Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 01/07/2013, a pag. 14, la lettera aperta di Fiamma Nirenstein a Enrico Letta dal titolo " Caro Letta, di' la verità a Netanyahu e Abu Mazen ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 15, l'intervista di Davide Frattini a Bibi Netanyahu dal titolo " Sarà un referendum a decidere sulla futura pace con i palestinesi ".
Ecco i pezzi:
Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein : " Caro Letta, di' la verità a Netanyahu e Abu Mazen "


Fiamma Nirenstein Enrico Letta
Il nostro Primo Ministro Enrico Letta, in visita in Medio Oriente e all' Autorità Palestinese, ha una grande chance: dire la verità. Dunque, ecco cosa dovrebbe dire Letta ai due leader Benjamin Netanyahu e Abu Mazen se volesse aiutarli. «Caro Abu Mazen, noi italiani siamo a favore dello Stato Palestinese, ve lo abbiamo dimostrato in tanti modi: E voi? È chiaro dal fatto che in questi anni vi siete tirati indietro ogni volta che era a portata di mano, almeno tre volte, che avete dei dubbi proprio su questa finalità. Perchè insistete sulle precondizioni per trattare? Volete concludere prima di cominciare? Se aveste come fine 'due Stati per due popoli', non cerchereste di negare che gli ebrei hanno qui la loro patria naturale, la loro storia. Perchè hai di nuovo ripetuto a un giornale saudita la formula del 'presunto tempio' di Gerusalemme? Vuoi di nuovo dire che gli ebrei qui non c'entrano niente? Nessun uomo di cultura può crederlo. Anche Flavio Giuseppe, Tacito... tanti altri lo raccontano, la Bibbia è una mappa della loro presenza. Lascia la triste manovra ora fatta anche al Consiglio d'Europa di cambiare nei documeni le parole 'due Stati per due popoli' in 'due Stati' e basta: se qui ci vogliono due Stati, è perchè ci sono due popoli, o ne vuoi eliminare uno? Ti consiglio di capire anche che gli ebrei sono un popolo, non una religione, guarda quanti laici in giro: chiama Israele 'Stato degli Ebrei', come l'Italia ' Stato degli Italiani' o lo Stato Palestinese 'Stato dei Palestinesi'. Metti fine alla cultura dell'odio nei libri di scuola o alla tv, se quei bambini cui insegnate che gli ebrei sono spregevoli e mostrate come eroi i terroristi domani dovessero essere la generazione della pace, come accetteranno una vita normale? Lascia il 'diritto al ritorno' quattro generazioni più tardi, Israele non può accettare un'immensa invasione di nipoti dei nipoti, pensa se gli indiani e i pakistani facessero lo stesso. Devi commensurare la richiesta di terra al buon senso: finché Hamas spara missili, non puoi chiedere confini a ridosso dell'aeroporto internazionale. Non far balenare il riconoscimento dell'Onu se non si ubbidisce alle vostre richieste: è un ricatto. Un po’ di buon senso, auguri».
E a Bibi: «Si dice sempre che la destra può condurre a compromessi impossibili per la sinistra. Begin fece la pace con Sadat. Tu vuoi passare alla storia come colui che consegna a Israele maggiore sicurezza, la Siria e l'Iran premono, qualche passo con i palestinesi sarebbe una rassicurazione. So che sei assediato dalla critica di quelli che pensano che Abu Mazen punti alla scomparsa di Israele. Ma lo sai: se dici, come hai detto 'sono per due Stati' subito lo spazio alla tua destra viene occupato. Non te ne curare, vai avanti, vedi se i palestinesi vengono al tavolo. Il rilascio dei prigionieri è molto importante per loro, è difficile ma l'hai fatto per Shalit, sai come affrontarlo. Gli insediamenti sono la grande precondizione: un blocco delle costruzioni pubbliche proclamato pubblicamente cambierebbe le cose. Se vuoi l'amicizia degli Usa, che a causa dell'Iran è importante, procedi. Hai ragione quando dici che non rischierai la vita dei tuoi cittadini: te lo dico perché so cos'è stata l'Intifada. Mi sono accorto che quando si spinge troppo verso un accordo le trattative diventano violenza.
