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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - La Stampa - La Repubblica Rassegna Stampa
05.07.2013 Egitto: Morsi agli arresti. Il presidente provvisorio Adly Mansour in carica fino alle elezioni
cronache e commenti di Cecilia Zecchinelli, Francesca Paci, Francesco Semprini, Eugenio Occorsio

Testata:Corriere della Sera - La Stampa - La Repubblica
Autore: Cecilia Zecchinelli - Francesca Paci - Francesco Semprini - Eugenio Occorsio
Titolo: «Morsi e i 'suoi' agli arresti. Il pugno dell’esercito sui Fratelli musulmani - Dall’Ena ai sauditi. Un tecnocrate islamico al timone del Paese - Manca la carne e i treni non passano. La rabbia è sul web - L'Egitto ha sei mesi di vita. La previsione shock»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 05/07/2013, a pag. 2, l'articolo di Cecilia Zecchinelli dal titolo " Morsi e i «suoi» agli arresti. Il pugno dell’esercito sui Fratelli musulmani ". Dalla STAMPA, a pag. 11, l'articolo di Francesca Paci dal titolo " Dall’Ena ai sauditi. Un tecnocrate islamico al timone del Paese ", a pag.14, l'articolo di Francesco Semprini dal titolo " Manca la carne e i treni non passano. La rabbia è sul web ".Da REPUBBLICA, a pag. 17, l'articolo di Eugenio Occorsio dal titolo " L'Egitto ha sei mesi di vita. La previsione shock di Merrill Lynch ".
Ecco i pezzi:

CORRIERE della SERA - Cecilia Zecchinelli : " Morsi e i «suoi» agli arresti. Il pugno dell’esercito sui Fratelli musulmani "

IL CAIRO — La parola d’ordine è ora non perdere tempo: accelerare la transizione per dimostrare al popolo e al mondo che quello di mercoledì non è stato un golpe, garantire la sicurezza per evitare reazioni della Fratellanza sconfitta e umiliata che per oggi promette un venerdì di proteste, portare finalmente il Paese sulla via della normalità. All’indomani della plateale deposizione del raìs Mohammed Morsi da parte del capo dei generali Ahmad Fatteh Al Sisi sostenuto dall’opposizione e dai leader religiosi, a soli cinque giorni dall’esplodere della Ribellione con milioni di persone che urlavano «vattene» al presidente, l’Egitto sembra essersi risvegliato dal caldo e dalla tradizionale lentezza, la strategia nazionale del «bukra inshallah», domani se Dio lo vorrà, pare svanita di colpo.

Già la destituzione di Morsi era avvenuta in tempi record. Ieri il nuovo presidente ha giurato. Il rispettato capo dell’Alta corte Adly Mansour ha salutato i giovani che hanno «corretto il cammino delle gloriosa rivoluzione del 25 gennaio 2011», promettendo la «riconciliazione tra le forze politiche» compresa la Fratellanza se lo vorrà, anche se ne è già noto il rifiuto. Parole che in parte hanno riecheggiato quelle sentite dal fronte anti-Morsi, così come il nuovo raìs è un’emanazione di quelle forze e rimarrà in carica solo fino alle elezioni. A breve è atteso un suo proclama con dettagli e forse date della roadmap di transizione, dopo i passi già compiuti nelle ultime ore: la sospensione della Costituzione della Fratellanza e lo scioglimento del Senato, l’unica camera finora funzionante. Riunioni serrate intanto si sono tenute per formare un governo ad interim, alcuni ministri sarebbero stati decisi ma sul premier non c’è ancora accordo. Mohammad ElBaradei avrebbe respinto l’incarico, anche per l’opposizione dei salafiti di Nur unitisi al fronte anti-Morsi. I nomi che circolano ora sono di tecnici puri.

