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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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La Stampa - Corriere della Sera Rassegna Stampa
09.07.2013 Egitto, ancora scontri fra esercito e Fratelli Musulmani. Cronaca e interviste
di Francesca Paci, Paolo Valentino, Cecilia Zecchinelli

Testata:La Stampa - Corriere della Sera
Autore: Francesca Paci - Paolo Valentino - Cecilia Zecchinelli
Titolo: «Egitto, l’esercito spara al sit-in. Strage di Fratelli musulmani - Gli islamici cercano la guerra. Un governo con loro? Mai - La Casa Bianca fissi una scadenza e detti le condizioni. O stop agli aiuti»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 09/07/2013, a pag. 15, l'articolo di Francesca Paci dal titolo " Egitto, l’esercito spara al sit-in. Strage di Fratelli musulmani"  e la sua intervista ad Hamdeen Sabahi dal titolo " Gli islamici cercano la guerra. Un governo con loro? Mai ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 6, l'intervista di Paolo Valentino a Fareed Zakaria dal titolo " La Casa Bianca fissi una scadenza e detti le condizioni. O stop agli aiuti  " preceduta dal nostro commento, l'intervista di Cecilia Zecchinelli a Shamira Amin dal titolo " Da ultra laica e femminista tendo una mano ai musulmani ", preceduta dal nostro commento.
Ecco i pezzi:

La STAMPA - Francesca Paci : " Egitto, l’esercito spara al sit-in. Strage di Fratelli musulmani "


Francesca Paci        Sostenitori di Morsi

«Visto come ci ammazzano? Se torniamo a casa finiamo tutti in prigione, tanto vale restare qui e morire liberi». Mentre l’esercito egiziano intima ai sostenitori del presidente deposto Morsi di abbandonare il presidio di Nasr City occupato da dieci giorni, il ragioniere Emad Salem, gilet catarifrangente e cartellino con la scritta «legittimità» al collo, fa la spola con gli infermieri che nella piazza irriducibile di Rabaa al Adawiya portano bende e medicamenti per i «sopravvissuti» agli scontri alla Guardia Repubblicana in cui hanno perso la vita almeno 51 persone, tra cui un soldato, e centinaia sono rimaste ferite.

La giornata che avrebbe dovuto vedere il giuramento del nuovo premier, l’avvocato socialdemocratico Ziad Bahaa el Din, si chiude come una delle più nere di questa crisi egiziana, con i salafiti che abbandonano i negoziati per il governo in protesta contro la strage, la guerra mediatica dei video in cui militari e islamisti si attribuiscono vicendevolmente l’inizio delle ostilità, l’ultimatum delle forze armate ai Fratelli Musulmani «invitati» a richiamare i propri militanti e le piazze avversarie mai tanto polarizzate.

«Nessuna paura, moriremo per la dignità e la religione» afferma l’ingegnere 52enne Sayed Shata giurando di essere a Rabaa al Adawiya per le tre figlie. La presenza femminile è diminuita rispetto ai giorni precedenti, la tensione è cresciuta come i muretti a protezione della piazza e, per quanto i generali promettano che non ricorreranno a«misure legali» contro i dimostranti, la sensazione di essere isolati estremizza ancor di più i sostenitori di Morsi. «Ho ricevuto una telefonata in cui una voce diceva che ci uccideranno tutti» racconta il 26enne giornalista della Rnn News tv ridottasi a trasmettere ormai solo su YouTube. Preferisce restare anonimo perché si occupa del servizio d’ordine, risponde alla radio, indossa il casco e corre via.

