Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Medio Oriente: l'Occidente resta a guardare commenti di Fiamma Nirenstein, Maurizio Stefanini
Testata:Il Giornale - Libero Autore: Fiamma Nirenstein - Maurizio Stefanini Titolo: «Il folle gioco dell'oca in Medio Oriente - Babele islamica»
Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 23/08/2013, a pag. 13, l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo " Il folle gioco dell'oca in Medio Oriente ". Da LIBERO, a pag. 16, l'articolo di Maurizio Stefanini dal titolo " Babele islamica ". Ecco i due articoli:
Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein : "Il folle gioco dell'oca in Medio Oriente"
Fiamma Nirenstein
Allora, abbiamo di nuovo Hosni Moubarak fra i vivi. Certamente la prigione di Maadi al Cairo, dove passerà qualche tempo agli arresti domiciliari, sarà meta di pellegrinaggi e di contestazioni. Già c'è confusione intorno al carcere di Tora ma talmente di meno di quello che l'evento della scarcerazione vale dal punto di vista simbolico. Il generale Sisi ha liberato il nemico dei Fratelli Musulmani, la loro sconfitta è totale, e insieme ha sepolto la rivoluzione di due anni e mezzo fa, in cui la deposizione di Mubarak era l'obiettivo generale. Ora l'Egitto ha un altro faraone, Sisi, Mubarak ne testimonia il potere sconfinato. Le accuse di corruzione sono cadute. Il processo sulle uccisioni dei cittadini deve ancora arrivare al giudizio definitivo.
Ma vedendo il raìs in giro non si può fare a meno di stropicciarsi gli occhi: il Medio Oriente è un folle giuoco dell'oca dove tutto si agita e niente si muove, dove la tragedia diventa polvere, persino le armi chimiche di Assad sono una falena, e si torna sempre al punto di partenza, pronti a gettare di nuovo i dadi. Il flash back ci sussurra che non è successo niente, la figura resuscitata di Mubarak, che non ha mai amato l'Occidente benché ci intrattenesse accordi fondamentali che tenevano in vita il suo regime, il guardiano dell'accordo con Israele, che non ha mai potuto soffrire e con cui ha saputo tuttavia condividere la lotta contro i terroristi di Hamas e gli jihadisti del Sinai, l'85enne che ha avuto come linea guida l'idea che la stabilità unita al progresso economico è un valore molto più importante della democrazia.
Mubarak è vecchio e ha il cancro da tre anni, Sisi che lo ha rimesso in circolazione sa bene che non rappresenta un pericolo. Ma è potente l'immagine che ci riporta a due anni e mezzo fa, con gli occhiali da sole sul volto imperturbabile, l'aria marziale e monumentale, i suoi ben portati trent'anni di dittatura da cui è scaturita la rivoluzione. Il gioco dell'oca si fa paradossale se si pensa che El Baradei, uno dei leader del colpo di stato, se n'è tornato a Vienna, sede dell'Aiea, l'agenzia dell'Onu per l'Energia Atomica, che egli ha diretto.
Il gioco dell'oca può essere brutale: i morti, la violenza, il sangue in Medio Oriente non suscitano politiche robuste, morali, sensate. Sull'Egitto, l'Europa riesce al massimo riunendo tutto l'apparato dei ministri degli Esteri, a fermare le forniture militari, e per il resto lascia campo libero a ciascuno dei Paesi dell'Ue, ovvero ai loro consueti dissensi. Niente di nuovo. Ma quel che è peggio è che il giuoco dell'oca torna crudelmente all'inizio anche in Siria: siamo come un anno fa a misurare l'orrore, a contare centomila morti più quelli uccisi dal gas, a dedicare ad Assad solo esclamazioni.
È ormai passato un anno da quando Obama ha promesso al mondo intero che l'uso delle armi chimiche non sarebbe stato tollerato, che rappresentava una linea rossa oltre la quale il mondo civile non è disposto ad avventurarsi. La linea rossa si è scolorita. Con una serie di penosi distinguo si è al punto per cui una strage compiuta con gas Sarin di civili, donne, bambini, diventa di nuovo, dopo che ce n'era già stata una, oggetto di paludate indagini che non arriveranno a nulla prima che Assad compia un'altra strage.