Decelera, ma vai avanti. Come scrive Alessandro Manzoni in spagnolo, 'adelante con juicio'. Mi raccomando: insisti molto di più sull'insegnamento dell'odio, il mondo non ne sa niente. Quello, secondo me è il vero ostacolo. All'Onu, vi daremo una mano. Mi dispiace che l'ultima volta ci siamo tirati indietro, Monti era molto confuso sull'argomento, io no».
Chissà, forse glielo dice.
www.fiammanirenstein.com
CORRIERE della SERA - Davide Frattini : " Sarà un referendum a decidere sulla futura pace con i palestinesi "


Davide Frattini Bibi Netanyahu
GERUSALEMME — L’ultimo incontro è durato sette ore, fino alle quattro del mattino. Benjamin Netanyahu ha visto John Kerry tre volte da giovedì e ieri. Il segretario di Stato americano è rimbalzato tra gli israeliani e i palestinesi, Gerusalemme-Ramallah (e ritorno). Sta premendo perché ripartano i negoziati di pace fermi da tre anni, prima di andarsene annuncia «progressi», ammette: non c’è stata una svolta.
A tarda sera, dall’ufficio del primo ministro israeliano esce John McCain, il senatore americano repubblicano coinvolto nelle questioni mediorientali, ed entra l’assistente con il vassoio: panino alla carne da insaporire con la salsa di tabasco. Il Likud, il partito conservatore del premier, ha appena nominato i nuovi capi e si è spostato più a destra. Tra i favoriti — non di Netanyahu — c’è Danny Danon, viceministro della Difesa, contrario alla soluzione dei due Stati. Naftali Bennett, leader dei coloni e ministro dell’Economia, la pensa allo stesso modo: «Il progetto di fondare una nazione palestinese sulla nostra terra è fallito».
Con il nuovo mandato ottenuto alle elezioni di gennaio, Netanyahu è diventato il politico che ha totalizzato più anni sulla poltrona di premier dai tempi di David Ben-Gurion. Prova a rintuzzare le voci dissidenti nel governo che potrebbero disturbare le orecchie di Kerry: «Abbiamo un sistema parlamentare — risponde — è normale che visioni e opinioni diverse vengano espresse. Alla fine è il primo ministro che detta la linea in politica estera e se raggiungeremo un accordo di pace, lo sottoporrò a referendum popolare. Saranno gli israeliani a decidere su una questione di portata storica».
Un ministro del suo governo ha detto al quotidiano Haaretz: se verrà raggiunta un’intesa, Netanyahu è pronto al ritiro dal 90 per cento della Cisgiordania e a evacuare numerosi insediamenti.
«È l’opinione di quel ministro, non so neppure chi sia, nell’articolo era anonimo. In questo momento non siamo concentrati sulla fine dei negoziati ma sul loro inizio. La cosa più semplice da fare è rimuovere tutti gli ostacoli che impediscono la ripresa del dialogo. Gli sforzi di Kerry vanno sostenuti: se dovesse decidere di piantare una tenda a metà strada tra il mio ufficio a Gerusalemme e quello di Abu Mazen a Ramallah, ci entrerei immediatamente e ci resterei fino a quando non troviamo una soluzione al conflitto».
I palestinesi ripetono che prima di rilanciare le trattative il suo governo deve fermare le costruzioni nelle colonie in Cisgiordania. Proprio in questi giorni il ministero dell’Edilizia sta pianificando 930 nuove unità ad Har Homa, nella parte araba di Gerusalemme.
«Non abbiamo cambiato la nostra linea di condotta: crediamo che la questione degli insediamenti vada discussa assieme ad altre durante i negoziati. La gente si focalizza sugli insediamenti per le ragioni sbagliate, non sono la causa del conflitto. Le comunità ebraiche venivano bersagliate quando lo Stato israeliano non era neppure nato e lo Stato israeliano è stato attaccato quando non esisteva neppure un insediamento. Qual era il propulsore del conflitto allora? Lo stesso motore che lo muove adesso: il rifiuto di riconoscere lo Stato d’Israele, dentro qualunque confine. Otto anni fa abbiamo lasciato la Striscia di Gaza, abbiamo sradicato gli insediamenti e i 10 mila israeliani che ci vivevano, abbiamo lasciato ogni centimetro quadrato. Quella mossa ci ha portato la pace? No, i razzi continuano a essere sparati da Gaza. Quando chiediamo ai palestinesi: perché lanciate i missili? Rispondono: per liberare Tel Aviv. La vera origine dello scontro è la volontà di non riconoscere lo Stato ebraico».
