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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Il Foglio-IlSole24Ora Rassegna Stampa
19.07.2013 Kerry su e giù da Gerusalemme a Ramallah
Articoli di Rolla Scolari, Ugo Tramballi

Testata:Il Foglio-IlSole24Ora
Autore: Rolla Scolari-Ugo Tramballi
Titolo: «Kerry il superviaggiatore e Bibi sentono l'aria giusta per la pace- Pace in Medio Oriente, Kerry apri nuovi spiragli»

Due articoli, oggi, 19/07/2013, affrontano con taglio diverso i rapporti Usa-Israele-Anp. Il primo, di Rolla Scolari, sul FOGLIO, pur dando voce essenzialmente ai critici di Netanyahu, non manca di riferire la situazione nel suo insieme. L'altro, di Ugo Tramballi, sul SOLE24ORE , è la solita zuppa a base mistificazioni, paradossi, falsità. Eccone un piccolo florilegio:
1)
..gli israeliani pretendevano non ci fossero condizioni, imponendone invece più dei palestinesi: riconoscimento della "natura ebraica" dello stato d'Israele...
che condizione incredibile !
2) Da più di due anni la trattativa è congelata e prima che si fermasse, era comunque arrivata a un punto morto ma Tramballi si guarda bene dall'informare sulle ragioni, sulla presa in giro di Abu Mazen sui congelamenti
3)
... dando ai palestinesi altri territori meno fertili e senza acqua. ma se sono quelli i territori in cui la maggioranza è palestinese !
4)
Da parte palestinese c'è Hamas: la caduta dei Fratelli musulmani al Cairo richiude il movimento islamico nella sua gabbia di Gaza. Di solito l'isolamento li rende aggressivi. in tre righe risolve la questione Gaza ! e questo sarebbe l'esperto sul Medio Oriente del giornalone confindustriale!
Vale comunue la pena di leggerlo interamente, aiuta a capire perchè la disinformazione produce i disastri politici che conosciamo.
Ecco i due articoli:

Il Foglio: Rolla Scolari: " Kerry il superviaggiatore e Bibi sentono l'aria giusta per la pace"

 Tel Aviv. Benjamin Netanyahu ha telefonato domenica al rais palestinese Abu Mazen per fargli gli auguri all’inizio del mese del digiuno sacro dei musulmani, Ramadan. “Spero che avremo l’opportunità di parlare tra noi non soltanto in occasione delle festività e che inizieremo a negoziare”, ha detto, anticipando le ancora incerte notizie di queste ore sulla possibile ripresa di colloqui diretti tra israeliani e palestinesi.
Lo stesso giorno, il premier israeliano è comparso sugli schermi dell’emittente americana Cbs, a “Face the Nation”. Ha parlato poco di rapporti con i vicini palestinesi, tanto di minaccia nucleare iraniana, il tema che anima da sempre le sue battaglie politiche e che da anni prevale nel dibattito nazionale sulla questione palestinese.
Eppure, negli ultimi mesi, la robusta retorica del premier sull’Iran ha perso d’intensità, lasciando spazio al decennale conflitto. Le ricorrenti dichiarazioni di Netanyahu sulla necessità di tornare a trattare con i palestinesi raccontano, secondo alcuni, di una sua nuova tentazione politica, sostenuta da sforzi americani.
Il sesto viaggio nella regione di John Kerry è iniziato lunedì e questa volta ha fatto parlare. Ieri mattina il sito del quotidiano Haaretz scriveva che il segretario di stato americano potrebbe annunciare qualcosa di concreto già oggi.
Poi, hanno frenato tutti: il partito di Abu Mazen, Fatah, riunitosi ieri, vorrebbe apportare cambiamenti alla proposta. Il governo israeliano nega di aver approvato una formula di ripresa dei negoziati che faccia riferimento ai confini del 1967, come era stato indicato in precedenza da fonti anonime.
Con il ricorrere delle visite di Kerry, però, “Netanyahu improvvisamente usa toni nuovi e inconsueti”, ha scritto recentemente la rivista americana New Republic, aggiungendo che il primo ministro non soltanto parla dei palestinesi ogni volta che ne ha l’occasione, ma lo fa “usando termini radicalmente diversi dal solito, appropriandosi del punto di vista della sinistra, secondo la quale lo stato ebraico andrebbe incontro all’annientamento demografico se non firmasse la pace”.
Di fronte alle parole forti di alcuni suoi ministri, nelle ultime settimane il premier è stato obbligato a difendere “l’impegno del governo per una soluzione a due stati”.
Naftali Bennett, leader del partito di destra Focolare ebraico, vicino alle posizioni dei coloni, aveva detto per esempio a metà giugno che “l’idea di uno stato palestinese accanto a Israele è arrivata al capolinea”. In diverse occasioni, Netanyahu ha dichiarato che Israele sarebbe “pronto a negoziati diretti”.
A fine giugno, mentre Kerry continuava a fare avanti e indietro tra Ramallah e Gerusalemme, fonti interne al Likud hanno rivelato al quotidiano Haaretz che il primo ministro sarebbe pronto a ritirarsi dal 90 per cento della Cisgiordania. “L’immagine diffusa di Netanyahu è quella di un politico che non vuole la pace”, dice al Foglio Stephen Miller, consulente politico ed ex portavoce del sindaco di Gerusalemme, Nir Barakat.
Del premier si ricordano soprattutto i toni che usa sulla minaccia iraniana, gli acidi scambi di dichiarazioni con l’Amministrazione Obama sulle costruzioni israeliane nei Territori palestinesi e a Gerusalemme est.
Il dissenso interno al partito e la constatazione che il suo corso politico si avvicina al termine rappresenterebbero però per Netanyahu una spinta a cercare di lasciare un’eredità, sulla questione del nucleare iraniano ma non soltanto. “Negli ultimi mesi abbiamo assistito, per esempio con la nomina a capo del comitato centrale del Likud del viceministro della Difesa Danny Danon, non certo un uomo di Bibi, a un indebolimento del premier”, spiega Miller. “La fine politica di Netanyahu si avvicina. Essere il leader che fa un’offerta concreta ai palestinesi potrebbe aiutarlo ad riacquistare punti e a dare forma alla sua eredità”.

