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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - La Repubblica - La Stampa Rassegna Stampa
02.06.2013 Turchia: i laici in piazza contro Recep Erdogan
cronache e commenti di Monica Ricci Sargentini, Antonio Ferrari, Renzo Guolo, Marta Ottaviani

Testata:Corriere della Sera - La Repubblica - La Stampa
Autore: Monica Ricci Sargentini - Antonio Ferrari - Renzo Guolo - Marta Ottaviani
Titolo: «Un giorno di scontri in tutta la Turchia. Mille feriti a Istanbul - Con le proteste di piazza Taksim è arrivata la Primavera turca - Troppi divieti negli stili di vita. La gente non ne può più»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 02/06/2013, a pag. 16, l'articolo di Monica Ricci Sargentini dal titolo " Un giorno di scontri in tutta la Turchia. Mille feriti a Istanbul ", a pag. 36, l'articolo di Antonio Ferrari dal titolo " Con le proteste di piazza Taksim è arrivata la Primavera turca ". Da REPUBBLICA, a pag. 22, l'articolo di Renzo Guolo dal titolo " Quella donna in rosso simbolo della rivolta ". Dalla STAMPA, a pag. 13, l'intervista di Marta Ottaviani a Ekrem Guzeldere dal titolo "Troppi divieti negli stili di vita. La gente non ne può più".
Ecco gli articoli:

CORRIERE della SERA - Monica Ricci Sargentini : " Un giorno di scontri in tutta la Turchia. Mille feriti a Istanbul "


Monica Ricci Sargentini

Quando la polizia si ritira da piazza Taksim la folla esulta. «Taksim è dappertutto, il popolo è dappertutto» grida un gruppo di manifestanti. «Fermiamo il fascismo, governo dimissioni» è un altro slogan. Dopo cinque giorni di proteste a difesa del parco Gezi, uno dei pochi polmoni verdi di Istanbul, l'atmosfera che si respira è quella di una festa. C'è chi balla, chi canta l'Internazionale, chi prende in giro il premier («Tayyip noi siamo qui, tu dove sei?»), chi si beve una birra a dispetto dei divieti imposti dal governo. La folla è politicamente variegata: ci sono i kemalisti ma anche i musulmani praticanti, le donne velate e quelle non. Migliaia di persone sono arrivate dalla parte asiatica facendo risuonare pentole e padelle mentre attraversavano a piedi il ponte sul Bosforo. «È come se improvvisamente Istanbul si fosse svegliata — dice al Corriere Isadora Bilancino, una blogger italiana residente in Turchia — le persone che prima si lamentavano ora scendono in piazza, c'è aria di rivoluzione».
Ma se in serata si canta vittoria, la giornata è stata di guerriglia urbana con il consolato italiano che sconsigliava ai turisti di uscire dall'albergo. La polizia ha usato la mano pesante tanto da costringere il premier Reçep Tayyip Erdogan a parlare di «una risposta un po' estrema da parte degli agenti». E a far intervenire il presidente Abdullah Gül che, con una telefonata al ministro dell'Interno Muammer Güler e al premier, ha ottenuto il ritiro delle forze dell'ordine da Taksim. Al lancio di candelotti lacrimogeni, ai cannoni d'acqua, agli spray urticanti e ai manganelli elettrici la gente ha risposto tirando pietre con le mani o con le fionde. Secondo l'Associazione dei medici turchi ci sono stati più di 1.000 feriti ad Istanbul tra manifestanti e polizia, almeno quattro le persone che hanno perso la vista dopo essere state centrate dai candelotti lacrimogeni lanciati dagli agenti ad altezza d'uomo (alcuni sostengono che il gas usato sia di tipo illegale).
Ieri sera si combatteva ancora ad Ankara e nel quartiere Besiktas di Istanbul, sulle rive del Bosforo, dove c'è l'ufficio del premier. Nella capitale migliaia di manifestanti sono stati colpiti dai gas lacrimogeni lanciati dagli elicotteri. Ma si manifesta anche altrove: sono state 939 le persone arrestate in oltre 90 manifestazioni in tutto il Paese. Perché, dicono i manifestanti, «questa non è una protesta per il parco, questa è una protesta per la democrazia». E così ieri su Twitter l'hashtag #OccupyGezi è diventato #OccupyTurkey. Il sit-in per difendere gli alberi si è trasformato in una rivolta contro la deriva autoritaria di Erdogan e le minacce al secolarismo del Paese. Anche il regista turco Ferzan Ozpetek e molti altri intellettuali si sono schierati con i manifestanti. «Il governo fa pressione su tutto — dice alla France Presse una pensionata che chiede l'anonimato —, ci dice: fate tre figli, non bevete, non fumate, non camminate mano nella mano con il vostro fidanzato. Ma io mi ricordo di Atatürk e mi oppongo». «Questa è diventata una protesta contro Erdogan che prende decisioni come se fosse un re» è il commento all'Ap di Oral Goktas, un architetto di 31 anni.
La Turchia è una pentola che bolle e le autorità cercano di contenere la piazza. Sulla tv solo un canale, la Halk-TV, ha trasmesso la diretta degli eventi. E, tra i manifestanti, c'è chi accusa il governo di aver bloccato la connessione internet su computer e smartphone per non far girare le notizie dalle piazze. Ieri il premier ha chiesto l'immediata fine delle manifestazioni: «Ogni quattro anni — ha detto in un discorso trasmesso in televisione — questo Paese vota per scegliere il suo leader, la minoranza non può imporre il suo volere sulla maggioranza, quelli che hanno un problema con le politiche del governo possono esprimere il loro dissenso seguendo le regole della legge e della democrazia». Il 2014 è un anno di elezioni: locali, presidenziali e politiche. Allora la Turchia potrebbe voltare pagina.

