone. Durante l’ispezione nella capitale siriana non si combatterà. Il governo siriano si è impegnato a rispettare il cessate il fuoco. «Durante la visita dell’alto rappresentante dell’Onu per il disarmo, Angela Kane, è stato raggiunto un accordo per permettere al team delle Nazioni Unite guidato dal professor Ake Sellstrom di indagare sulle accuse di uso di armi chimiche nella provincia di Damasco. L’accordo entra in vigore immediatamente », si legge in una nota del ministero degli Esteri siriano. Il Palazzo di Vetro ha fatto sapere che l’indagine parte oggi stesso. Da Washington e Londra la reazione è concorde: troppo tardi. Secondo un funzionario Usa citato dal Wall Street Journal, «se il governo siriano non aveva nulla da nascondere e voleva dimostrare al mondo di non avere fatto uso di armi chimiche, avrebbe dovuto far cessare gli attacchi nella zona e consentire un accesso dell’Onu cinque giorni fa». A questo punto, aggiunge questa fonte, l’offerta arriva «troppo tardi per essere credibile » anche perché «le prove disponibili sono state inquinate in maniera significativa a seguito dei continui bombardamenti del regime». Dello stesso parere il ministro degli Esteri inglese, William Hague: «Le prove dell’utilizzo di armichimiche in Siria potrebbero essere state già distrutte».Dopo che il segretario alla Difesa americano Chuck Hagel ha confermato il dispiegamento di quattro incrociatori della U.S. Navy al largo delle coste siriane, con a bordo decine missili di crociera Tomahawk, l’Amministrazione Obama esplora il precedente del Kosovo per una legittimazione alternativa a quella dell’Onu (dove la Russia porrebbe il veto a un intervento militare). Kosovo uguale Nato, spiega l’esperto di strategia Fred Kaplan su Slate. «Deve essere una operazione internazionale — dichiara il senatore democratico Jack Reed — e non solo politicamente ma anche sul piano militare». L’Iran, con la Russia il principale alleato della Siria, reagisce all’ipotesi di un intervento militare minacciando «dure conseguenze». «L’America conosce le delimitazioni della linea rossa sul fronte siriano, se Washington le supera ci saranno serie conseguenze per la Casa Bianca», avverte il comandante delle forze armate iraniane Massoud Jazayeri. La Francia — che con l’Inghilterra fu in prima linea per l’intervento militare in Libia dove Obama preferì un ruolo di supporto — è su posizioni vicine a quelle anglo-americane, a differenza della Germania che resta contraria all’opzione militare. L’accesso immediato degli ispettori era stato richiesto anche da Francois Hollande. Prima che fosse annunciato l’accordo di Damasco, il presidente francese aveva affermato che c’è «un corpo del reato che indica che mercoledì a Damasco c’è stato un attacco di natura chimica e tutto porta a ritenere che il regime di Assad sia responsabile di questo atto abominevole». Il premier israeliano Benjamin Netanyahu si dice «pronto» a difendere il suo Paese: «Ciò che succede in Siria è una tragedia e un crimine orribile. Non può continuare. Ai regimi più pericolosi vanno proibite le armi più pericolose. Ci aspettiamo questo stop. Noi siamo pronti. Sapremo sempre come difendere noi stessi».

CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " Così il regime risponderà alla mossa obbligata di Obama "


