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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - La Repubblica Rassegna Stampa
10.06.2013 Turchia: Erdogan minaccia i manifestanti
cronaca di Monica Ricci Sargentini. Intervista a Elif Batuman di Antonello Guerrera

Testata:Corriere della Sera - La Repubblica
Autore: Monica Ricci Sargentini - Antonello Guerrera
Titolo: «Erdogan minaccia la piazza: 'La pazienza ha un limite' - È la rivolta della generazione Occupy, laica e anti-liberista»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 10/06/2013, a pag. 17, l'articolo di Monica Ricci Sargentini dal titolo " Erdogan minaccia la piazza: «La pazienza ha un limite» ". Da REPUBBLICA, a pag. 13, l'intervista di Antonello Guerrera a Elif Batuman dal titolo " È la rivolta della generazione Occupy, laica e anti-liberista ".
Ecco i pezzi:

CORRIERE della SERA - Monica Ricci Sargentini : " Erdogan minaccia la piazza: «La pazienza ha un limite» "


Monica Ricci Sargentini

ISTANBUL — In piazza Taksim è quasi impossibile muoversi, la folla continua ad affluire senza sosta da viale Istiklal mentre una voce scandisce gli slogan della rivolta e grida: «Siamo tanti oggi e domani di più, la piazza resisterà». Contemporaneamente a 500 chilometri di distanza, atterrando all'aeroporto di Ankara, Recep Tayyip Erdogan avvisa: «Siamo rimasti pazienti, siamo ancora pazienti, ma c'è un limite alla nostra pazienza». I toni non sono concilianti e tutti si chiedono come finirà questo braccio di ferro tra i ragazzi asserragliati nel parco Gezi e il governo che vanta da più di dieci anni un solido consenso popolare.
Sul Bosforo una barca a vela mostra orgogliosa la scritta «Siamo tutti çapulcu (vandali come il premier ha definito i manifestanti ndr)» e la gente dai traghetti vicini si alza in piedi per applaudire. Sulla riva di fronte decine di poliziotti dormono, appoggiati ai giubbotti antiproiettile, negli autobus comunali fermi da giorni davanti al Palazzo Dolmabahçe, l'ex residenza ottomana di Atatürk a Besiktas dove Erdogan ha voluto stabilire il suo ufficio. Sono gli agenti di sicurezza le nuove vittime della rivolta. Proprio loro, finiti sul banco degli accusati per le violenze nei confronti dei manifestanti, vivono una situazione disperata: nell'ultima settimana, stando alle rivelazioni del sindacato, in sei si sono suicidati. I poliziotti non hanno retto alla pressione, ai turni di lavoro disumani e alle pesanti critiche che si sono riversate su di loro. Non ultima la testimonianza di uno studente sull'Hurriyet che ha raccontato l'inferno cui è stato sottoposto dagli agenti: «Ogni poliziotto presente ha iniziato a prendermi a calci e pugni. Per 150 metri, fino al bus della polizia, tutti mi hanno picchiato, maledetto, insultato. Non finivano mai».
I ragazzi con la divisa a Besiktas hanno facce stanche e impaurite. Se gli chiedi una dichiarazione ti dicono: «Non siamo autorizzati a parlare». Uno di loro, però, ha vuotato il sacco sul quotidiano Radikal: «Tutti ci insultano per quello che abbiamo fatto — ha detto M.E.A. — ma dovrebbero prendersela con quelli che hanno deciso. Noi non possiamo disobbedire, pena l'esilio nell'est o la mobbizzazione perpetua». Il giovane, che ha chiesto di rimanere anonimo, ha raccontato lo stato d'animo di chi ha usato gas lacrimogeni ed idranti: «Il nostro unico desiderio era andare a casa a dormire. Abbiamo vissuto in condizioni indescrivibili, senza poter nemmeno andare in bagno. Io puzzavo, mi sentivo un mostro». M.E.A., che è in polizia da cinque anni, conosce i colleghi che si sono suicidati: «Siamo stati sottoposti a una vera e propria tortura — racconta —. Uno dei miei amici si è visto in televisione mentre riempiva di calci una ragazza e si è vergognato di se stesso. Ha pensato: "Dio mio come posso averlo fatto?". La verità è che non eravamo in grado di pensare».
Una versione confermata in pieno da Faruk Sezer, capo del sindacato della polizia Emniyet-Sen: «La violenza che vedete è il riflesso della violenza cui sono stati sottoposti i poliziotti — ha detto all'Hurriyet — questi ragazzi hanno lavorato per 120 ore di seguito, mangiando pane raffermo e non dormendo mai». In piazza, però, c'è chi non perdona. Arzu, una ragazza curda, dice: «Ora tutti i turchi hanno capito cosa fa la polizia, noi queste cose le abbiamo subite per anni». Nel centro di Ankara gli agenti sono tornati a sparare candelotti lacrimogeni e ad usare cannoni ad acqua. A Istanbul la sera scende a Taksim ma le tende sono ancora vuote, i ragazzi festeggiano l'occupazione e piantano fiori al posto degli alberi distrutti dalle ruspe. Aspettando le mosse del premier, soprannominato «Erdogas».