In piazza Tahrir l’umore è opposto. I carri armati che dal mattino si aggirano tra il ponte Qasr el Nile e il museo Egizio come nel 2011, ricordano quale parte degli egiziani debba sentirsi protetta. Nessuno qui mette in dubbio la versione dell’esercito che ripete di essere stato attaccato con armi pesanti. E pazienza se il portavoce dei Fratelli Musulmani Ghead el Haddad insista che le immagini con le persone armate di pistola mostrate dai militari siano quelle di vecchi incidenti ad Abbasya. E pazienza se il leader dell’opposizione el Baradei e il Fronte di Salvezza Nazionale condannino la violenza. Mohammed Khamis, attivista di Tamarod, sintetizza un sentimento condiviso tra gli avversari di Morsi: «Nessuna pietà con i Fratelli Musulmani, se non la facciamo finita adesso con loro dovremo poi fronteggiare il terrorismo. L’Egitto non rischia la guerra civile come in Siria, perché l’esercito è popolare e non settario, ma potrebbe iniziare una stagione di attentati».

Cala la notte ed è impossibile immaginare l’alba. Le ultime notizie parlano di un nuovo ipotetico candidato premier, l’ex ministro delle finanze Samir Radwan, ma gli egiziani discutono della possibilità del coprifuoco, uno vero, almeno per gli islamisti.

La STAMPA - Francesca Paci : " Gli islamici cercano la guerra. Un governo con loro? Mai "


Hamdeen Sabahi

Hamdeen Sabahi segue dal 19esimo piano del Marriot le notizie delle piazze rivali sempre più infuocate. Camicia azzurra, jeans, sigaretta incollata alla mano, il navigato politico nasseriano alla guida del Fronte di Salvezza Nazionale con Amr Moussa e Mohammed el Baradei, è il candidato che, se un anno fa l’opposizione avesse votato compatta, sarebbe diventato presidente al primo turno evitando il ballottaggio Morsi-Shafiq e le sue drammatiche conseguenze.

Si è addormentato convinto d’avere un premier e ha aperto gli occhi sui morti alla Guardia Repubblicana: cosa è successo?

«Devo controllare le emozioni perché il sangue versato appartiene a tutti gli egiziani. Ma da un punto di vista politico, chi si avvantaggia di questi morti? Quanto accaduto non serve alla rivoluzione né all’esercito ma solo ai Fratelli Musulmani, che così possono sabotare la transizione. Auspico un’indagine rapida che chiarisca se davvero i militari sono stati attaccati. Le nostre truppe hanno il dovere di difendere quell’edificio».

Il risultato politico, per ora, è lo sfilarsi dei salafiti dai negoziati per il governo. Come procederete?

«I salafiti restano importanti, per questo sebbene avessero boicottato il nostro candidato premier el Baradei abbiamo cercato un compromesso proponendo il nome qualificato di Ziad el Din. Domenica ci hanno dato la loro parola e poche ore dopo se la sono rimangiata. Spero che ci ripensino ma noi a questo punto andiamo avanti. È stato difficile far accettare ai giovani rivoluzionari un veto da parte di persone che non avevano partecipato né alla prima né alla seconda rivoluzione egiziana. Ho spiegato che non potevamo rinviare ancora il governo, adesso però basta: prepareremo le nuove elezioni anche senza i salafiti. Gli teniamo una sedia vuota in caso ci ripensassero».

Terrete una sedia anche per i Fratelli Musulmani?

«Per ora è impossibile. I Fratelli non sono psicologicamente e politicamente pronti. Quando cambieranno sarà diverso. Al momento sono una minaccia per il paese, temo soprattutto la vendetta che potrebbe arrivare dal Sinai».

Che cambiamento occorre?

«In futuro voglio includere i Fratelli Musulmani, tranne coloro che hanno fatto ricorso alla violenza o l’hanno incitata. Hanno preso una batosta politica perché non sono stati sconfitti da un partito bensì dal popolo egiziano. Quando ammetteranno che la gente aveva il diritto di cacciare Morsi come Morsi aveva cacciato Mubarak saranno benvenuti».

Morsi era stato democraticamente eletto, per questo si parla di golpe. Non è d’accordo?

