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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa - Libero - Il Giornale Rassegna Stampa
24.08.2013 Il conflitto si allarga al Libano: doppio attentato a Tripoli
Israele pronto a difendersi. Cronache di Aldo Baquis, Carlo Panella

Testata:La Stampa - Libero - Il Giornale
Autore: Aldo Baquis - Carlo Panella - Gian Micalessin
Titolo: «Israele disattiva lo 'stand by'. Islamisti e Assad sono avvisati - Tornano le stragi in Libano. Ma a che servono i caschi blu?»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 24/08/2013, a pag. 5, l'articolo di Aldo Baquis dal titolo "  Il conflitto si allarga al Libano, strage alla preghiera del venerdì". Da LIBERO, a pag. 17, l'articolo di Carlo Panella dal titolo "  Israele disattiva lo «stand by». Islamisti e Assad sono avvisati ". Dal GIORNALE, a pag. 13, l'articolo di Gian Micalessin dal titolo " Tornano le stragi in Libano. Ma a che servono i caschi blu? ".
Ecco i pezzi:

La STAMPA - Aldo Baquis : " Il conflitto si allarga al Libano, strage alla preghiera del venerdì "

Lo spettro della guerra civile si è ripresentato ieri di fronte al popolo libanese quando due autobombe sono esplose a Tripoli (a Nord di Beirut), a distanza di dieci minuti l’una dall’altra, provocando la morte di decine di fedeli islamici sunniti (almeno 50) e il ferimento di cinquecento.

Il duplice attentato – il più cruento dagli anni della guerra civile (1975-90) – è avvenuto una settimana dopo un’altra esplosione a Beirut in cui avevano trovato la morte 22 libanesi, in un rione sciita presidiato dagli Hezbollah. Ieri, a completare la drammaticità della situazione è arrivato un raid aereo israeliano su un campo paramilitare palestinese a Naameh (a Sud di Beirut) in ritorsione al lancio di quattro missili Grad, avvenuto giovedì verso le città israeliane di Naharya e di Acco.

In serata dirigenti libanesi di varie colori politici hanno denunciato il rischio che dietro al moltiplicarsi delle esplosioni vi sia un piano eversivo volto a far precipitare il Paese dei Cedri verso una «guerra settaria». «Rischiamo di diventare un altro Iraq», ha avvertito un ex responsabile dei servizi di sicurezza.

Gli attentati sono stati portati a termine con efferata efficienza mentre due moschee di Tripoli, la al-Taqwa e la Salam, erano affollate per le consuete preghiere del venerdì. La rete televisiva Lbc ha mostrato le immagini di una telecamera di sicurezza: si vedono fedeli immersi in preghiera; poi un forte bagliore seguito dal crollo di una parete esterna; quindi una densa nuvola di fumo e calcinacci che ricopre la gente in fuga disperata verso i varchi di uscita e i corpi che giacciono a terra. All’esterno delle moschee un inferno di automobili in fiamme mentre si sente il crepitare nervoso di armi automatiche.

Gli attentati di Tripoli non sono stati ancora rivendicati. Nei mesi scorsi la moschea alTaqwa aveva destato attenzione perchè dal suo pulpito il predicatore salafita sheikh Salem al-Rifai aveva lanciato pesanti anatemi verso gli sciiti Hezbollah di Hassan Nasrallah per il loro sanguinoso intervento in Siria al fianco di Bashar Assad e contro i sunniti locali. Da parte loro i dirigenti Hezbollah hanno velocemente assicurato che il loro movimento è estraneo alle stragi di Tripoli «perpetrate – hanno stabilito – da chi vorrebbe vedere il Libano in fiamme, a tutto vantaggio di Israele».

Israele constata che le milizie islamiche sono sempre più attive lungo i suoi confini. Il raid su Naameh – che non ha provocato vittime – è stato concepito come una sorta di messaggio. Se gli attacchi dal Libano dovessero ripetersi, la ritorsione dell’aviazione israeliana potrebbe essere molto più massiccia.