La REPUBBLICA - Antonello Guerrera : " È la rivolta della generazione Occupy, laica e anti-liberista "


Elif Batuman                                            Piazza Taksim

«Le proteste di questi giorni in Turchia sono contro Erdogan e contro l’islamizzazione del Paese. Ma c’è anche una corrente scettica verso l’Occidente. Erdogan deve ascoltare i manifestanti, non evitarli e scappare».
Elif Batuman, giornalista americana del New Yorker di origine turca, vive a Istanbul nel “quartiere libero” di Cihangir. Nel 2012 ha pubblicato per Einaudi I posseduti. Storie di grandi romanzieri russi e dei loro lettori. Elif Batuman, siamo di fronte a una nuova “primavera”?
«Non credo. La situazione è molto diversa qui. L’economia sinora è andata bene, siamo comunque in una democrazia. Ma c’è uno scollamento tra il governo di Erdogan e buona parte della popolazione, che non sappiamo dove porterà. E il comportamento del premier non aiuta ad avvicinare le parti».
Ma Erdogan vuole davvero islamizzare la Turchia?
«Non credo che possa arrivare al livello dell’Iran. Però vuole far diventare la Turchia una superpotenza capitalista in Medio Oriente, sbarazzandosi intanto di molti precetti del laico fondatore Atatürk. E questo a molti turchi non piace». Perché questa non è una protesta come le altre?
«Per la brutalità della polizia e del governo, che hanno gestito pessimamente la vicenda. Attaccare così i manifestanti è stato davvero stupido, oltre che vergognoso. Per gestire meglio l’energia di una simile protesta, bastava seguire l’esempio di Stati Uniti e Spagna con i movimenti Occupy e indignados ».
Chi sono i manifestanti? Hanno un punto di riferimento?
«Inizialmente il punto di riferimento c’era: la manifestazione è stata organizzata da un gruppo ambientalista in difesa del parco. Poi però in piazza è arrivato di tutto: sindacati, gruppi femministi, ultras, vegani. Per ora si tratta di una massa molto orizzontale, stile Occupy».
I gruppi di ultras del calcio sono stati protagonisti della “primavera egiziana”. Lo saranno anche in Turchia?
«Ho parlato con alcuni di loro, con il gruppo di sinistra Çarsi, del Besiktas, che nella protesta si è unito ai tifosi rivali del Galatasaray e Fenerbahçe (tre squadre di Istanbul, ndr). Sono contro tutto e tutti, tra cui l’imperialismo americano e occidentale. Non aspettavano che un’occasione del genere».
Fra i manifestanti c’è chi rinnega anche il liberismo di Erdogan?
«C’è una corrente scettica verso l’Occidente e il liberismo: alcuni intellettuali, i sindacati di sinistra, gli ambientalisti, una parte degli operai».
Oggi la Turchia è un Paese spaccato?
«Sì, ma non solo in quest’ultima protesta. Si prenda Istanbul: è una città frammentata in quartieri e gruppi che difficilmente interagiscono. Questo, unito alla censura del governo, genera un clima di sospetto generale. Sono pochi quelli apertamente con Erdogan. Ma poi alle urne, almeno sinora, le cose vanno molto diversamente».

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