Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 11/08/2013, a pag. 12, l'articolo di Cecilia Zecchinelli dal titolo " Iraq, strage di sciiti nel giorno della festa ", a pag. 24, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " La frangia irachena di Al Qaeda e l'ideologia che porta alle stragi ".
Ecco i due articoli:
Cecilia Zecchinelli - " Iraq, strage di sciiti nel giorno della festa "

Undici, forse dodici auto-bomba esplose nei caffè, nei ristoranti e nei mercati affollati di Bagdad, tra le gente che festeggiava l'Eid Al Fitr, l'importante ricorrenza che segna la fine del Ramadan. Altre scoppiate a Kirkuk, Karbala, Nassiriya. A Tuz Khormato, la cittadina a nord di Bagdad contesa da curdi e governo centrale, un kamikaze si è fatto saltare uccidendo otto persone. In tutto il Paese, almeno 69 morti e centinaia di feriti, molti tra le forze dell'ordine, quasi tutti sciiti come la maggior parte dei quartieri dove sono avvenuti gli attentati a distanza di pochi minuti l'uno dall'altro, gestiti in apparenza da una sola regia. Nella capitale, dove la prima esplosione è avvenuta in un parco giochi e ha ucciso due bambini, le vie dello shopping nelle zone di Amil, Abu Dashir, Khazimiyah, Baiyaa, Shaab, Husseiniyah e Dora si sono trasformate in un attimo in zone di guerra: colonne di fumo, sangue, urla, terrore, poi le ambulanze e la polizia, gli elicotteri. Se il mese sacro del Ramadan è spesso scelto dai terroristi per le loro azioni, che sarebbero così «benedette», era da cinque anni che la Eid Al Fitr non vedeva in Iraq tanto orrore. Non è certo un sorpresa, però. Anche se solo stragi come quelle di ieri rompono l'indifferenza del mondo per l'ex repubblica baathista di Saddam Hussein, a dieci anni dall'intervento americano che lo depose, l'Iraq è ormai sempre più vicino a una nuova guerra confessionale dopo quella terribile del 2006-2007. Per molti anzi vi sarebbe già sprofondato. Basta guardare gli ultimi numeri: 1057 morti nel solo mese di luglio, il più cruento dal 2008 secondo i dati dell'Onu. Durante il Ramadan appena concluso, le vittime sono state 814. E negli ultimi giorni, il 21 luglio ci sono stati 71 morti nell'assalto di un gruppo qaedista a due prigioni per liberare centinaia di detenuti. La settimana dopo, altre autobomba esplose a catena — 11 solo a Bagdad — avevano ucciso oltre 60 persone, 50 delle quali nella capitale. E dallo scorso aprile che l'Iraq vede un'escalation di sangue e violenza, la cui fine non sembra vicina. Quattro mesi fa, le elezioni locali avevano visto un deciso calo di popolarità del governo guidato dal premier sciita Nouri Al Maliki. Manifestazioni della minoranza sunnita erano state disperse dalle forze di sicurezza a Hawija con 240 morti. Da allora quasi ogni giorno ci sono stati scontri, attentati, attacchi. Ad alimentare nuovamente l'odio tra le due fedi dell'Islam, concordano analisti e politici, è stato in gran parte il conflitto siriano. La rivolta sunnita contro Bashar Assad ha ridato forza ai compagni di fede iracheni, al potere con Saddam ma ora in secondo piano. I gruppi estremisti, compresi quelli vicini a Al Qaeda, negli ultimi mesi hanno ritrovato vigore. Ma anche tra la gente «normale» la rabbia contro il governo di Al Maliki continua a crescere. Nonostante il petrolio e il miglioramento generale dell'economia, il livello di vita resta spesso misero, i servizi basilari come acqua e energia sono carenti, non c'è sicurezza, mentre la corruzione e l'apatia dei politici sono noti a tutti. Dalle elezioni legislative del 2010 poche leggi sono state varate, quasi nessuna applicata, mentre il Paese è sempre più diviso tra sciiti e sunniti, con i curdi, ricchi di petrolio nel Nord, a fare da «terza forza». Tutti in attesa delle elezioni politiche di primavera, che Al Maliki vorrebbe forse rimandare, mentre riemergono ipotesi di una divisione del Paese e la violenza non si ferma.
Guido Olimpio - " La frangia irachena di Al Qaeda e l'ideologia che porta alle stragi "

al Qaeda
L'ultima strage segue un sentiero consolidato costruito, a colpi di bombe, dalla branca irachena di Al Qaeda, l'Isi. Massacri che si ripetono con un ritmo infernale e che solo nel mese di luglio hanno provocato quasi mille vittime. Purtroppo nulla di sorprendente.
In febbraio, dopo un'altra ondata di attacchi, i terroristi hanno spiegato, senza giri di parole, quali sono i loro obiettivi. Il primo è il proseguimento della lotta dei sunniti contro i «politeisti», termine con il quale identificano gli sciiti al potere. Nella visione degli estremisti i sistemi politici tradizionali non servono alla causa e per ristabilire la «dignità» è necessario combattere. Poco importa se poi a pagare siano dozzine di civili innocenti. L'Isi vuole chiaramente proporsi come guida e scudo dei sunniti, tagliando via qualsiasi forma di compromesso e creando una pressione «militare» continua sul governo sciita di Bagdad.
I qaedisti, in questi anni, hanno ricostruito la loro rete, perfezionato le tecniche per gli attentati come evidenziano i bilanci terrificanti, surclassato gli apparati di sicurezza interni, incapaci di parare i colpi. Pochi nell'arena internazionale hanno badato agli stragisti, c'erano altre priorità e crisi. Difficile anche contrastarli. E questo ha finito per favorire i piani dell'Isi che dopo aver consolidato la sua area di influenza in Iraq ha rivolto le sue attenzioni alla vicina Siria.
Diverse colonne di mujahedin operano contro il regime di Assad al fianco degli insorti jihadisti. Rapporti non sempre facili ma che hanno permesso ai militanti di creare comunque una saldatura. La guerra a Damasco è presentata come un momento di un confronto più generale tra i sunniti e gli sciiti. Spiegazione fondata che si tramuta in una chiamata a raccolta in un conflitto destinato a durare e, magari, ad allargarsi ad altri paesi del Medio Oriente. Ecco perché quanto avviene a Bagdad dovrebbe interessare tutti.
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