Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 25/08/2013, a pag. 12, l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo " Obama verso la «guerra democratica» ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 13, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " Obama studia tutte le opzioni per un’azione militare in Siria". Da REPUBBLICA, a pag. 14, l'intervista di Alix Van Buren a Vali Nasr dal titolo " Perdere altro tempo sarebbe un azzardo ".
Ecco i pezzi:
Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein : "Obama verso la «guerra democratica»"


Fiamma Nirenstein Barack Obama
L'opzione è ancora abbastanza confusa, ma è chiaro che ci sono due navi americane che possono sparare dal Mediterraneo fino a Damasco missili Tomahawk e a cui è stato revocato l'ordine previsto di rientrare alla base di Napoli. Obama sta valutando in queste ore se sia il caso di saltare la cosiddetta linea rossa, quella che si è disegnato quando ha dichiarato, più di un anno fa, che non avrebbe mai accettato l'uso di armi chimiche nella guerra siriana. Adesso che, dopo che peraltro questo sia già accaduto a marzo, il problema si è ripresentato con le immagini spaventose della strage di Damasco, qualcosa si muove. Obama ieri ha riunito la squadra dei consiglieri per la sicurezza nazionale per discutere in maniera definitiva se mettere in moto la macchina militare. Come aveva spiegato alla Cnn è un' impresa molto difficile per un presidente americano se non c'è il supporto istituzionale delle Nazioni Unite. Ma sembra che ormai la pressione internazionale sia tale da indicare la strada della forzatura. Chuck Hagel, il ministro della Difesa, ha dichiarato che gli Usa «determineranno in breve cosa è accaduto in Siria ». Assad accusa Germania, Arabia Saudita e Qatar di fornire ai «terroristi», ovvero ai ribelli, sostanze chimiche, secondo la tv di Stato siriana ci sarebbero soldati in stato di soffocamento a causa di gas usati dai ribelli. Se anche fosse, ciò non lava Assad dalla strage sistematica che ha compiuto giorno dopo giorno dal gennaio 2011, e non solo dall'attacco di Damasco: sulla reputazione mondiale di Obama, sulla perdita della statura morale degli Usa, pesano i più di centomila morti, i due milioni di profughi, i 5 milioni di sfollati. È una pesante crisi di coscienza di tuttol'Occidente quella che si è creata dopo che di fronte a tante brutture, che ricordano le passate sofferenze dell'Europa del secolo scorso, nessuno ha mosso un dito.
La probabilità che l'Onu approvi un intervento in Siria sono nulle, perchè la Russia fa buona guardia al suo cliente preferito, che è anche l'unico rimasto all' Iran. L'asse è robusto: dunque l'ipotesi possibile che gli uomini di Obama stanno studiando è un'intervento sul tipo del Kosovo, una guerra della Nato dall' aria (mai i famosi «stivali sul terreno », ricorderebbe troppo George Bush). Il Kosovo, come ha scritto il New York Times , è per Obama il precedente più ovvio perché anche là la molla fu la strage di civili, e Bill Clinton, allora presidente, poté così giustificare 78 giorni di attacchi aerei. Il precedente è buono per Obama anche perché si trattò di una «guerra democratica», sostenuta da governi europei governati a loro volta in buon numero dalla sinistra (in Italia Obama potrebbe contare su Letta, come a quel tempo Clinton contò fra i suoi sostenitori D'Alema. In Germania invece la Merkel è contraria all’uso della forza). Le ipotesi sono tutte quelle che non presuppongono un'attacco portato da terra. Le navi «Destroyer» potrebbero agire dal mare. Non si deve dimenticare che gli Stati Uniti hanno guidato le esercitazioni di gruppi di ribelli sul confine giordano siriano, e se n'è occupata direttamente la Cia; Obama ha lasciato in Giordania 700 combattenti americani in seguito a una richiesta del governo giordano. Le esercitazioni includevano l'uso del sistema antimissile Patriot e di aerei da combattimento.
