Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 18/08/2013, a pag. 7, l'intervista di Francesca Caferri a Tariq Ramadan dal titolo " Morsi ha fatto tanti errori ma questo è un massacro ". Dalla STAMPA, a pag. 5, l'intervista di Antonella Rampino a Emma Bonino dal titolo " In questa crisi Ue e Usa ridimensionati dai sauditi ".
Le dichiarazioni del Ministro degli Esteri Emma Bonino non differiscono molto da quelle di Tariq Ramadan, nipote del fondatore dei Fratelli Musulmani (condannato all’impiccagione da parte del presidente Nasser per attività terroristica).
Ramadan non smentisce la linea opportunistica che ha sempre tenuto dal suo buen retiro in Svizzera, Paese del quale è diventato cittadino dopo che la famiglia lasciò l’Egitto a causa della messa fuori legge della Fratellanza. Ramadan nega la realtà, com’è sua abitudine, si veda la negazione della persecuzione dei cristiani copti e la messa a fuoco delle loro chiese. Il gioco però gli riesce facile perché, non solo il ministro Bonino, ma l’Occidente in generale, dopo aver criticato l’invasione americana dell’Iraq “perché non si può imporre la democrazia con le armi” – questa era l’accusa contro l’America da parte delle sinistre occidentali – diventa adesso l’argomento fondamentale, rovesciato, per criticare l’appoggio americano al governo di Abdel Fatah el Sisi. Più di 10 milioni di firme di egiziani avevano chiesto in modo democratico l’allontanamento del presidente Morsi che stava portando l’Egitto ad un regime teocratico che la maggioranza degli egiziani oggi rifiuta.
Paradossalmente l’Occidente, al seguito del pifferaio Ramadan, vorrebbe riportare al potere l’ex presidente Morsi quando è chiaro anche agli orbi il pericolo rappresentato oggi dalla Fratellanza Musulmana. Nelle strade e piazze egiziane è in atto un tentativo violento di riportare il Paese sotto il dominio degli islamisti. Alla violenza dei manifestanti c’è stata la ovvia risposta violenta dell’esercito. Ma non poteva essere altrimenti, se si vuole davvero garantire all’Egitto un futuro, non diciamo ancora democratico, ma laico.
In Turchia Erdogan ha messo in prigione tutta l’élite militare del paese, i giornalisti di opposizione, continuando l’opera di islamizzazione del paese. Erdogan non a caso è fra i sostenitori del deposto Morsi. Anche di fronte al caso Turchia l’occidente è cieco e muto. Ci auguriamo che Obama, di fronte al fallimento della sua politica mediorientale, ne prenda atto.
Per quanto riguarda l’ Italia, è come se alla Farnesina, a dirigere i lavori, ci fosse un Massimo D’Alema in gonnella. L’essersi schierata contro le forze laiche egiziane rappresentate dall’esercito, fa di Bonino il peggior Ministro degli Esteri che nessun governo moderato e democratico avrebbe potuto augurarsi di avere.
La REPUBBLICA - Francesca Caferri : " Morsi ha fatto tanti errori ma questo è un massacro "

Tariq Ramadan
«I Fratelli musulmani hanno fatto moltissimi errori negli ultimi due anni: l’ho detto e lo ripeto. Ma quello che sta accadendo in Egitto è inaccettabile». Tariq Ramadan è uno dei più noti intellettuali musulmani contemporanei: professore di Studi islamici a Oxford, costantemente inserito nella lista delle persone più influenti del mondo da Foreign Policy, spesso accusato di essere troppo vicino alle posizioni degli islamisti. Ma in queste ore è, prima di tutto, il nipote di Hassan al Banna, l’uomo che nel 1928 creò i Fratelli musulmani, e il figlio di Said Ramadan, uno dei principali esponenti del movimento, perseguitato e costretto all’esilio da Nasser. Professor Ramadan, qual è la sua reazione di fronte agli avvenimenti di queste ore?
«Sono indignato. I Fratelli musulmani negli ultimi mesi non hanno fatto che errori. Ma questo non giustifica il colpo di Stato e le stragi: né tantomeno i tentativi di manipolazione della realtà. Dire che la maggior parte degli egiziani ha chiesto in piazza la deposizione di Morsi, come fa l’esercito, è un falso. Come è falso affermare che tutti quelli che erano in strada nei giorni scorsi erano con i Fratelli musulmani: in quelle tendopoli c’erano copti, laici, liberali. Gente che era lì per dire che non voleva un colpo di Stato: e non aveva armi. E questa non è che una delle bugie dell’esercito».