Anche da parte di questa leadership palestinese?
«La società palestinese è divisa in due. Una parte, quella sotto il dominio di Hamas a Gaza, invoca apertamente la distruzione di Israele e utilizza il terrorismo per quello scopo. L’Autorità palestinese a Ramallah, guidata dal presidente Abu Mazen, non pratica il terrorismo ma evita di affrontare l’altra metà a testa bassa. Abu Mazen si rifiuta di proclamare che riconoscerà uno Stato ebraico. Spero cambierà idea. Voglio precisare: non è una precondizione per i negoziati. Ma credo sia impossibile porre fine al conflitto senza un reciproco riconoscimento: da parte israeliana di uno Stato per i palestinesi, da parte loro di Israele come la nazione del popolo ebraico».
Sta dicendo che gli unici a porre condizioni per far ripartire le trattative sono i palestinesi?
«È così, noi non ne abbiamo espresse. Abbiamo le nostre idee su come l’intesa dovrebbe strutturarsi e siamo pronti a presentarle. Dovrebbero farlo anche i palestinesi. L’unico modo di trovare un accordo è cominciare a discuterne».
Considera il presidente Abu Mazen un interlocutore serio?
«Spero lo sia, spero rimuova le sue precondizioni e parli con me. Sarebbe nell’interesse della pace e sono convinto anche nell’interesse dei palestinesi».
Dopo le elezioni in Iran, Emma Bonino, il ministro degli Esteri italiano,ha detto: «Confidiamo che con il nuovo governo del presidente Hassan Rohani sia possibile lavorare allo sviluppo delle relazioni bilaterali e avviare una stagione di dialogo costruttivo tra Teheran e la comunità internazionale».
«Non ci sono dubbi che le elezioni abbiano espresso una profonda ostilità del popolo iraniano verso il regime, prima di tutto a causa delle difficoltà economiche e anche per la mancanza di libertà. Ma non credo sia avvenuto il profondo cambiamento che gli iraniani desiderano: vorrebbero sbarazzarsi di tutto il regime. La figura che continua a governare l’Iran, a guidare i suoi progetti atomici e la sua strategia di terrorismo internazionale è Khamenei. Rohani è parte di questo sistema, è stato il capo dei negoziati sul nucleare e il cambiamento che porta è nello stile non nella sostanza. Nel 2004 ha raccontato di aver usato l’inganno con gli occidentali (una faccia sorridente, un atteggiamento meno aggressivo) per permettere al programma nucleare di progredire. Questo è quello che scrive: “Mentre stavamo parlando con gli europei a Teheran, installavamo le apparecchiature nella centrale di Isfahan. Aver creato un’atmosfera tranquilla ci ha permesso di completare i lavori”».
Le sanzioni stanno funzionando?
«Rohani resta fedele al progetto atomico: vuole farlo avanzare. L’embargo non va ammorbidito, anzi va rafforzato. Le richieste devono essere presentate all’Iran molto chiaramente: stop all’arricchimento di materiale nucleare, rimozione dal Paese di tutto l’uranio arricchito, smantellamento della centrale nucleare illecita a Qom. L’Iran dev’essere giudicato per quello che fa, non per quello che dice».
Oggi lei incontra Enrico Letta, il primo ministro italiano, gli chiederà di appoggiare l’inserimento di Hezbollah nella lista delle organizzazioni terroristiche dell’Unione Europea?
«Certamente. Se Hezbollah non è un gruppo terrorista, allora non so chi lo sia. Uccidono ovunque, anche su territorio europeo, come in Bulgaria. Controllano una rete internazionale terrorista assieme all’Iran. Adesso stanno massacrando i civili in Siria per conto di Bashar Assad. L’unico modo di combattere il terrorismo è chiamarlo con il suo nome per togliergli qualunque tipo di immunità, anche morale».
L’Egitto è di nuovo nel caos.
«Come tutti siamo preoccupati dalla situazione. Per trent’anni abbiamo avuto un’ancora di pace e stabilità in Medio Oriente rappresentata dall’accordo di pace tra Israele ed Egitto. Speriamo che quell’intesa sia mantenuta. Se guardiamo alla vasta striscia di terra che va dall’Oceano Atlantico al Pakistan, ci rendiamo conto che c’è un solo Stato moderno, pluralistico e democratico: Israele. Vorremmo che ne esistessero di più qua attorno, per ora non purtroppo non è così».
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