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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Giornale - La Stampa Rassegna Stampa
14.08.2013 Negoziati Israele/palestinesi: continuano nonostante i razzi e le dichiarazioni di Abu Mazen
commento di Fiamma Nirenstein, cronaca di Francesca Paci

Testata:Il Giornale - La Stampa
Autore: Fiamma Nirenstein - Francesca Paci
Titolo: «Quei negoziati di pace in cui nessuno crede più - Israele, razzi e coloni non fermano i colloqui di pace»

Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 14/08/2013, a pag. 17, l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo " Quei negoziati di pace in cui nessuno crede più ". Dalla STAMPA, a pag. 15, l'articolo di Francesca Paci dal titolo "Israele, razzi e coloni non fermano i colloqui di pace", preceduto dal nostro commento.
Ecco i pezzi:

Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein : "Quei negoziati di pace in cui nessuno crede più "


Fiamma Nirenstein

Il tempo del giubilo è lontano. Le trattative sono vecchie di vent’anni e, in parallelo, lo è stata la guerra. Peccato, qui sono andate sempre a braccetto, e ormai nessuno è più in grado di dimenticarlo, tantomeno oggi, all’apertura dei colloqui che gli americani coccolano come un neonato. Nemmeno si sa dove si svolgono, tanto poca è la sicurezza dell’evento. Nessuno può obliterare il ricordo di tante occasioni pleonastiche. Come a Madrid (1991) dove la squadra palestinese ogni notte prendeva l’aereo per Tunisi per rendere omaggio al suo insonne capo, Arafat, che gli insegnava a dire no. Poi Oslo (1993), poi Wye Plantation (1998) Camp David (2000)… Questi colloqui sono soprattutto americani e chissà se almeno Kerry ci crede. Abu Mazen ne ha bisogno come scudo contro Hamas e gli altri estremisti infuocati dell’Area, Israele perché pensa all’Iran e alle promesse di Obama. Ma ci sono stati tempi diversi. Ai tempi di Rabin, improvvisamente i supermarket si riempirono di merci, i vestiti, il cibo, le canzoni, tutti cambiò, Mc Donald aprì il suo primo branch dove si affollavano i giovani affamati di normalità; con Barak, ormai troppi attentati avevano bruciato la freschezza della speranza, ma quando sulla porta del cottage di Camp David Bill Clinton, Arafat e Barak davanti a una porta stretta cedevano ridendo il passo l’uno all’altro, ancora si sperava che dietro quella porta si compisse il miracolo.

L’Intifada penetrò nei sogni degli israeliani e li cambio per sempre, viziò di sangue i palestinesi. Sharon li vinse, ma poi fallì la grande mossa dello sgombero di Gaza (2005), che invece di pace portò missili. Ad Annapolis (2007), in un emiciclo di cemento Ehud Olmert giuocò la sua corrida offrendo ai palestinesi praticamente tutto, compresa Gerusalemme. Non andò.

Il debutto odierno del nuovo processo di pace deve accontentarsi di un misero 18 per cento degli israeliani che credono nella sua riuscita mentre l’80 la credono improbabile o molto improbabile. I palestinesi in massa protestano perché Abu Mazen ha accettato i colloqui ma stanotte 26 prigionieri palestinesi di cui molti si sono macchiati di delitti repellenti (per esempio l’omicidio a Gaza dell’avvocato filopalestinese Sean Feinberg cui vennero mozzate le orecchie, o la mattanza a colpi di scure di un sopravvissuto della Shoah, Isaac Rotemberg) sono stati trasportati a Ramallah, dove verranno condotti al check-point di Betunya per essere trasportati a Ramallah: li aspettano le famiglie e gli uomini di Fatah, il centro del potere palestinese. Per Israele si tratta di una corona di spine per cui i genitori, le mogli e i figli degli uccisi non si stancano di protestare, la protesta è accorata e ragionevole. Non c’è nessuna garanzia che questo strazio porti alla pace. Per i palestinesi si preparano giorni di glorificazione di eroi che però sono, ai loro occhi, pochi e scelti fra i meno importanti per esercitare una pressione utilizzando gli altri gruppi da rilasciare.