Dopo i blitz della notte precedente — tra cui l’oscuramento delle tv della Fratellanza o a lei vicine tra cui il canale egiziano di Al Jazeera — il cerchio ha continuato a stringersi velocemente intorno al movimento e al partito che per un anno hanno guidato l’Egitto. Morsi è stato trasferito al ministero della Difesa, agli arresti e senza possibilità di comunicare (solo un video ripreso da un cellulare l’ha mostrato rivendicare «sono io il presidente legittimo»). Nella prigione di Tora, la stessa dove si trova Mubarak, sono stati incarcerati Saad El Katatni, capo del braccio politico della Confraternita, Giustizia e Libertà, e altri leader. Soprattutto, la guida spirituale Mohammad Badie, forse il più odiato dalla piazza, è stato arrestato vicino al confine libico. Ricercato è invece il vero uomo forte dei Fratelli, Khayrat Al Shatir, che controlla tra l’altro le enormi finanze del movimento. Ai Fratelli furiosi e indeboliti sono rimasti alcun presidi al Cairo e altre città, accerchiati dai militari. E la speranza che oggi il «Venerdì del rifiuto» indetto contro il golpe di Al Sisi e alleati porti in piazza le folle su cui la Fratellanza ha finora contato. Ma dal canale di Suez al Delta, dall’Alto Egitto alle aree intorno alla capitale, l’esercito in poche ore ha dispiegato uomini e mezzi, bloccando le strade principali, molti ponti, pronto a tutto. Con la leadership agli arresti o in fuga, si temono nuove violenze e morti della base, dopo i quasi 50 registrati negli ultimi giorni. «E’ un golpe che non accettiamo, ma non prenderemo le armi», ha dichiarato ieri mattina Mohammad El Beltagy, uno dei pochi capi della Fratellanza rimasto in circolazione. Ma non tutti gli credono: due giorni fa era stato lui a chiamare «al martirio in difesa della legittimità».

Un allarme sensibile è stato espresso dalla comunità internazionale, per quanto divisa nel valutare gli eventi. America, Gran Bretagna e l’Onu hanno espresso preoccupazione e chiesto il più rapido ritorno a un governo civile. Paesi come la Tunisia e la Turchia hanno condannato la deposizione di Morsi esplicitamente. I Paesi del Golfo, a partire dall’Arabia Saudita, hanno invece salutato la fine dell’era Morsi, insieme alla Siria contro cui l’ex raìs aveva chiamato perfino alla jihad.

Eppure tutto questo alla maggioranza degli egiziani sembrava ieri secondario: preoccupati sì, ma soprattutto felici e con voglia di festa. Mentre i mercati finanziari e la valuta schizzavano in alto, la gente ha iniziato a riempire Tahrir, con i soliti fuochi d’artificio e i canti patriottici. Molti negozi hanno riaperto, le auto e i clacson sono ricomparsi in strada. Perfino il sit-in degli artisti contro la censura islamica al ministero della Cultura dopo 28 giorni si è disciolto. La gente si incontra e si abbraccia, dice «è finita». E saluta gli stormi di aerei militari, alcuni con fumate tricolori rosso bianco e nero, che a più riprese sono passati sulla capitale. Non solo quelli però: anche elicotteri da guerra Apache si sono fatti vedere. Un segnale chiaro e forte dai generali che qui non è ancora davvero finita.

La STAMPA - Francesca Paci : " Dall’Ena ai sauditi. Un tecnocrate islamico al timone del Paese "


Adly Mansour
 

Adly Mansour « adesso dobbiamo memorizzare questo nome» scherza l’attivista 24enne Ashraf Temerak girovagando in una Tahrir sfiancata dall’infinito requiem notturno per i Fratelli Musulmani ma irriducibile al ritorno alla normalità. Il nuovo presidente egiziano, subentrato in via transitoria al deposto Mohammed Morsi, è effettivamente pressoché ignoto alla piazza che pure ha già aggiunto la foto del generale Al Sissi ai santini dell’olimpo rivoluzionario, Nasser, Sadat, i giovani «martiri» degli ultimi due anni e mezzo di lotta anti-sistema.

Chi è dunque l’uomo che ieri ha giurato di voler usare il tempo a sua disposizione prima delle elezioni per annullare le distinzioni politiche e religiose di un paese mai stato tanto diviso?