CORRIERE della SERA - Antonio Ferrari : " Con le proteste di piazza Taksim è arrivata la Primavera turca "


Antonio Ferrari

È una stagione davvero difficile per la Turchia e per il suo primo ministro Recep Tayyip Erdogan, che soffre di arroganza e che si lascia sedurre troppo spesso dall'autoritarismo. La decisione di sventrare il polmone verde più affascinante di Istanbul, il Gezi Park contiguo alla celebre piazza Taksim, per costruirvi un ecomostro, cioè un altro gigantesco centro commerciale, ha scatenato la dura protesta dei giovani «indignados». Per difendere i seicento alberi che dovrebbero essere abbattuti per far strada a una colata di cemento, in Turchia è esplosa un'ondata di rabbia che pare incontenibile. Migliaia per strada ad Istanbul, ad Ankara e in altre città. Reazione durissima delle forze antisommossa con cannoni ad acqua, lacrimogeni e gas urticanti, centinaia di feriti, e il duro commento del premier: «Andremo comunque avanti con il progetto». Dichiarazione lievemente attenuata ieri pomeriggio, quando Erdogan ha concesso che in qualche caso vi è stato un uso sproporzionato della forza da parte della polizia. Il ricorso alla magistratura degli oppositori al progetto è all'esame della Corte, e le ruspe per ora si sono fermate. Però il fatto rivela — ben oltre la difesa dell'ambiente — il profondo malessere che attraversa il Paese. Il divieto delle effusioni nei luoghi pubblici si è rapidamente trasformato in una corsa alla trasgressione. Nei giorni scorsi il Parlamento ha votato il provvedimento che vieta di consumare alcolici in prossimità delle moschee e dalle scuole, e vieta di venderli dalla sera all'alba. Misure adottate anche altrove, d'accordo. Però in Turchia sono state attaccate duramente dai laici, convinti che si tratti di un altro passo per giungere alla re-islamizzazione del Paese.
Tuttavia, c'è un altro aspetto che indica la portata politica della protesta per la distruzione del Gezi Park. Appunto la contiguità con la piazza Taksim di Istanbul. Piazza Taksim, per i contestatori turchi, è quel che la piazza Tahrir del Cairo è per gli egiziani. L'accostamento è plausibile, e soprattutto non è improprio. Erdogan ha di che preoccuparsi, anche perché c'è già chi parla apertamente di «primavera turca».

La REPUBBLICA - Renzo Guolo : "Quella donna in rosso simbolo della rivolta"


