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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Giornale Rassegna Stampa
10.06.2013 Afghanistan: la guerra al terrorismo va continuata
commento di Fiamma Nirenstein

Testata: Il Giornale
Data: 10 giugno 2013
Pagina: 14
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «È un errore tornare indietro dalle guerre»

Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 10/06/2013, a pag. 14, l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo "È un errore tornare indietro dalle guerre".


Fiamma Nirenstein, capitano Giuseppe La Rosa


Talebani Afghanistan

La guerra è un argomento fa­cile: si sa bene che è insopporta­bile, che colpisce a caso e con cattiveria, è irrazionale. Il no­stro ragazzo ucciso due giorni fa avrebbe dovuto tornare a casa nell’ambito del progressivo sgombero previsto per gran par­te delle truppe Isaf Nato entro il gennaio del 2014. La guerra è brutta, l’istinto più naturale è quella di voltarle le spalle spe­cie quando uno dei nostri muo­re non difendendo la sua casa, la sua famiglia, ma una casa e una famiglia lontanissime, mentre su di lui e i suoi compa­gni si affollano insensate accu­se di desiderio di dominio. Tan­to più l’istinto di andarsene è prepotente quando la guerra non va tanto bene, quando si de­forma rispetto ai tuoi progetti. E in Afghanistan ce n’è stato di che: i talebani seguitano a rap­presentare un nemico per Kar­zai anche quando ci parlereb­be, egli a sua volta non avrebbe certo retto senza il deciso soste­gno occidentale. Le frazioni et­niche e religiose del Paese, ben più variegate di quelle dei Pashtun che rapprentano la for­za centrale e l’alleanza del nord dei Tagiki, gli Uzbeki, i Hazari, beneficiari dell’intervento Na­to hanno molti nemici. I taleba­ni, una volta che sarà vicino il 5 di aprile, data delle elezioni pre­sidenziali, si scateneranno col coltello fra i denti e avranno buoni argomenti a causa della corruzione dei governanti. Per non parlare degli appetiti del Pakistan, islamista e atomico, che lungo il confine si fa sotto e non dà tregua.E invece l’Afgha­nistan avrebbe dovuto, nei pro­getti della Nato, essere lasciato nella migliore delle condizioni per prepararsi a un futuro. Ep­pure, tutto questo non dice mol­to su questa guerra.
La missione lascerà un nume­ro di militari fra gli ottomila e i
tredicimila la cui ambizione non è davvero quella di lasciar­si dietro una nuvola di polvere, ma un’idea imbattibile, quella di una proibizione assoluta a praticare il terrorismo. La guer­ra combattuta in Afghanistan nasce nell’oscurità del cratere di Ground Zero, del Pentagono colpito, di un prato bruciato in Pennsylvania. Il mondo si tro­vò, dopo l’undici di settembre, implicato in una guerra di dife­sa contro il terrorismo. L’inter­vento in Afghanistan negò al ter­rorismo, con l’operazione«En­during Freedom», il diritto a possedere un vasto retroterra, uno stato intero che fosse suo, dominato dai Talebani, in cui Al Qaida potesse stabilire lo sta­to maggiore. Questa operazio­ne è riuscita, il terrorismo non ha dilagato senz’argini negli Sa­tati Uniti né nel nostro conti­nente, moltissime operazioni terroriste sono state bloc­cate, Bin Laden è sta­to eliminato insie­me ad altri suoi dirigenti. Oggi, anche se i talebani non sono scom­parsi, c’è perlo­meno una socie­tà che, con l’aiuto dei nostri militari ha la certezza che ci sono 28 Paesi della Nato, più 22 aggiun­ti, che ci tengono a garantire il suo sviluppo, la sua libertà, la sua liberazione dalla continua minaccia islamista.
Non dobbiamo ora diminui­re il senso della magnifica dedi­zione con cui i nostri soldati hanno sacrificato in 53 la loro vi­ta suggerendo ogni volta che
forse era meglio non esserci. Al contrario, quello che viene da pensare è che essi non abbiano forse avuto quello che nelle guerrre è indispensabile, ovve­ro un sostegno ideologico conti­nuo da parte delle società di provenienza, fossero gli Stati Uniti di Obama, o la nostra Ita­lia dove peraltro ieri il governo ha reagito con dignità, o la Fran­cia che ha ritirato i suoi uomini (però poi li ha mandati in Libia e vuole mandarli in Siria), che ri­badisse sempre il senso profon­do della presenza della Nato in Afghanistan. Intendiamo dire che la guerra al terrorismo è ve­nuita declinando via via che ha preso il sopravvento la paura di accusare apertamente l’islami­smo jihadista ovunque si è pre­sentato, di occuparsi dell’Iran nella corretta luce che lo pone alla testa di gran parte del terro­rismo internazionale, di indica­re il rischio di tante nuove lea­dership importanti in mano ai Fratelli Musulmani... Per placare il futuro del­l’Afghanistan e ga­rantire alla prossi­ma missione «Re­solute support», quella che reste­rà, di realizzare gli obiettivi di pa­cificazione, pro­gresso, democra­zia, la strada è tentare di modificare la corrente narrativa in senso più realista: non siamo riusciti in tutto, la de­mocrazia non ha vinto per ora, ma la guerra al terrorismo, ai persecutori di donne, di omo­sessuali, di dissidenti, di odiato­ri professionali dell’Occidente è stata una grande ragione per andare in Afghanistan e guai a dimenticarlo.
www.fiammanirenstein.com

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