La biografia, unico dato noto e verificabile, non aiuta granché a immaginare la transizione prossima ventura. Classe 1945, laureatosi in legge nel 1967 all’università del Cairo e specializzatosi in seguito alla prestigiosa École nationale d’administration in Francia, il magistrato del momento è uno dei membri più anziani della Corte Costituzionale dove, ironia della sorte, fu ammesso nel 1992 dall’ex Farone Mubarak per esserne promosso al vertice dal successore solo poche settimane fa. Quando è stato incaricato dal ministro della difesa Al Sissi, Adly Mansour, sposato con tre figli, s’era insediato da appena due giorni con i complimenti dell’allora intoccabile Mohammed Morsi.

Per capire il terremoto delle ultime ore basta osservare i blindati che presidiano adesso la sede del partito Libertà e Giustizia, braccio politico dei Fratelli Musulmani, e che fino a pochi mesi fa stazionavano davanti alla Corte Costituzionale assediata dai militanti islamisti furiosi per la decisione dei giudici di sciogliere il Parlamento. Oggi l’imponente edificio bianco sede del supremo tribunale del Cairo non ha bisogno di protezione, i magistrati, protagonisti di un estenuante braccio di ferro con i Fratelli Musulmani che li accusavano di essere residui del vecchio regime, sono l’icona della battaglia vinta dal popolo egiziano.

«Mansour è un uomo schivo più che misterioso, calmo, equilibrato e poco amante della ribalta» racconta il giudice Hamid al Jamal del collega che ha trascorso gli ultimi dieci anni mantenendosi sullo sfondo. Qualsiasi argomento possano usare i suoi detrattori, che lo ritengono una marionetta nelle mani dell’esercito, o sui sostenitori, per i quali è un professionista indipendente, il nuovo presidente è il magistrato che ha aiutato a scrivere le regole del voto da cui sarebbe uscito trionfante Morsi ma è anche colui che cancellando la norma dell’«isolamento politico» permise all’ex sodale di Mubarak Ahmed Shafik di candidarsi alle medesime elezioni presidenziali.

«È un professionista qualificato e soprattutto è il risultato della scelta popolare anziché del fantomatico golpe di cui il mondo si diverte a discutere» osserva Mahmoud el Hetta, uno degli organizzatori di Tamarod. Nel suo curriculum Adly Mansour vanta anche un’esperienza nella corte religiosa di Stato e 12 anni trascorsi a Riad come consulente legale del ministero del Commercio saudita. Un profilo a 360 gradi che gli consente di tendere la mano ai rivoluzionari, ad al Ahzar, il Vaticano sunnita, alla comunità copta e perfino ai Fratelli Musulmani che ha dichiarato di non voler affatto escludere.

Sarà sufficiente a tratteggiare la bozza della nuova Costituzione? I militari ci contano.

«Adly Mansour è proprio quello di cui ha bisogno l’esercito, un tecnocrate rispettato ma di basso profilo» nota David Hartwell, analista mediorientale al Jane’s Islamic Affairs. Il fatto che la piazza non lo conosca potrebbe rivelarsi un vantaggio, l’unico precedente egiziano di un presidente a termine durò appena 8 giorni prima di lasciare l’incarico, il 14 ottobre del 1981, a favore del successore Hosni Mubarak.

La STAMPA - Francesco Semprini : " Manca la carne e i treni non passano. La rabbia è sul web "

Non solo i cannoni dei carri armati, anche le cannoniere mediatiche del Web sono state protagoniste del colpo di mano che ha dato il via a quella che sembra la primavera di riparazione dell’Egitto. Così come accadde all’inizio del 2011, sulle piazze virtuali di Internet, è rimbalzato l’eco delle proteste e del malcontento accumulato in 370 giorni di governo del destituito presidente Mohamed Morsi, e di gestione monocromatica da parte della Fratellanza musulmana. Dalla crisi del turismo alle code per la benzina, dalla censura islamista allo sdegno per la nomina del «ministro molestatore», la rabbia del popolo ha preso forma dando un contributo di importanza strategica alla movimento anti-establishment.