Intervenire contro Assad non significa necessariamente puntare alla sua distruzione. Un deterrente importante finora è certo stata la natura dei gruppi ribelli fra i quali molti jihadisti islamici, qaidisti appartenenti a Jabat al Nusra che ha ingrandito le sue file incamerando migliaia di uomini del «Free Syrian Army ». I suoi 5000 uomini sono i più estremisti e i più decisi, si impongono rispetto ai 50mila dell' esercito, e formano alleanze col Fronte di Liberazione Siriano (37mila combattenti) e il Fronte Siriano Islamico (13mila guerrieri). Questi gruppi sono sostenitori dichiarati della Sharia e nel corso della guerra hanno compiuto atrocità innominabili, hanno torturato e ucciso senza freno. Certamente ieri gli esperti di Obama hanno discussoa lungo su che cosa potrà accadere il giorno dopo che Assad perderà il potere, e fra i loro pensieri più preoccupati sarà comparso, furioso e aggressivo, Vladimir Putin.
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CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " Obama studia tutte le opzioni per un’azione militare in Siria "


Guido Olimpio
WASHINGTON — Un vertice simbolico. Per sottolineare che Obama, il comandante in capo, ha preso in mano la questione siriana. Sempre prudente, lontano da scelte affrettate, pronto però a impartire un ordine di attacco. Il presidente ha infatti convocato alla Casa Bianca i consiglieri più stretti ed ha esaminato il «pacchetto di opzioni» preparate — da mesi — dal Pentagono. La riunione, la seconda nell’arco di tre giorni, è un segnale che qualcosa si sta preparando in risposta all’uso dei gas attribuito al regime. Obama ha parlato al telefono con il premier britannico David Cameron circa le «possibili risposte della comunità internazionale sull’uso di armi chimiche». Nelle ultime ore mosse diplomatiche e militari si sono accavallate dando un senso d’urgenza, aggravato dalle nuove informazioni giunte dallo scacchiere. Medici Senza Frontiere ha precisato che 355 persone decedute nei loro ospedali siriani presentavano sintomi neurotossici. Un referto che potrebbe avvalorare la tesi di un attacco chimico avvenuto il 21 agosto nel sobborgo di Damasco e che avrebbe coinvolto quasi 3 mila persone. Inglesi e francesi, certi del coinvolgimento dei soldati lealisti, premono per un’iniziativa rapida mentre gli americani, pur condividendo le analisi degli alleati, hanno chiesto un supplemento di inchiesta. Saranno gli agenti sul campo a dover raccogliere nuove prove da presentare al presidente. L’ordine della Casa Bianca è stato preciso: portateci altri elementi e poi decideremo. Per questo il regime, con il sostegno di Iran e Russia, ha cercato di manovrare. E ieri i media ufficiali hanno raccontato che i soldati avrebbero trovato, in un tunnel vicino a Damasco, sostanze tossiche fornite ai ribelli da sauditi, tedeschi e qatarioti. La versione ufficiale è che sono stati gli insorti a usare i gas mentre il ministero degli Esteri ha anche promesso che permetterà agli ispettori Onu di indagare nei quartieri del massacro. Iniziative per alleggerire la pressione e accompagnare gli sforzi di quanti sono contrari a risposte militari. Teheran e Mosca — ovviamente — guidano la fila prefigurando una catastrofe per l’intera regione. Sia pure con molti distinguo, nel fronte del no c’è anche Angela Merkel, convinta che vadano trovate altre strade. Consapevole delle resistenze degli amici di Assad — il Cremlino può usare il diritto di veto — e dei «neutrali», Washington, secondo il New York Times , non esclude di ripetere lo schema Kosovo. Ossia un attacco aereo senza mandato dell’Onu, come avvenne nel 1999 quando nel mirino finì la Serbia di Milosevic. Il Pentagono ha così mobilitato quattro navi — Gravely, Barry, Mahan, Ramage — che sono dotate di Tomahawk, missili da crociera in grado volare seguendo il profilo del terreno e piuttosto precisi. Armi con le quali colpire centri di comando, siti legati allo sviluppo e allo stoccaggio delle armi chimiche, unità militari e basi aeree. Uno strike che potrebbe essere seguito da incursioni affidate all’aviazione, che dispone di velivoli in Turchia e in Europa. Un’eventuale offensiva — contenuta — potrebbe galvanizzare gli insorti creando spazi e mettendo in difficoltà l’apparato del regime. Oltre a pensare alla «punizione» gli alleati si preoccupano di eventuali rappresaglie. Domani ad Amman è previsto un summit coordinato dal generale americano Lloyd Austin, comandante del Centcom, e al quale parteciperanno i capi di Stato maggiore di Italia, Germania, Gran Bretagna, Francia, Canada, Giordania, Qatar, Turchia e Arabia Saudita. Un incontro — si è precisato — programmato da tempo ma che coincide con la fase di tensione. Gli Usa non escludono che i siriani possano reagire, usando mezzi convenzionali oppure affidandosi a un metodo ben collaudato, quello del terrorismo. Che, peraltro, è impiegato anche da una parte degli avversari di Assad. Ieri sera un’autobomba è esplosa in una zona cristiana della capitale provocando 5 vittime.
