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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - Il Foglio Rassegna Stampa
30.05.2013 Iran verso le elezioni. Khamenei avrà già scelto il futuro presidente ?
Cronache di Francesco Battistini, Redazione del Foglio

Testata:Corriere della Sera - Il Foglio
Autore: Francesco Battistini - Redazione del Foglio
Titolo: «E l'Iran torna alle urne. Ma è sfida interna fra conservatori - Il voto degli ayatollah»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 30/05/2013, a pag. 15, l'articolo di Francesco Battistini dal titolo " E l'Iran torna alle urne. Ma è sfida interna fra conservatori ". Dal FOGLIO, in prima pagina, l'articolo dal titolo " Il voto degli ayatollah ".
Ecco i pezzi:

CORRIERE della SERA - Francesco Battistini : " E l'Iran torna alle urne. Ma è sfida interna fra conservatori "


Francesco Battistini, Ali Khamenei

IL CAIRO — «Lei è un bugiardo e un ignorante!». Gliel'ha detto col sorriso, ma gliel'ha detto. Lunedì, prime time della tv iraniana, un chierico dal severo cipiglio s'accomoda in studio. È l'outsider designato, Hassan Rohani. Ex negoziatore per il nucleare, cinque lingue, ben visto dai riformisti e duro oppositore del presidente uscente Ahmadinejad. Ha fama di cauto diplomatico, poche chance d'inserirsi davvero nella sfida elettorale, la tensione di chi non ha nulla da perdere. E alla fine, quando l'intervistatore gli rinfaccia d'avere un po' svenduto il Paese, con l'accordo 2003 sulla moratoria atomica, e soprattutto d'avere scavalcato la stessa Guida suprema Ali Khamenei, firmando quella carta, infine Rohani perde le staffe: «Caro signore, sarebbe bene che lei si studiasse un po' di storia! Io avrei costretto l'Iran a sospendere il nucleare? Tutt'altro: ne ho perfezionato la tecnologia! E ho impedito che l'America, dopo l'Afghanistan e l'Iraq, attaccasse anche noi, come già stava progettando!...». Tutti d'accordo, sul nucleare. «Legittima e inevitabile priorità del Paese»: l'unica cosa che non divide gli otto pretendenti alla presidenza, l'unica però che ne scaldi il dibattito (come uscire dall'embargo internazionale che sta impoverendo l'Iran?), l'unica emozione d'una campagna elettorale che fa di tutto per dimenticare l'onda verde e le contestazioni del 2009. Il verdetto sembra già scritto, se la vedranno i due conservatori più graditi a Khamenei: il giovane Said Jalili che del nucleare è l'attuale negoziatore, studioso del Corano e mutilato della guerra con l'Iraq, contro Mohammed Baqer Qalibaf, il sindaco di Teheran e nella capitale favoritissimo dai sondaggi, pilota d'aerei che aprì la polizia alle donne. Niente da fare per gli altri, che corrono più che altro per onor di firma. E meno di niente per Esfandiar Rahim Mashai, il consuocero di Ahmadinejad, inviso ai religiosi per il suo «deviazionismo»: il presidente, al secondo e non rinnovabile mandato, l'aveva scelto come delfino d'una possibile staffetta «moscovita» in stile Putin-Medvedev, ma la scorsa settimana il consiglio dei Guardiani l'ha escluso dalle liste assieme all'eterno squalo Rafsanjani, l'ex presidente milionario, e ad altri 676 aspiranti capi di Stato. «Mi rimetto alla parola di Khamenei», era stato l'appello pro Mashai di Ahmadinejad, con tanto di minaccia di rivelazioni scottanti sui rivali che l'osteggiano. S'accomodi pure, gli ha risposto ieri la Guida suprema, promettendo di rimanere neutrale e aggiungendo un pubblico, nemmeno tanto criptico «grazie» a tutti i candidati bocciati dai Guardiani e al loro senso di responsabilità «nel rispettare la legge», dimostrazione che «il diritto è sopra ogni cosa».
Jalili contro Qalibaf, dunque. Chi vincerà, dicono le previsioni, sarà l'astensionismo che tenta i 50 milioni d'iraniani chiamati alle urne: non ritrovano nessuno dei protagonisti 2009 (gli ex sfidanti Moussavi e Karroubi sono agli arresti domiciliari), sono invitati al boicottaggio da molti riformisti, soffrono una campagna elettorale blindata e secondo alcuni candidati pesantemente censurata (l'Onu ha protestato per l'esclusione di tutte le candidate donne, ricordando i 40 giornalisti detenuti). C'è un Paese che cova la rabbia del 30% d'inflazione, coi petrodollari ridotti a carta straccia dalle sanzioni. Sarà l'economia a pezzi, conseguenza del nucleare, il tema dei prossimi round: Jalili promette una finanziaria di resistenza, Qalibaf la stabilità economica entro due anni. Domani sera, confronto tv fra gli otto candidati: la Guida suprema ha invitato tutti a non calunniarsi, per un pugno di voti. O almeno a dirsele col sorriso, come Rohani.