Bashar al Assad

WASHINGTON — Nel Risiko mediorientale, violento e brutale come non mai, le pedine sono pronte. Con alcuni giocatori decisi e altri dubbiosi, a cominciare dagli Usa, ma costretti a agire. Per salvare la faccia e ristabilire un minimo di credibilità in un’arena dove — piaccia o meno — la forza conta. Anche se vale sempre la regola che sai come inizi una «crisi» ma poi non ne conosci la fine. Vediamo, srotolando la mappa, come sono posizionati i protagonisti del confronto. Barack Obama ha deciso per un’azione — magari limitata — in Siria. Non ne ha alcuna voglia, così come gli americani che non capiscono che bisogno ci sia di un’altra guerra. Però deve farlo, condizionato dal suo impegno a reagire nel caso fossero state usate armi chimiche e costretto dal ruolo che comunque l’America è obbligata ad assumere. Situazione sgradevole: se non interviene è debole, se lo fa compie un’ingerenza. Al fianco degli Usa gli alleati di sempre. La Francia, interventista di natura. La Gran Bretagna, compagna di ogni avventura militare statunitense. Lontana, invece, la Germania. Ha peso economico ma non bellico e poi le considerazioni elettorali contano più di ogni altra cosa. In guardia i partner regionali di Washington. Israele non si oppone certo ai raid, sa che potrebbe subire qualche ritorsione, però è consapevole che in questa cornice può agire — quasi indisturbato — in Siria. Per eliminare nemici, missili e tutto ciò che considera una minaccia. Una libertà di movimento impensabile fino ad un anno fa. E’ una valutazione nel breve-medio termine, per il futuro si vedrà. Inquieta e timorosa la Giordania, vaso debole che rischia il contagio più di ogni altro. Poi la Turchia che ha per forza un ruolo e sfrutterà un’eventuale operazione militare per cercare di ampliare la sua influenza nel nord della Siria, area per nulla stabile. Contenti e più spregiudicati i signori del Golfo, bancomat della rivolta siriana e uomini dalle tante ambizioni, da sempre a favore di una spallata per scuotere Assad. E arriviamo all’attore principale. Pescando dal libro dei ricordi, il raìs siriano ha imitato Saddam ed ha aperto le porte agli ispettori Onu affinché indaghino sull’uso dei gas. Mossa tardiva, gli hanno rinfacciato gli americani. Mossa comunque dilatoria, tipica dei regimi mediorientali e che risponde anche alle manovre di sponda messe in atto da Iran e Russia, gli unici amici del dittatore. Mosca spera di guadagnarci qualcosa, convinta che Washington scivolerà nel pantano. Guardinga Teheran che, pensando ai propri affari, si inquieta quando volano caccia e cruise. Il «giovane» Bashar probabilmente è rassegnato al colpo e si starà chiedendo quanto ampio sarà il danno al suo apparato militare già debilitato. Poi il secondo pensiero: come reagire. Aveva minacciato sfracelli dopo aver subito gli attacchi israeliani e non ha fatto nulla. Del resto poteva fare poco sul piano convenzionale. Non ha i mezzi per poter competere in un confronto diretto. Dispone però di altri sistemi, un’eredità lasciatagli dal padre Hafez, astuto come la volpe, scaltro come un lupo. E questi sistemi sono quelli che puntano alla strategia del caos appaltata a servizi, terroristi e guerriglieri. Assad è consapevole che Obama, insieme agli europei, ha paura che l’incendio siriano continui ad allargarsi. Se fino a oggi non c’è stato un intervento massiccio è proprio per il timore delle conseguenze regionali. Solo che a forza di aspettare il rogo si è alimentato quasi da solo. Le mille faide, politiche, etniche, religiose hanno fatto da combustibile naturale. È dunque legittimo attendersi attentati, esplosioni non rivendicate o stragi firmate da gruppi sconosciuti. A Beirut, ad Amman, magari a Tel Aviv o nelle città turche. Quando gli iraniani parlano di «pesanti conseguenze» pensano anche a quello. Per Damasco la minaccia di ampliare i confini del conflitto è sempre stata la soluzione migliore. Perché distrae l’attenzione dal dossier siriano, fa parlare di altro, costringe l’intelligence a inseguire altre minacce, induce alla prudenza. Il ciclo di attacchi e vendette incrociate che ha appena insanguinato il Libano è lo schema consolidato. E che può essere riprodotto intrecciando le trame siriane a quelle dei tanti movimenti che agiscono in Medio Oriente. La crisi ne ha creato di nuovi e ha riattivato quelli vecchi. Professionisti dell’intrigo, manipolabili, capaci di nascondersi dietro ad altri, utili quando si vuole destabilizzare. Non c’è bisogno di molto. Bastano delle autobombe.

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