Cosa intende?
«L’esercito ha detto di aver trovato armi negli accampamenti: ma per sei settimane non erano state usate. E ancora: nessuno aveva toccato i cristiani durante tutta la crisi, ma proprio ora che serve seminare terrore, le chiese vengono incendiate. Queste sono solo bugie, elementi utili ai militari per dire ‘o con noi o con gli estremisti’».
Però tanti egiziani non erano soddisfatti del governo dei Fratelli musulmani e oggi sono con l’esercito.
«I Fratelli musulmani non hanno mostrato alcuna visione politica, non si sono curati della disoccupazione, dei servizi sociali, dei problemi veri. Hanno mancato di apertura nei confronti della società, non hanno incluso nessuno che non la pensasse come loro nei processi decisionali. Morsi non è mai stato in grado di dire al mondo se a decidere era lui o i Fratelli musulmani. Ma non si può credere all’esercito quando dice che in piazza nelle settimane scorse c’era la maggioranza degli egiziani e che hanno chiesto un intervento contro il governo. La maggior parte degli egiziani è rimasta a casa. Questo è stato un colpo di Stato messo in atto dai generali per mantenere il totale controllo del paese: di fronte a me non vedo che tempi cupi».
È la fine della Primavera araba?
«Personalmente alla Primavera araba non ho mai creduto. Ma sono profondamente deluso dai cosiddetti liberali che per mesi hanno inneggiato alla democrazia e ora si schierano a fianco dell’esercito. Credo che la strada per tornare a liberare energie democratiche e costruttive nella società egiziana sarà lunga e dolorosa. L’unica via d’uscita possibile sarebbe l’unione di tutte le forze contrarie all’esercito, i liberali, i Fratelli musulmani, i cristiani, gli intellettuali: dovrebbero esigere il ritorno dei militari nelle loro caserme e la restaurazione di un governo civile. Ma questo non accadrà presto».
Molti parlano di una possibile radicalizzazione dei Fratelli musulmani: Lei conosce il movimento come nessun altro, teme che gli estremisti possano prevalere?
«Ci sarà una radicalizzazione, ma solo di una piccola parte del gruppo. Gli altri dovranno trovare un modo per reinventarsi, pensare a un futuro da vivere in clandestinità, come a lungo è stato nel passato: spetterà ai giovani capire cosa dovranno essere i Fratelli in futuro. Di certo non soltanto i guardiani di un Islam duro e puro perché questo non funziona in Egitto, i fatti lo dimostrano ».
La STAMPA - Antonella Rampino : " In questa crisi Ue e Usa ridimensionati dai sauditi "

Emma Bonino
Ministro, lei è una profonda conoscitrice dell’Egitto e delle sue dinamiche politiche. Cosa accadrà al processo democratico avviato con la primavera araba? E come reagirà la Fratellanza Musulmana, messa all’angolo manu militari?
«Non ci eravamo mai illusi che il percorso dell’Egitto verso la democrazia sarebbe stato lineare. Continuo ad essere convinta che nel lungo periodo sia inarrestabile, anche se in questo momento assistiamo ad una drammatica involuzione. L’utilizzo brutale della forza da parte dell’esercito contro il suo popolo è inaccettabile, va deplorato senza mezzi termini. Esistono precise responsabilità dei Fratelli Musulmani. Penso all’incapacità di governo dimostrata in un anno e mezzo ed alla volontà di impadronirsi di ogni struttura istituzionale e di potere senza tenere in minima considerazione quella parte di Egitto che, pur non essendo laica nel senso occidentale del termine, crede nella laicità dello Stato».
È possibile mettere al bando la Fratellanza Musulmana, come vorrebbe il premier Beblawi?
«Di certo le conseguenze sarebbero devastanti, significherebbe mandarli in clandestinità, rischiando di potenziare l’estremismo dei gruppi».
Lei ha detto più volte che il Medio Oriente è scosso da una lotta interna alla famiglia sunnita. L’Egitto è un potente catalizzatore di tutta l’area, quale potrebbe essere il punto di riequilibrio nella regione?