«Non è un golpe ma una rivoluzione popolare, il seguito del 2011. Morsi ha avuto il trattamento di Mubarak ma non è un golpe perché a prendere l’iniziativa sono stati milioni di egiziani e non i militari».

È stato giusto chiudere le tv vicine agli islamisti, tra cui al Jazeera?

«È una misura eccezionale e temporanea. Chiedo che questi canali tornino a trasmettere ma anche che accettino un codice etico: basta diffondere odio utilizzando Dio e invitare alla violenza e alla discriminazione religiosa, musulmani contro musulmani, musulmani contro copti».

Non teme che i Fratelli recuperino terreno giocando alle vittime?

«Ho simpatia per loro, dopo 80 anni di lavoro dietro le quinte hanno perso in un solo anno il potere così duramente conquistato. Ma il ruolo di vittime in cui sono maestri non gli servirà più perché gli egiziani hanno scoperto che sono pessimi governanti. Tra un po’ poi sarà chiaro che i leader dei Fratelli non sono solo egoisti ma che, come provato venerdì notte, non si fanno scrupolo di versare il sangue degli egiziani».

In piazza oggi ci sono anche nostalgici del vecchio regime. Vi imbarazza?

«Durante la prima rivoluzione siamo stati raggiunti tardivamente dai Fratelli Musulmani, adesso dagli ex del regime. Per entrambi vale lo stesso discorso: ce l’abbiamo con i leader, le persone sono egiziani come noi. Non rispolvereremo Mubarak».

Dopo averlo accusato di abuso di potere nel 2012, vi fidate dell’esercito?

«Si, ha imparato la lezione. I militari oggi stanno col popolo e non usurperanno il controllo del Paese come lo Scaf».

L’Egitto passerà dalle braccia americane a quelle russe?

«Non abbiamo bisogno di muoverci da un polo all’altro, dobbiamo pensare a noi e tenere buone relazioni con entrambi. Però è un bene essere più liberi. Rispettiamo i cittadini americani, ma l’amministrazione ha sostenuto Morsi. Spero che in futuro, dopo la costituzione e le elezioni, faremo ricredere chi ci chiama golpisti».

Come conciliare l’agenda liberal con quella salafita?

«Abbiamo bisogno di uno stato democratico ma non possiamo creare un muro tra la politica e la religione che è parte della vita nazionale. Il secolarismo non fa per noi: non dobbiamo mettere la religione da parte né farne un’arma in politica. Come rispettare la religione in uno stato democratico? Creeremo un nostro modello giacché neppure quello turco funziona, ma non possiamo continuare a far parlare chi giustifica la violenza con la religione».

L’opposizione unita dietro Shabahi avrebbe il suo presidente già da un anno. Che errori avete fatto?

«Ormai sappiamo che un candidato rivoluzionario unitario vince. La lezione è chiara. Io sono pronto a presentarmi a patto di essere sostenuto da tutti. Altrimenti appoggerò chiunque abbia il consenso collettivo».

CORRIERE della SERA - Paolo Valentino : "  La Casa Bianca fissi una scadenza e detti le condizioni. O stop agli aiuti "


Fareed Zakaria

Zakaria ammette che quello dei Fratelli Musulmani non era un governo democraticamente. Sostiene anche che la rimozione di Morsi sia servita a ridare una sorta di verginità politica ai Fratelli Musulmani. Non esplicita, però, che cosa avrebbero dovuto fare gli egiziani per liberarsi della teocrazia islamica. Aspettare la presunta fine del mandato di Morsi e, nel frattempo, assistere impotenti alla distruzione completa delll'Egitto e alla sua definitiva trasformazione in teocrazia?

NEW YORK — «Le violenze e le repressioni di queste ore dimostrano che chi ha il potere in Egitto non è interessato a restaurare libertà e democrazia, non più di quanto lo fosse Mohammad Morsi. Anzi, più continua l’ondata di arresti, violenza e misure contro i media, più si ha l’impressione che il vecchio complesso militare di Mubarak risorga sulle ceneri della democrazia».