La REPUBBLICA - Alix Van Buren : " Perdere altro tempo sarebbe un azzardo"

Mentre la Casa Bianca affronta con urgenza «l’intrattabile questione siriana», Vali Nasr, uno dei suoi esperti, considera le opzioni sul tavolo: «La prima è di non intervenire affatto, e questa prevale da tempo a Washington. La seconda, la più importante, è approvare in fretta una risoluzione all’Onu per un’inchiesta sull’uso armi chimiche in Siria: è fondamentale sapere se quelle armi sono state davvero impiegate, e da chi. Soltanto allora si può pensare a una punizione».
A capo della John Hopkins School di Studi internazionali a Washington, Nasr è consulente del Dipartimento di Stato, esperto di Medio Oriente, Iran, Afghanistan e della questione sciita. Professore Nasr, se l’uso di armi chimiche fosse confermato, quali conseguenze prevede?
«Il regime di Assad finirebbe sotto accusa per crimini di guerra. Se invece i ribelli fossero i responsabili, questo vorrebbe dire che gli agenti chimici ora sono nelle mani di chiunque, con un serio rischio alla sicurezza internazionale. Perciò bisognerebbe capire quali ribelli, e in che modo, siano riusciti a ottenere le armi chimiche ».
Si riuscirà a farlo?
«Proprio il governo siriano è il maggiore ostacolo a un’inchiesta. Se Assad è innocente, sia disponibile a negoziare i termini di un’indagine. Se rifiuta di farlo, una risoluzione Onu consentirebbe una punizione».
Si parla di un’opzione Kosovo. E’ allo studio un’offensiva aerea?
«Gli interventi possono essere diversi: ad esempio, il lancio di missili Tomahawk di lunga gittata dalle portaerei contro obiettivi militari siriani; magari un unico lancio, come avvenne contro il Sudan per lo stesso motivo, per l’uso di armi chimiche. Oppure un raid aereo isolato. Ma “l’opzione Kosovo” equivarrebbe a un vero intervento armato, coinvolgerebbe l’America in quella guerra».
La Casa Bianca è pronta a farlo?
«Per ora, tutti i segnali indicano che Obama non vuole un coinvolgimento. Sotto il profilo intellettuale, la sua idea è questa: meno si fa in Medio Oriente, e più si fa. E’ convinto che quella regione abbia poco peso. La sua attenzione è rivolta all’America, all’Asia. Il che, rischia di costare molto».
Qual è il prezzo, secondo lei?
«E’ l’instabilità crescente della regione, è la presenza di Al Qaeda in Siria, è la diminuzione della statura dell’America a livello globale. Tutto il mondo guarda la Siria: la Cina, la Russia, l’Iran, la Corea prendono nota della mancata reazione da parte degli Stati Uniti. Se Assad può proseguire nelle sue azioni, impunito, così faranno gli altri. Il messaggio siriano al mondo oggi è questo: “Le linee rosse non contano”. Attenzione, però: a forza d’ignorare il Medio Oriente, un giorno l’America si troverà di fronte a un vulcano in piena eruzione. E allora, sì che si dovrà dire: “Non c’è più niente da fare”».
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