«Se l’Egitto precipita nel caos, le onde d’urto della sua instabilità si ripercuoteranno in tutta l’area, non c’è dubbio. L’Egitto è parte essenziale del “grande gioco” per il potere geopolitico regionale, basti guardare da chi vengono le offerte di aiuto all’attuale regime di Al Mansour e dei generali. È in atto un epocale scontro geo-politico all’interno della famiglia sunnita che vede schierati da un lato Emirati, Arabia Saudita e Kuwait, e dall’altro Qatar e Turchia. E tutto ciò si riverbera drammaticamente in Siria, Libia, Tunisia oltre che in Libano, alimentando anche le tensioni fra la galassia sciita e quella sunnita».
È possibile, in prospettiva, una ripresa del terrorismo, come sta già accadendo in Sinai?
«Se la componente islamista non trova una sua espressione di rappresentanza politica, il rischio è che le componenti più estremiste optino per la scelta terroristica, e non solo in Sinai, dove già abbiamo una presenza jihadista preoccupante che non è stata sgominata. Rischi ce ne potrebbero essere ovviamente persino in Europa».
È vero che la maggioranza degli egiziani vede con favore la «nasserizzazione» di Al Sisi, e l’autoritarismo come esito della «primavera araba», perchè ordine e autorità sono la storia dell’Egitto moderno?
«Di sicuro l’autoritarismo dei governi precedenti non può essere considerato un modello di riferimento da quanti hanno a cuore i valori della democrazia. Una parte della popolazione egiziana, per quanto minoritaria, non ha mai smesso di essere nostalgica di regimi non democratici che garantivano i privilegi di pochi a scapito di milioni di persone. È vero che la crisi economica, l’instabilità sociale, la criminalità in continuo aumento, che hanno reso difficilissima la vita di milioni di persone in questi due anni e mezzo, possono aver convinto molti egiziani che vale la pena di barattare la democrazia con la stabilità e la sicurezza. Ma non è quella la strada da seguire».
L’Egitto ri-nasserizzato con la violenza sarebbe comunque stabile?
«Ripeto, credo che un ritorno al passato, al modello di autoritarismo alla Mubarak, non sia nelle cose: il genio è uscito dalla bottiglia e non lo si può rimettere dentro. Da Piazza Tahrir ad oggi la società egiziana nel suo complesso è maturata, pur pagando prezzi molto dolorosi. Ma certo non è con le violenze e con le violazioni dei diritti umani che si può percorrere un cammino, per quanto lungo e accidentato, di democrazia. Tutte le forze politiche egiziane in campo, e il governo interinale prima e più di tutti, hanno il dovere di dare prova di responsabilità e trovare un compromesso. Il che vale anche per i Fratelli Musulmani, che devono cessare di incitare la piazza a manifestazioni che diventano sempre più violente con connotazioni religiose e settarie contro i copti e i luoghi di culto».
Cosa può fare concretamente l’Unione Europea? E’ praticabile quel che chiede oggi Le Monde, la sospensione degli aiuti? Ne parlerete al prossimo Consiglio dei ministri degli Esteri?
«Vorrei dire che abbiamo lavorato per settimane alla ricerca di una mediazione, purtroppo fallita, per evitare gli eccidi che poi si sono verificati. Non c’è dubbio che ora dobbiamo seriamente pensare a riposizionare la politica europea verso l’Egitto e non solo: serve un vero “reset” delle relazioni. Fra qualche giorno ci riuniremo a 28 e ne discuteremo. Ma dobbiamo capire che la garanzia d’impegno da parte dell’Europa non è una garanzia di successo: il mondo è ormai multipolare, e per le leve che ha in mano -500 milioni di euro in aiuti per Il Cairo- l’Europa, come pure gli Stati Uniti, rischiano di sembrare pulci davanti ai mezzi che possono usare il Qatar o l’Arabia Saudita».
Lei ha proposto l’embargo alle armi. Non sembrerà una misura tardiva, dopo che la polizia ha avuto via libera dall’esercito di sparare sulla folla, mitragliata anche dagli elicotteri?
«L’Italia ha sospeso ogni tipo di fornitura di armamenti fin da giugno, prima ancora del golpe. Ci batteremo perché i Paesi dell’Ue adottino la stessa misura».
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