LIBERO - Carlo Panella : " Israele disattiva lo «stand by». Islamisti e Assad sono avvisati "


Carlo Panella                       Bibi Netanyahu

«Chi ci fa male, si farà male»: con questo secco messaggio Bibi Netanyhau ha avvertito Beshar al Assad e Hezbollah che Israele non permetterà che riesca l’ormai evidente loro progetto di riversare la guerra civile siriana all’esterno, incendiando la frontiera sud. I segnali in questa direzione sono inequivocabili, al lancio di katiuscia dal sud del Libano sull’alta Galilea israeliana di giovedì, sono infatti seguiti ieri due attentati a Tripoli del Libano, che hanno connotati chiari: sono opera di elementi di Hezbollah, o filo siriani, e mirano a innescare una guerra civile nel paese che preluda a un attacco a Israele (come è avvenuto nei decenni scorsi). Le parole del premier israeliano non sono dunque questa volta di circostanza e lasciano trapelare la sua decisione di uscire dalla posizione di stand by tenuta sinora nei confronti della crisi siriana, per andare ben oltre il bombardamento effettuato ieri delle postazioni di Hezbollah nel sud, per ritorsione contro il lancio di katiuscia. Secondo le rivelazioni di Le Figaro, che cita fonti dei servizi segreti, dal 15 agosto consiglieri militari israeliani, giordani, francesi e americani, fiancheggiano (e forse fanno qualcosa di più che fiancheggiare) una avanzata di commandos di ribelli siriani ultra addestrati, infiltrati dal confine della Giordania e diretti verso Damasco. L’avanzata dei ribelli aiutati da Israele, Francia, Usa e Giordania sarebbe tanto travolgente e di successo, che Beshar al Assad avrebbe deciso l’uso terroristico di gas nervini contro i quartieri ribelli di Damasco, denunciato da più fonti, proprio per contrastarla. Se la notizia sarà confermata (Le Figaro ha eccellenti legami con i Servizi francesi che a loro volta conoscono come nessun altro la situazione siriana), sarà chiaro che Gerusalemme ha deciso di intervenire nella crisi siriana per impedire che continui il radicamento dei ribelli legati ad al Qaida (favorito sinora dall’inerzia di Barack Obama nell’aiutare la rivolta) e soprattutto per annullare l’evidente disegno di Beshar al Assad di consolidare alcuni capisaldi in cui arroccare le sue forze a Damasco e lungo la costa mediterranea (a Latakia e Tartous) in cui mantenere a lungo il suo governo, lasciando che il resto della Siria venga conquistato dai vari gruppi di oppositori in armi. Una purulenta situazione di crisi al confine nord che Israele non può tollerare. Pare dunque che Gerusalemme, nel complesso, stia decidendo di intervenire in prima persona nel disastroso quadro di crisi che lambisce i suoi confini, aperto dalle “primavere arabe” percorse da venti di sangue implacabili. A nord Hezbollah, che combatte in Siria col supporto di migliaia di pasdaran iraniani e sotto il comando del generale iraniano Suleiman, è sempre più aggressivo, mentre a sud è tesissima la situazione in Sinai, aggravata dalla disastrosa instabilità politica dell’Egitto post Mubarak. Gli attentati islamisti nella penisola, confine meridionale dello Stato ebraico, sono quasi quotidiani e con tutta evidenza non sufficientemente contrastati dagli egiziani. Gerusalemme ha visto con grande favore la defenestrazione di Mohammed Morsi e del governo dei Fratelli Musulmani, che non facevano mistero della loro tolleranza nei confronti dei terroristi islamici nel Sinai (il generale al Sissi ha dichiarato di avere avuto ordini precisi in tal senso dal presidente deposto). Ma, nonostante che al Sissi abbia sempre mantenuto eccellenti contatti con governo di Gerusalemme e abbia permesso (o addirittura chiesto) l’in - tervento di Droni israeliani per uccidere islamisti nel Sinai, è evidente che le Forze Armate egiziane, di una inefficienza militare cronica, non sono affatto capaci di combatterli è rompere il consistente appoggio politico di cui godono da parte delle tribù dei beduini, da sempre emarginate dai vari governi del Cairo. Non è quindi da escludere che nelle prossime settimane Israele dia vita ad una escalation militare, non solo “coperta”, nei confronti della Siria, ma anche clamorosamente visibile nel Sinai.