Si parte dai generi di prima necessità, dalla mancanza di carne, in particolare bovina, che sta mettendo a dura prova la popolazione: «Le scorte di bestiame sono a zero, non accadeva dal 2009», è l’allarme lanciato sul sito panarabo Nuqudy da Yousef Madmouh, esperto (non allineato) del dipartimento dell’Agricoltura egiziano, secondo cui gli importatori hanno da mesi difficoltà serie ad acquistare capi all’estero. Il motivo «è nel deprezzamento del pound egiziano rispetto al dollaro, e la perdita di potere d’acquisto a causa delle condizioni economiche nazionali». Del resto la pessima situazione in cui versa il Paese, piegato dalla peggior crisi dagli anni Trenta, è tra le cause primarie del malcontento popolare, spiega il dailynewseypt.com, secondo cui il caro-case costa, in affitti, il 35% dello stipendio medio.

Lo stesso sito ricorda come a infliggere un altro colpo all’economia sia stata la decisione audace di Morsi di supertassare l’import di prodotti cosiddetti «non essenziali», nei quali ha fatto rientrare anche generi alimentari di largo consumo, come mele, noci e gamberetti. Le caratteristiche socio-economiche, come emergono su Internet, sono quelle di un Paese stremato: «Per fare benzina occorre stare in fila almeno due ore, ma talvolta si attende anche per cinque», grida sulla rete Saad Abdel Magid, un conducente di taxi del Cairo. Questo a causa di un crollo delle scorte «che è stato sempre puntualmente negato» dal ministro del petrolio e delle risorse, Sherif Hadarra.

Per non parlare dello sciopero delle ferrovie più lungo degli ultimi 30 anni, di cui web e social network sono stati testimoni solerti del disagio diffuso. E sul sito AllAfrica.com è rimbalzato l’allarme lanciato dal World Food Program, secondo cui il 17% dei 13,7 milioni di egiziani soffre la fame, rispetto al 14% del 2009: «Solo al Cairo gli affamati sono 3,5 milioni». C’è poi la protesta per la museruola imposta allo stesso Internet da Morsi e dai suoi ministri, come l’oscuramento per trenta giorni di YouTube, colpevole di essersi rifiutato di «sfrattare» dal sito di condivisione video «L’innocenza dei musulmani», il controverso filmato su «Maometto peccatore». Una censura amplificata dalle dimissioni in diretta del conduttore tv Gamal AlShaer, il cui video rilanciato senza tregua su Internet è divenuto la clip ufficiale del movimento di protesta digitale anti-Morsi. E’ la risposta senza mezzi termini al presidente destituito e alla sua oratoria anti-media di oltre tre ore in diretta tv, divenuta agli occhi del popolo Internet il simbolo del bavaglio informativo della Fratellanza musulmana che chiedeva rigore e morale. «Ma solo per esigenze di propaganda», tuonano sulla rete virtuale i portavoce di «Baheya Ya Misr», gruppo a sostegno dei diritti delle donne. Questa è la rivolta anti-Morsi del web, protagonista e ambasciatore allo stesso tempo della protesta, dalla sua genesi all’affermazione, visto che mercoledì notte anche il generale Abdel Fattah al-Sisi, leader delle Forze armate egiziane, ha affidato a Facebook il dispaccio più importante, quello della «missione compiuta».

La REPUBBLICA - Eugenio Occorsio : " L'Egitto ha sei mesi di vita. La previsione shock di Merrill Lynch "

