Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 03/06/2013, a pag. 13, l'articolo di Davide Frattini dal titolo " Libano, il contagio della guerra. Scontri Hezbollah-ribelli siriani", l'articolo di Guido Olimpio dal titolo "Medio Oriente. Uno scenario da anni Settanta ".
Davide Frattini - " Libano, il contagio della guerra. Scontri Hezbollah-ribelli siriani "


Davide Frattini Hassan Nasrallah
DAMASCO — Non c'è limite alla velocità e alla paura per chi passa sul vialone davanti ai cancelli del campo rifugiati. I centocinquantamila palestinesi che vivevano in questi due chilometri quadrati sono quasi tutti fuggiti: i materassi, le sedie, i tavoli, le pentole, le coperte caricati sui tetti delle auto. L'area a sud del centro di Damasco era stata attaccata cinque mesi fa dai fondamentalisti di Jabhat al Nusra, sunniti contro sunniti, ribelli anti-Assad contro una comunità che aveva provato a rimanere neutrale.
Adesso le famiglie stanno cominciando a tornare tra i palazzi anneriti dalle granate anche se sui tetti sono rimasti i cecchini. I soldati del regime controllano da fuori, dalle postazioni protette dai sacchi di sabbia. Come quelle centrate all'alba di ieri da un'autobomba a pochi chilometri da qui, obiettivo una caserma della polizia.
Nella capitale siriana il Fronte popolare per la liberazione della Palestina-Comando Generale è rimasto fedele al presidente Bashar, che ne ospita i capi e sovvenziona le operazioni. Hamas ha scelto di andarsene e di stare con i rivoltosi. Allontanarsi da Assad ha significato spaccare anche l'alleanza con Hezbollah, al punto che il movimento libanese accusa il gruppo di aver trasmesso ai ribelli le tecniche di battaglia imparate per combattere i soldati israeliani.
I guerriglieri sciiti che tornano dal fronte di Qusayr raccontano di aver dovuto affrontare tattiche «familiari in modo irritante»: «È evidente che i palestinesi — spiega il miliziano Jawad al quotidiano libanese Daily Star — hanno deciso di offrire i trucchi che gli avevamo insegnato noi». L'offensiva contro la città a pochi chilometri dal confine libanese va avanti da tredici giorni. L'esercito di Assad è affiancato dalle truppe di Hezbollah, vuole riprendere il controllo della zona da dove passano le armi e i rifornimenti per le forze anti-regime.
La Croce Rossa chiede di poter entrare a Qusayr per aiutare i feriti, le Nazioni Uniti parlano di 1.500 persone che hanno bisogno di cure urgenti. Da Damasco Walid Muallem, ministro degli Esteri, rinvia l'accesso umanitario a quando «le operazioni militari saranno finite». I profughi che riescono a scappare in Libano raccontano di almeno diecimila uomini di Hezbollah impegnati negli scontri. Le schiere si muovono dalla stessa valle libanese dove loro cercano rifugio.
La Bekaa è diventata un'altra prima linea nella guerra siriana. Nella notte tra sabato e domenica i ribelli hanno colpito i villaggi sciiti in Libano, diciotto esplosioni tra razzi e colpi di mortaio. I bersagli sono Hermel, Baalbek, le aree dove le bandiere giallo-verdi di Hebzollah sventolano su tutte le case.
I rivoltosi siriani sconfinano per portare la battaglia di Qusayr dall'altra parte, ripercorrono al contrario le strade seguite dai soldati agli ordini dello sceicco Hassan Nasrallah. Negli scontri di ieri sarebbero morti — calcola Al Mayadeen, televisione vicina agli sciiti e al regime di Damasco — diciassette miliziani di Jabhat Al Nusra, un solo caduto per Hezbollah.
Un gruppo di religiosi sunniti proclama da Beirut una fatwa che incita ad aiutare i ribelli anti-Assad «con le parole, i soldi, le medicine, le armi, i combattenti». È la risposta al coinvolgimento nel conflitto voluto da Nasrallah. Le Nazioni Unite avvertono che la guerra civile siriana è già «una crisi regionale, internazionale».
La commissione d'inchiesta sugli abusi commessi nei venticinque mesi di violenze presenta domani il rapporto. Il presidente Paulo Pinhero definisce il dossier «terrificante». Carla Del Ponte, ex procuratrice generale al Tribunale penale internazionale per i crimini nell'ex Jugoslavia, denuncia «atrocità di una crudeltà inconcepibile, come ne ho mai viste, neppure in Bosnia».
Guido Olimpio - " Medio Oriente. Uno scenario da anni Settanta "


Guido Olimpio Guerra civile, Libano 1970
Una volta, quando si voleva, evocare uno scenario infernale si diceva «è come il Libano '70», intendendo l'inizio di una guerra civile proseguita per anni, dove interessi regionali, divisioni religiose, faide etniche hanno fatto da carburante per l'odio. Oggi sembra di essere vicini a quel teatro. Con una differenza non da poco: «Libano '70» si applicherà a un territorio ben più ampio. Un arco della crisi che tocca Beirut e dintorni, la Siria, l'Iraq e poi si polverizza contaminando tutto e tutti. I confini, questa volta, contano poco. I combattenti (come i piani) si mescolano lungo linee diverse. Sono transnazionali. L'appello al Jihad contro gli Hezbollah in Siria lanciato dall'influente sheikh sunnita Yussef Qaradawi è un passaggio rilevante. Così come la definizione, peraltro non nuova, del movimento libanese quale «partito del Diavolo», responsabile di essere intervenuto al fianco del dittatore alawita Assad insieme all'Iran. Un anatema pronunciato da un uomo che ha un seguito immenso e vive in Qatar, un Paese molto coinvolto nelle rivolte arabe. Lui parla della guerra in Siria ben sapendo, però, che i legami religiosi saldano crisi diverse. Colpiscono le immagini degli sciiti iracheni che salutano in stile militare davanti al santuario di Zeinab, non lontano da Damasco. Volontari venuti a dare un mano al regime e a difendere — recita la propaganda — i luoghi sacri minacciati dagli altri combattenti stranieri, quelli di fede sunnita. Decisi e poco compatti. Islamici moderati, qaedisti, jihadisti. Militanti contesi tra i principi sauditi e l'emiro qatariota. Lotta di influenza condotta ora con i petrodollari, ora con i servizi segreti. Una volta Riad giocava da sola — anche a Beirut — mentre adesso ha rivali ambiziosi. Ed ecco che le autobombe, l'arma preferita nel «Libano '70», esplodono ovunque. In Turchia, a Damasco, a Bagdad in una catena di vendette incrociate. Le persone svaniscono. Le vittime crescono. Tutti sfregi che provocheranno delle risposte. Si muore a Qusayr e per ritorsione piovono razzi a Baalbeck, nel feudo libanese dell'Hezbollah. In Iraq uccidono camionisti siriani, in Siria avviene l'inverso. Potrebbe non essere finita. Se fino a un anno fa l'eventuale cacciata di Assad poteva essere il punto terminale di un processo già visto altrove, oggi sarebbe solo una tappa in un cammino dove nessuno conosce la fine e quale sia la strategia migliore.
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