IlSole24Ore-Ugo Tramballi: " Pace in Medio Oriente, Kerry apri nuovi spiragli"

Non sono molti nel mondo gli obiettivi che l'amministrazione Obama può sperare di raggiungere entro la fine del suo tempo, per guadagnare meriti internazionali. Il deludente bilancio in quasi cinque anni di presidenza potrebbe diventare eroico se conquistasse il Santo Graal: la pace o quanto meno un compromesso definitivo fra Israele e Palestina, sul quale hanno seriamente lavorato, fallendo, almeno cinque predecessori di Barack Obama. È l'impresa che sta ora cercando di compiere John Kerry, il segretario di Stato al quarto viaggio in due mesi nella regione. I suoi predecessori che hanno consumato ore di volo, energie e pazienza sul più antico dei conflitti della Storia contemporanea, sono almeno otto. Da più di due anni la trattativa è congelata e prima che si fermasse, era comunque arrivata a un punto morto. Numeri e caduti che consiglierebbero la stessa cautela di Hillary Clinton: dopo aver tastato il terreno, trovandolo ostile, aveva rinunciato al tentativo, cercando un successo scontato in Birmania. Circondato da un entusiasmo pari allo zero nella sua stessa amministrazione, Kerry sta ottenendo risultati miracolosi. La ripresa del negoziato sembra ormai essere questione di giorni. Forse anche oggi. Israeliani e palestinesi erano finiti nelle paludi diplomatiche che loro stessi avevano creato, cercando d'imporre condizioni su condizioni. I palestinesi pretendevano che gli israeliani congelassero la costruzione in ogni insediamento nei Territori occupati; gli israeliani pretendevano non ci fossero condizioni, imponendone invece più dei palestinesi: riconoscimento della "natura ebraica" dello stato d'Israele, no al congelamento delle colonie, no alle vecchie frontiere del 1967 come base del negoziato territoriale. Questa pioggia di no dell'una e dell'altra parte, rimane. Ma da precondizione, diventano parte del negoziato. Sembra ovvio ma in questa storia anche la banalità richiede tempo e diplomazia. Il compromesso che ha costruito Kerry è geniale appunto perché banale: nel senso che prende atto dei no e contemporaneamen-te li ignora. Israele non intende partire dai confini del '67, non vuole congelare gli insediamenti né liberare i prigionieri politici palestinesi nelle sue prigioni e ancor meno rinunciare all'ebraicità del suo Stato. I palestinesi affermano l'esatto contrario su tutto. Ma gli uni e gli altri saranno attorno al tavolo a discuterne. Se le cose andranno bene, finiranno così: la base della trattativa territoriale saranno le frontiere del '67 ma Israele annetterà i tre grandi blocchi di insediamenti (l'8o% delle colonie e dei coloni), dando ai palestinesi altri territori meno fertili e senza acqua. I palestinesi riconosceranno la peculiarità ebraica di Israele: si dovranno trovare parole e definizioni perché questo non comprometta i diritti del 20% non ebreo della popolazione israeliana. I prigionieri palestinesi saranno liberati, ma non tutti. La trattativa è molto più ampia e complessa: riguarda anche Gerusalemme, la valle del Giordano, l'acqua, la sicurezza di Israele, l'economia e la funzionalità di uno Stato palestinese. Ma la trattativa doveva riprendere: era diventata necessaria per Bibi Netanyahu e per Abu Mazen, mentre attorno a loro e all'America, esplode il Medio Oriente. Come è stato in fondo facile farlo riprendere, fingendo che dei no siano dei sì, sarà facilissimo bloccarla di nuovo. Da parte palestinese c'è Hamas: la caduta dei Fratelli musulmani al Cairo richiude il movimento islamico nella sua gabbia di Gaza. Di solito l'isolamento li rende aggressivi. Come tutti i premier d'Israele, gli oppositori a un Stato palestinese Bibi Netanyahu li ha al governo con lui: le destre nazional-religiose e il Likud, il suo stesso partito, passato sotto il controllo degli estremisti. Richiamati i rissosi nemici al negoziato, il Santo Graal che Kerry vuole raggiungere resta sempre molto lontano.

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