Nel 1996, Fareed Zakaria scrisse un saggio su Foreign Affairs nel quale descrisse il Medio Oriente come perennemente in oscillazione tra i due estremi di regimi dittatoriali repressivi e «democrazie illiberali». La nuova crisi egiziana suona ennesima conferma della sua analisi. Nato in India, cresciuto negli Stati Uniti, educato ad Harvard, Zakaria è uno dei maggiori esperti di politica internazionale nell’epoca della globalizzazione. Le sue acute intuizioni sul secolo post-americano e sulle nuove realtà geo-strategiche ne hanno fatto uno degli analisti più ascoltati dal Presidente Barack Obama.

Considera un errore il golpe militare con cui Morsi è stato rimosso?

«E’ stato un gravissimo errore. Il governo deposto era stato eletto in libere consultazioni, ma stava sicuramente abusando diritti individuali e libertà democratiche. Il regime di Morsi si stava rivelando come un esempio da manuale di “democrazia illiberale”. Ma il problema è che quando un governo, pessimo ma democraticamente eletto, viene rimosso con mezzi antidemocratici, si creano le premesse per la sua martirizzazione, gli si restituisce una sorta di verginità politica. Morsi e i Fratelli musulmani erano oramai screditati, drammaticamente in calo di consensi. Gli egiziani erano frustrati anche dalla crescente povertà, dall’alta disoccupazione, dalla criminalità dilagante. La fratellanza avrebbe molto probabilmente perso alle prossime elezioni. Era quella la strada da seguire».

Ma si è parlato di un colpo all’Islam politico…

«Al contrario, il putsch e il successivo atteggiamento dei militari gli hanno ridato energia, lo hanno in parte rigenerato, regalandogli una narrativa, e ora anche dei martiri, su cui ricostruire una futura offensiva politica. La Fratellanza è sopravvissuta a 60 anni di persecuzioni e totale clandestinità. Figuriamoci se basta questo a liquidarla. Senza contare che anche gli estremisti salafiti, con la loro abile ambiguità, stanno già cercando di raccogliere vantaggi politici dall’attuale situazione».

Gli Stati Uniti hanno responsabilità per quanto è successo?

«L’Amministrazione si è mossa su un terreno difficilissimo. In un certo senso, qualunque cosa fa viene criticata. Ancora fino all’anno scorso l’America è stata accusata di appoggiare i militari. Poi è stata criticata perché troppo vicina a Morsi. Ma i Fratelli musulmani sono convinti che il golpe è stato una manovra americana. Forse non abbiamo dato una vera mano al Paese nei due anni seguiti alla caduta di Mubarak. Forse dovevamo ingaggiare un dialogo più fitto con il regime di Morsi, offrendo più aiuti in cambio di riforme».

Quali responsabilità incombono ora sugli Usa e sull’Europa di fronte a quanto accade in Egitto? Che fare per aiutare la stabilizzazione del Paese e promuovere la democrazia?

«Occorre uno sforzo coordinato. Non si possono sospendere subito gli aiuti, parliamo di 1,5 miliardi di dollari l’anno, perché significherebbe far sprofondare ulteriormente nel caos un Paese già in bancarotta. Ma Washington dovrebbe annunciare una scadenza, diciamo due mesi, che serviranno a chiarire in che direzione intendono muoversi gli attuali dirigenti. Dovremmo esigere specificamente tre cose: uno, la fine di ogni violenza o misura repressiva contro i Fratelli musulmani o qualsiasi altro gruppo di opposizione e la cessazione di ogni tipo di restrizione verso i media. Due, la formazione di una commissione incaricata di redigere una nuova Costituzione, dove siano rappresentate tutte le componenti politiche e sociali. E infine la convocazione di nuove elezioni, parlamentari e presidenziali, aperte a tutti, inclusi ovviamente i Fratelli musulmani. Se queste condizioni non fossero soddisfatte entro il tempo indicato, allora dovremmo sospendere gli aiuti ed eventualmente varare anche delle sanzioni, perché non vedrei altre opzioni possibili».