Il GIORNALE - Gian Micalessin : " Tornano le stragi in Libano. Ma a che servono i caschi blu? "

Gli apprendisti stregoni hanno vinto. Lo spiri­tello della guerra è libe­ro, pronto a ritrascinare il Liba­no nel baratro di un nuovo con­flitto settario e confessionale. Il manifesto dell'apocalisse prossima ventura è vergato con il sangue delle 50 vittime e dei circa 500 feriti dilaniati dal­le due autobombe esplose nel cuore di Tripoli, la principale città del nord del Paese. E pre­sagi non migliori arrivano dal sud. Lì - dopo i quattro missili lanciati giove­dì contro lo Stato ebraico e rivendicati da un gruppo qaidista - è piovuta la rap­pre­saglia isra­eliana contro una base del Fronte di Libe­razione della Palestina a sud di Beirut. Il riaccender­si della tensio­ne nel sud mette a ri­schio anche i mille e cento soldati italia­ni impegnati nella missio­ne Unifil gui­dat­a dal gene­rale Paolo Ser­ra.
L'episodio più grave resta, per ora, quello di Tripoli. A sentir Hezbollah la duplice strage è un «atto terrori­stico parte di un piano crimina­le finalizzato a diffondere il se­me della discordia tra i libane­si ». Ma non vedere in quegli at­tentati la risposta alle auto­bombe esplose le scorse setti­mane nella banlieu sud di Bei­rut, roccaforte della milizia scii­ta, è un atto di fede assai diffici­le da sostenere. Tutto quel sus­seguirsi di massacri altro non è se non la continuazione del conflitto siriano. Non a caso il primo dei due ordigni di Tripo­li esplode accanto alla mo­schea al Taqwa nel quartiere di Zahiriye, durante la preghiera del venerdì officiata dal predi­catore Salem al Rafei, strenuo sostenitore della rivolta al regi­me di Damasco. La seconda fa strage a poca distanza dall'abi­tazione di Ashraf Rifi, un ex ca­po della polizia detestato da Hezbollah e dalle fazioni siria­ne vicine al presidente siriano Bashar Assad.
Il conflitto siriano e le sue divi­sioni sembrano insomma spin­gere alla guerra civile anche il Libano. Tripoli, città a maggio­ranza sunnita, è da due anni il santuario dove i ribelli anti As­sad arruolano i propri volonta­ri. Dai suoi quartieri sunniti par­tono i carichi armi e munizioni acquistati sul mercato libane­se e destinati ai gruppi armati impegnati in Siria. La scelta di campo di Hezbollah è stata pla­tealmente esplicitata con la partecipazione all'assedio di Al Qusayr, la roccaforte appe­na oltre confine dove si concen­travano le forze ribelli penetra­te dal Libano. Gli attentati delle scorse settimane contro i quar­tieri di Hezbollah a Beirut sono apparse immediatamente co­me la rappresaglia per la parte­cipazione all'assedio di Al Qu­sayr. E le bombe di Tripoli ri­schiano di generare un'altra escalation senza ritorno.
Ma la guerra settaria nord mi­naccia d'infiammare anche il meridione del Libano. Hezbol­lah, riarmatosi sotto il naso dell' Unifil e forte oggi di circa 40mi­la missili, avrebbe in verità as­sai scarso interesse a farsi coin­volgere in un nuovo devastan­te scontro con Israele. L'inco­gnita, come visto giovedì, sono però le possibili provocazioni dei gruppi sunniti interessatis­simi a suscitare una rappresa­glia israeliana capace di chiu­dere in una morsa le milizie scii­te.
Così la costosa missione Uni­fil, già dimostratasi assoluta­mente inutile e incapace di bloccare il riarmo di Hezbol­lah, rischia di rivelarsi anche estremamente pericolosa per i nostri soldati. I rischi - già am­plificati dopo la decisione dell' Unione Europea d'inserire nel­la liste del terrorismo l'ala mili­tare della formazione sciita- po­trebbero moltiplicarsi nel caso di uno scontro diretto tra Israe­le e Hezbollah. Anche perché, se lo scontro divampasse nel contesto dell'emergente guer­ra civile combattuta da milizie sciite e sunnite, i nostri soldati si ritroverebbero non solo schiacciati tra l'incudine e il martello, ma anche privi di vie di fuga.

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