Renzo Guolo

Come spesso accade, è una vicenda apparentemente impolitica che fa scattare la scintilla. La protesta contro la distruzione del parco Gezi, il polmone verde cittadino, per fare posto a un enorme centro commerciale, a una caserma e a una moschea, diventa così occasione per parte della società turca, quella cresciuta all'ombra di una laicità alla francese e quella che guarda all'Europa, di manifestare il proprio rifiuto nei confronti del modello Akp. Un modello ben visibile nel progetto contestato, caratterizzato da simboli economici, militari, religiosi. Una sintesi perfetta del neottomanesimo in versione Akp, fondato su una crescita economica onnivora e il gigantismo progettuale, sul ritrovato ruolo politico e militare del paese, sul marcatore religioso. È contro questa Turchia neottomana che protesta l'opposizione politica e la società laica, non certo riducibile al kemalismo autoritario. Gezi è il catalizzatore di un dissenso più vasto. Divenuto egemone grazie alla capacità di garantire crescita e stabilità interna, l'Akp ha pigiato recentemente l'acceleratore sul versante dell'islamizzazione dei costumi. Il divieto di baci in pubblico, l'ostracismo verso trasmissioni televisive critiche nei confronti del passato ottomano e la pubblicità “lasciva”, così come altri segnali, dall'invito del sindaco di Ankara ai cittadini a adottare stili di vita consoni ai valori morali della nazione alla legge per limitare il consumo di alcolici, dalla condanna per blasfemia di uno scrittore di origine armena per aver criticato il Profeta alla decisione governativa di non riconoscere rilevanza culturale agli aleviti, branca minoritaria e liberale dell'islam, fanno temere una decisa virata verso l'islamizzazione dei costumi. Del resto, più un partito islamista come l'Akp, al potere dal 2002, diventa “affidabile” sul piano sistemico, interno e internazionale, tanto più dovrà irrigidirsi sul piano dei valori e dei costumi. In Turchia come altrove. Se attenua troppo il suo profilo religioso, intacca il consenso dell'elettorato islamista. Ne va della stessa matrice originaria di una formazione che, nonostante la patente di “moderatismo” e il luogo comune secondo cui sarebbe assimilabile alla Dc italiana o quella tedesca, ha radici nell'islam politico. Erdogan è riuscito a trasformare progressivamente il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo in partito “pigliatutto, capace di raggruppare pezzi di società dagli interessi e valori differenziati, che chiedevano essenzialmente normalizzazione e modernizzazione. La vittoria in tre elezioni consecutive gli ha consentito di ridurre il peso dei contro-poteri custodi, anche arcigni, della laicità: quello militare, quello giudiziario, quello burocratico, in passato efficienti attori di interdizione del nascente potere islamista. L'Akp è ora a un bivio: può optare per un generico conservatorismo religioso oppure, forte del consenso acquisito sul terreno economico e del prestigio assunto in Medioriente e in Asia Centrale, provare a introdurre nella società “elementi di islamismo”. Il clima degli ultimi mesi fa ritenere a molti turchi che l'Akp abbia imboccato questa seconda strada. Per questo la protesta dilaga e i manifestanti chiedono le dimissioni di Erdogan. La rivolta di Istanbul è il termometro della febbre di un paese diviso sulla sua identità.

La STAMPA - Marta Ottaviani : " Troppi divieti negli stili di vita. La gente non ne può più "


Marta Ottaviani                 Ekrem Guzeldere

Una protesta che dilaga e sfugge di mano; Erdogan che ha sbagliato a calcolarne le conseguenze, peccando di eccessiva sicurezza. Ekrem Guzeldere, analista politico esperto di Turchia dell’European Stability Iniziative, un think-tank che si occupa di Europa sudorientale, spiega i motivi della rivolta e quali conseguenze la rabbia dei giovani in piazza Taksim potrebbe avere sul futuro del Paese».

Ekrem Guzeldere, migliaia di persona in piazza contro il governo in pochi giorni. Come se lo spiega?

«Ci sono più fattori che hanno portato a questa rivolta. Sicuramente una è la legge sulla restrizione di vendita di alcol, che è stata approvata la settimana scorsa e che è stata percepita come una limitazione allo stile di vita.

Ve ne sono altre?

Ce ne è una seconda: ovvero alcune grand i o p e re promosse dal premier, come il terzo aeroporto o il terzo ponte sul Bosforo. Entrambe mettono a rischio l’ambiente ed entrambe sono state viste più come progetti faraonici, deleteri per l’ambiente e la speculazione edilizia che altro».

Perché la gente è in piazza?

«La gente è chiaramente in piazza contro un modo di governare il Paese, non solo per l’ambiente. Abbiamo un premier che ha preso il 50% dei consensi e che per questo ormai si sente onnipotente, può contare sui media e su un sistema economico pronto a sostenerlo».

Come mai il premier Erdogan non ha fatto nulla per evitare che la situazione degenerasse?

«Perché ormai ha acquisito una sicurezza eccessiva, che rischia seriamente di diventare un problema per lui. Si vede da come sta governando. Ormai va avanti da solo, non fa nemmeno più il gesto di ascoltare le opposizioni. Una volta non era così».

Come vede la Turchia, adesso?

«Mi pare che questo terzo governo Erdogan, che avrebbe dovuto rappresentare il nuovo corso per la politica nazionale, sia nelle sue manifestazioni molto vicino come impostazione a quelli della vecchia Turchia che lo hanno preceduto. La differenza è che una volta c’erano alcuni tabù, come la questione curda, ora ne sono subentrati altri, che riguardano soprattutto gli stili di vita».

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