SEI mesi. È la "vita residua" attribuita all'Egitto dalla Merrill Lynch, la più grande banca d'investimenti mondiale. Dopodiché «le posizioni esterne si irrigidiranno considerevolmente e la sostenibilità fiscale finirà sotto una severa pressione», recita l'algido linguaggio finanziario del report emesso ieri. In pratica, l'Egitto rischia di non avere più i soldi per pagare i debiti e i fornitori, interni ed esteri. Equesto soprattutto per l'inevitabile crisi turistica: gli afflussi sono diminuiti, comunica il ministero del Turismo, del 17,3% nel primo trimestredi quest'anno rispetto allo stesso periodo del 2012. Anno in cui gli arrivi erano tornati ad avvicinarsi ai 12 milioni (erano oltre 14 milioni nel 2010, crollati del 37% a 9 milioni nel 2011), e questo grazie al fatto che si era riusciti a tenere al riparo le località del Mar Rosso. Tanto che l'allora ministro Hisham Zaazou prometteva all'inizio dell'anno che si sarebbe tornati entro il 2013 alle quote del 2010. Ma il guaioèchelecntrate finanziarie sono crollate molto di più: da 46 miliardi di dollari nel 2010 a nonpiùdi 13 miliardinel2012, per via delle offerte sempre più scontate. Scivola così la quota sul Pd (559,8 miliardi nel 2012 per85 milioni di abitanti), ridotta ormai a un miserrimo4%. Tanto che Paolo Scaroni, il capo dell'Eni che è il più importante operatore occidentale nel Paese e che ha rimpatriato tutti gli italiani, ha commentato ieri: «Beh, di certo una rivoluzione non è il miglior magnete per attrarre i turisti». Tutto questo ovviamente potrebbe cambiare, anche rapidamente, in meglio se il nuovo governo Man- sour troverà come d'incanto coesione, pace edeterminazione per uscire dalla crisi. Ma la Merrill lynch non lascia spazi all'ottimismo: «Dubitiamo che credibili riforme finanziarie intervengano in questo periodo, e anche l'accordo con il Fondo Monetario è improbabile che sarà raggiunto». un accordo, questo, assolutamente fondamentale per il Paese: la pre-intesa da 14,5 miliardi di dollari in aiuti (dei quali 4,8 li dovrebbe coprire il Fmi direttamente e gli altri le banche con la garanzia del fondo) era stata raggiunta all'inizio dell'anno, e si aspettava per renderla operativa che venissero varate le riforme promesse da Morsi. E tutto congelato. «Già da qualche settimana il Fondo si era irrigidito sui sussidi alla benzina, che evidente-mentefiaccanolefinanze pubbliche e che Morsi non riusciva ad abolire», racconta Giulio Del Magro, capo economista della Sace, la società pubblica italiana per l'assicurazione all'export. «II Cairo peraltro- tieneaprecisare-èun discreto pagatore. Il l luglio ha saldato regolarmente con noi la tranche da 6,7 milioni di dollari di un vecchio debito con lo Stato italiano, parte di un pagamento complessivo da 600 milioni nei confronti di una serie di creditori occidentali. Cosi come in gennaio era stata pagatala precedente quota semestrale». Di fatto però tutti i dati economicidcll'Egittosonodabollettino di guerra (civile). Tranne uno: la Borsa del Cairo ha salutato l'insediamento del presidente ad interim con un'imprevista impennata di quasi l'8%, che l'ha riportata sui livelli di due anni Fa. Ma anche questacifrava letta in controluce: i volumi scambiati sono cosl esigui che basta una minima ventata speculativa a far balzare gli indici. Nella congerie di cifre allarmanti, quella che desta maggiore preoccupazione è però ancora un'altra: le riserve valutarie sono crollate, secondolabancacentra-le, da 36 miliardi di dollari (fine 2010) a 13,5. E questo malgrado il generoso aiuto che lo sceicco del Qatar (8 miliardi di dollari) garantiva a Morsi. Ora, cambiatolo scenario, sembra che il Cairo speri in qualche contributo dagli Emirati e dall'Arabia Saudita, ma il problema sono i tempi: le riserve servono asostenere il cospicuo debito estero e u n'al tra banca, la Flsbc, calcola che di qui a fine anno l'Egitto ha bisogno di 33 miliardi per i soli costi finanziari, compreso il rifinanziamento di precedenti aiuti ricevuti dall'Fmi. Intanto Moody's e S&P, e come pensare che si sarebbero lasciate scappare l'occasione, hanno acceso il faro rosso sul Cairo, già bersagliato di downgrading fino al livello di CCC+, a un passo dal minimo. E, per finire, l'Ocse ha peggiorato la sua categoria di rischio a 6/7.

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