Questa settimana il capo di stato maggiore Martin Dempsey ha escluso completamente l'uso di armi americane. Il suo argomento non è illogico: i nemici di Assad appartengono in parte al campo della jihad in parte legata ad Al Qaida, che non promette niente di buono. Ma questo non salva la superpotenza americana e l'Europa dal dovere di difendere il mondo dall'imbarbarimento. L'irrilevanza americana spinge Assad a sentirsi adesso libero di agire nel più crudele dei modi tanto Obama non farà niente, mentre Putin seguiterà a sostenerlo apertamente e a fornirgli aiuto e armi. Gli Hezbollah o qualche gruppo jihadista cercano di aprire un fronte con Israele, e si scalda di nuovo il confine col Libano da cui ieri sono stati sparati quattro missili Grad sul nord d'Israele. In Israele l'allarme è massimo: stavolta il possibile scenario di guerra ha i colori di una Siria impazzita e dell'Iran che si staglia dietro gli Hezbollah. Anche questo, come prima, più di prima. www.fiammanirenstein.com
LIBERO - Maurizio Stefanini : " Babele islamica "
Maurizio Stefanini
Stati Uniti eUnione Europea sono in imbarazzo di fronte all’evoluzione medio-orientale, ma effettivamente il caos è ormai tale che gli stessi governi dell’area sembrano aver perso ogni coerenza. In caso di caos, una regola aurea è sempre quella: il nemico del mio nemico è mio amico. E così, prima in chiave anti-Saddam, poi anti-Usa e anti-Israele e pro-Hezbollah si è forgiata ad esempio l’intesa tra il regime teocratico iraniano e quello in teoria laico del Baath siriano: in pratica però egemonizzato dalla minoranza alawita, che in senso stretto non è sciita, ma ha deciso di assimilarsi agli sciiti in chiave antisunnita. Ma chi è il “nemico del mio nemico” in quel che sta accadendo in Egitto? Imilitari laici, garanti della paceconIsraele? O i Fratelli Musulmani, sostenitori dei ribelli siriani? Evidentemente i governi di Damasco non sono riusciti a mettersi d’accordo, e forse è ricicciato in loro il fondo ideologico che veniva prima dell’alleanza di convenienza. Il regime laico emilitare baathista, dunque, ha finito per schierarsi con i militari egiziani: forse più ancora per solidarietà tra militari laici e autocratici, che nella speranza che venga meno un appoggio importante ai ribelli siriani. Il regime sciita iraniano, invece, appoggia gli islamisti di Morsi, ancorché sunniti. La posizione iraniana, per Bashar Assad e per Morsi, è asimmetrica in modo spettacolare. Ma poiché il grande avversario teologico prima ancora che politico o strategico della repubblica sciita dell’Iran è la monarchia wahabita e sunnita dell’Arabia Saudita, ecco dunque che Riad ha preso la posizione asimmetrica esattamente opposta a quella di Teheran: per i ribelli siriani contro Bashar Assad, e al contempo per i militari egiziani contro iFratelli Musulmani. Gli uni e gli altri generosamente riforniti dal punto di vista finanziario. La cosa è resa ancorapiù complicata dal fatto che fino al 1990 i Fratelli Musulmani, in origine un’organizzazione puramente egiziana, accrebbero la loro influenza in tutto il mondo arabo proprio grazie al generoso appoggio saudita. Ma nel 1990 al momento della guerra del Kuwait i Fratelli si schierarono con Saddam Hussein: non perché simpatizzassero troppo per lui, in realtà, ma in contrapposizione alla presenza di truppe occidentali nel suolo “santo” dell’Arabia, chiamate dalla dinastia saudita per impedire al raìs iracheno di mettere le mani sopra al petrolio del Golfo Persico. E Riad quel mensionare le ambizioni dell’as - se Ankara-Doha. Erdogan, che l’appoggio alla ribellione siriana aveva però portato dal dialogo con l’Iran allo scontro, sta ancora su queste posizioni, anche perché vede nella coalizione piazza laica-militari che ha esautorato Morsi un inquietante anteprima di possibili sviluppi nella Turchia stessa, a partire dalla protesta sul Gezi Park. In Qatar, invece, l’av - vicendamento dinastico di giugno tra lo sceicco Hamad Ben Khalifa al-Thani e il figlioTamim ha portato anche alla sostituzione al ministero degli Esteri dello sceicco Hamad Ben-Jabr al-Thani, grande regista dell’espansio - nismo dell’emirato. E da allora il Qatar ha attenuato di molto il suo impegno politico, anche se ha continuato la sua espansione finanziaria. Non è ancora chiaro se ci siano state pressioni dei sauditi odi altri vicini,ose sia stata la dinastia qatarina a decidere da sola che lo sforzo “imperiale” del piccolo Stato era ormai insostenibile ed era arrivato il momento di un ridimensionamento. A ogni modo in Egitto il Qatar a un certo punto si è tirato da parte in un modo che la lasciato Morsi solo. Erdogan ha pure accusato Israele di essere dietro all’azione che ha deposto Morsi. Detto così è probabilmente eccessivo: ma è evidente che se Israele non ha ancora deciso se in Siria il male minore sonoi ribelli o Bashar Assad, in compenso in Egitto preferisce nettamente i militari. E ciò è un motivo di ravvicinamento con l’Autorità Nazionale Palestinese, mentre Hamas ha perso in Morsi un importante interlocutore. Poi c’è il Sudan: pro-Morsi, e pro-ribelli siriani, cui stamandando armi. L’Algeria: appoggia i militari egiziani, vedendo nella loro azione la replica del golpe con cui nel 1992 i militari algerini impedirono di andare al potere agli islamisti locali. Il Marocco: esitante tra l’atteggiamento promilitari del re e quello di un governo diretto da un Partito Giustizia e Sviluppo ideologicamente affine ai Fratelli. La Tunisia: dove il governo guidato dagli islamisti di Ennadha ha accettato il dialogo con i lici proprio nel timore di uno sbocco all’egiziana.
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