Tuttavia la festa sarà grande: su 26, 14 vanno a Gaza e il resto con Abu Mazen, che si prenderà il merito della liberazione di tutti. Hamas ha proibito di festeggiare, Abu Mazen ne sarebbe troppo soddisfatto. La seconda causa di inquietudine è l’annuncio del governo israeliano che costruirà 1200 unità di abitazione oltre la Linea Verde, cosa che ha creato grande scompiglio internazionale e fra i palestinesi. La mossa è stata resa nota adesso per lo scontento che Netanyahu avverte nella coalizione, a causa della liberazione dei prigionieri. Lo sfondo strategico di questo debutto, in cui domina lo scetticismo, è più a sud, nel Sinai, da dove ieri sono stati sparati tre missili sulla cittadina di vacanze di Eilat. Si consolida il nuovo fronte di guerra che Al Qaeda con i suoi alleati di Hamas e vari gruppi salafiti ha aperto contro Israele e l’Egitto post Fratelli Musulmani. E’ vero che questi due Paesi hanno già firmato da tempo un accordo di pace, ma forse in questi giorni il loro interesse comune antislamista è l’unico scenario di concordia che è dato scorgere all’orizzonte.
www.fiammanirenstein.com

La STAMPA - Francesca Paci : " Israele, razzi e coloni non fermano i colloqui di pace "


Francesca Paci            Saeb Erekat, John Kerry, Tzipi Livni

La titolazione del'articolo è tremenda.
Mettere sullo stesso piano i razzi lanciati dai terroristi della Striscia contro Israele e la costruzione di alcuni alloggi è assurdo.
Ricordiamo, poi, che Gerusalemme è la capitale unica e indivisibile di Israele, non è una colonia.
Ecco il pezzo:

Il conto alla rovescia è terminato. Oggi, salvo terremoti politici, il ministro della Giustizia israeliano Tzipi Livni e il consigliere di Netanyahu Yitzhak Molcho dovrebbero sedersi di fronte ai palestinesi Saeb Erekat e Mohammad Shtayye per rilanciare, seriamente, i negoziati di pace. Il condizionale in queste ore non è un vezzo, date le nubi addensatesi in settimana sugli sforzi statunitensi. Proprio ieri, riaffermando l’impegno conciliatore della Casa Bianca, il segretario di Stato americano Kerry ha confermato la volontà del presidente palestinese Abu Mazen di continuare il dialogo nonostante le polemiche degli ultimi giorni sui nuovi insediamenti ebraici in Cisgiordania, insediamenti che, come ha ripetuto Kerry a Netanyahu, Washington continua a ritenere «illegittimi».

L’annuncio del via libera alla costruzione di 900 nuove abitazioni al di là della linea verde (quella dei confini del ’67) ha sollevato parecchie proteste da parte dei palestinesi che, per bocca del portavoce dell’Olp Yasser Abed Rabbo, denunciano il rischio di un colloquio ucciso prima ancora di nascere (anche perché, sostiene l’Olp, dall’inizio di luglio a oggi Israele ha autorizzato l’edificazione di oltre 3000 case nelle aree occupate dalle colonie, in barba alle promesse reiterate agli americani).

Retrocedere in questo momento però non conviene a nessuna delle due parti, come prova l’arrivo imminente del segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon che, evidentemente, non vuole lasciare intentato alcuno sforzo diplomatico. Anche perché se l’Autorità Nazionale Palestinese deve fare buon viso alla concessione di Netanyahu alla destra nazional-sionista, sa che può contare in cambio sul rilascio - atteso per oggi - di 26 connazionali detenuti di lunghissima data nelle carceri israeliane (quasi tutti arrestati prima degli accordi di Oslo). Si tratterebbe dei primi di una lunga lista di 104 nomi prossimi a essere rimandati in Cisgiordania e a Gaza, giacché la Corte Suprema israeliana ha respinto il ricorso di Almagor, l’associazione delle famiglie delle vittime contraria al rilascio come molti nel Paese, spaccato sull’opportunità di abbuonare l’ergastolo a chi ha ucciso ferocemente civili e militari. La Corte, pur comprendendo «la pena» dei parenti, ha stabilito che il governo avesse «il potere» di arrivare a quella pur «sofferta» scelta.

Molte cose si muovono in queste ore in Terra Santa. Mentre israeliani e palestinesi provano a ripartire, il confine sud, quello con l’Egitto, a ridosso della esplosiva Gaza da cui Hamas boicotta il rilancio dei negoziati, è in tumulto. Ieri il sistema anti missilistico Iron Dome è entrato in azione per la prima volta sul cielo della città israeliana di Eilat, sulla costa turistica del Mar Rosso, e ha abbattuto un razzo lanciato dal Sinai verosimilmente dai fondamentalisti islamici contro cui sta combattendo anche l’esercito egiziano.

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