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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
02.08.2013 Iraq, la guerra e la caduta di Saddam hanno rafforzato l'Iran
commento di Franco Venturini

Testata: Corriere della Sera
Data: 02 agosto 2013
Pagina: 33
Autore: Franco Venturini
Titolo: «Mille morti nel solo mese di luglio la strage dimenticata dell'Iraq»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 02/08/2013, a pag. 33, l'articolo di Franco Venturini dal titolo "Mille morti nel solo mese di luglio la strage dimenticata dell'Iraq".


Una mappa dell'Iraq con la divisione tra sunniti, sciiti e curdi

Basteranno mille morti nel solo mese di luglio per restituire all'Iraq una parte anche piccola della nostra attenzione? Dieci anni dopo l'intervento voluto da George Bush e diciotto mesi dopo il completo ritiro delle forze statunitensi, l'Iraq vive quella che per noi è una strage rimossa: nei primi sei mesi di quest'anno gli attentati e le sparatorie hanno fatto 4.137 morti civili e diecimila feriti.
Il fatto è che l'Iraq è diventato una pedina fondamentale nella lotta tra sciiti e sunniti che sconvolge quasi tutto il Mondo arabo. Gli americani, nel 2003, abbatterono il dittatore Saddam Hussein (della minoranza sunnita) e portarono al potere la maggioranza sciita facendo un grandissimo regalo all'Iran, sciita anch'esso. Ma il risultato, ora che gli iracheni sono rimasti soli, si vede: al nord il Kurdistan è di fatto indipendente con il suo petrolio, mentre nel resto del Paese i sunniti, sostenuti da Al Qaeda, non perdono occasione per colpire gli odiati sciiti e il loro autoritario primo ministro Al-Maliki. E così il sangue scorre a fiumi, mentre il mondo intero tiene gli occhi puntati sulla mattanza siriana o sui pericoli di guerra civile in Egitto. L'Iraq, del resto, non è estraneo a quanto avviene nella confinante Siria: una milizia di volontari sciiti combatte al fianco di Assad (e di Hezbollah), mentre i sunniti mandano aiuti e armi ai ribelli. Tra coloro che si sono dati la pena di seguire gli avvenimenti iracheni, esistono due scuole di pensiero. L'Iraq, dicono alcuni, sarà la Siria di domani quale che sia la sorte di Assad, perché l'Iran non potrà mai permettere una sconfitta degli sciiti a Bagdad e i sunniti continueranno a trovare appoggi nella gran parte del Mondo arabo. Altri preferiscono spostare l'obbiettivo: l'Iraq, per loro, è l'annuncio di quel che sarà l'Afghanistan un po' di mesi dopo il ritiro delle forze alleate alla fine del 2014. Chiunque abbia ragione, non possiamo più fingere di non vedere. E Barack Obama, pur avendo combattuto l'invasione di dieci anni fa e poi promosso il completo ritiro dall'Iraq, farebbe bene a trovare il tempo per consigliare una rotta meno suicida a Nouri Al-Maliki.

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