CORRIERE della SERA - Cecilia Zecchinelli : " Da ultra laica e femminista tendo una mano ai musulmani "


Shahira Amin

La titolazione non rispecchia totalmente quello che sostiene Shamira Amin, la quale ritiene che i laici abbiamo commesso degli errori in passato (isolamento, divisioni interne, rifiuto di collaborare con il governo dei Fratelli Musulmani) e che la scelta di allearsi oggi con l'esercito non sia buona.
Come Zakaria, nemmeno Amin specifica quale sarebbe stata la via politica migliore per evitare la dittatura islamica dei Fratelli Musulmani.

IL CAIRO — «Hanno scoperchiato il vaso di Pandora e siamo solo all’inizio. Se le forze che ora hanno in mano l’Egitto non si fermano, prevedo un disastro con violenze come quella di ieri, polarizzazione totale, per anni uno stato di polizia. E nella regione un rafforzamento dei qaedisti che lanceranno la jihad, ci sono segnali già nel Sinai». Shahira Amin non ha mai sostenuto i Fratelli musulmani. «Né mai li ho votati. Sono laica, femminista, ma dico quello che penso anche se ora mi minacciano, mi danno della terrorista islamica, assurdo», dice la celebre giornalista. Nel 2011, prima che cadesse Mubarak, da vicedirettore del canale di Stato in inglese Nile Tv divenne un simbolo della Rivoluzione licenziandosi in tronco perché le avevano proibito di dare notizia dei morti a Tahrir. Oggi, opinionista specie per i media stranieri (per anni ha avuto uno show su Cnn ), si trova isolata.

Chi sono le forze dietro a questo golpe, se è un golpe?

«Lo è ma particolare. È una ribellione di popolo guidata dallo “Stato profondo”, le forze di sicurezza, il vecchio regime leale a Mubarak, i suoi media, i giudici. Dal giorno in cui Morsi ha vinto, lo “Stato profondo” si è mosso. L’esercito è stato a vedere, poi si è schierato per interesse. L’opposizione laica aveva moltissime ragioni per contrastare Morsi ma ha sbagliato ad allearsi con loro. I giovani anche».

Eppure Tamarrod per molti è la nuova rivoluzione.

«Sono sbucati dal nulla con la buona idea della raccolta di firme anti Morsi, ma forse avevano qualcuno dietro. Molti altri giovani li hanno seguiti ma si sono fatti usare e ora rifiutano il termine golpe. Vogliono sentirsi loro i protagonisti e chiamano eroi i generali che odiavano».

Hanno un ruolo i media in questo?

«Certo, quelli di Stato ora danno solo notizie favorevoli ai nemici di Morsi. La chiusura di tutte le tv dei Fratelli ci riporta all’era Mubarak quando la critica era soppressa».

Morsi voleva islamizzare tutto...

«I liberal hanno rifiutato cariche e collaborazione, boicottato le elezioni, aumentando l’isolamento della Fratellanza anche quando ha cercato di contenere i salafiti suoi alleati. Morsi ha perso la fiducia di questi ultimi che chiedevano la sharia rispondendo che la sua sharia era la legittimità. Ripeto, Morsi ha fatto molti errori, ma c’è stata moltissima disinformazione contro di lui».

Che può fare l’opposizione laica?

«Non commettere l’errore imputato a Morsi: non isolarsi. E stare attenta ai militari: sono uno Stato nello Stato, hanno il comando e vogliono mantenerlo. L’unica consolazione è che la gente, i giovani torneranno in piazza contro di loro se tra qualche mese non se ne andranno. Ma è una consolazione magra».

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