Il FOGLIO - " Il voto degli ayatollah "


Kamran Najafzadeh, il giornalista che fa da moderatore ai dibattiti sulle elezioni in Iran

Milano. Evitare le emozioni forti è stato sin da subito uno dei principali obiettivi di questa stagione elettorale iraniana e, bocciati i candidati scomodi, pareva scontato che stavolta i dibattiti presidenziali non ci sarebbero stati. Nel 2009, durante il confronto tra Mahmoud Ahmadinejad e Mir Hossein Moussavi, volarono offese mai udite dai telespettatori dell’Irib (Islamic Republic of Iran Broadcasting), lo share ha raggiunto vette ineguagliate e quando i manifestanti occuparono le piazze, il “consiglio di guerra” della Guida suprema, Ali Khamenei, sancì che di quel disastro era corresponsabile la tv. Ma la campagna elettorale moralmente bonificata provoca soltanto sbadigli nei cittadini-elettori. Il candidato perfetto Saeed Jalili pare un robot programmato per restituire a ogni interrogativo il Khamenei- pensiero; la performance di Mohsen Ghalibaf, il sindaco di Teheran dal piglio manageriale che mischia giacche di pelle, nazionalismo e slogan bassiji, per ora è sottotono; l’unico fremito è arrivato da Hassan Rouhani, già negoziatore nucleare di èra khatamiana, assurto a stella dei moderati per questa tornata elettorale. “Noi abbiamo sospeso il programma nucleare? – ha chiesto al giornalista che lo accusava di essere stato debole nei confronti del ricatto occidentale – Lei mente. Studi la storia, legga il mio libro. Lo ha già letto due volte, dice? Lo rilegga una terza. Noi il programma nucleare lo abbiamo portato a termine!”. Mentre i candidati si litigavano uno spazio nei programmi politici lagnandosi delle eccessive attenzioni dei media per Jalili, è arrivata la conferma del potente capo dell’Irib Ezzatollah Zarghami: i dibattiti presidenziali avranno luogo il 31 maggio, il 5 e il 7 giugno. Il format è cambiato, non più duelli tra due presidenziabili, ma una sfida di gruppo con tutti i contendenti. A gestire una trasmissione del genere non poteva essere chiamato un giornalista qualsiasi: un consigliere di Khamenei ha perorato la candidatura di Zarghami, poi però tra i tanti curricula è saltato fuori quello giusto: quello del reporter d’assalto Kamran Najafzadeh. Con il volto perfettamente rasato, lo sguardo gentile e i modi seduttivi del bravo ragazzo che punta alle mamme piuttosto che alle figlie, Najafzadeh ha un physique du rôle anomalo per un giornalista revolutionary- correct, e forse è questo il segreto del suo successo. La sua ascesa è iniziata a Keyhan, il quotidiano dei falchi, ma la passione di Najafzadeh è sempre stata la tv. Per anni ha condotto una striscia all’interno del programma “Bist-o-si” (alle 20,30 su Irib 2) in cui ridicolizzava tutto: i “cosiddetti riformisti”, “i cosiddetti giornali riformisti”, i cosiddetti “prigionieri”, i “cosiddetti diritti delle donne”. Nel 2009 mentre i cecchini sparavano dai tetti fustigava con la voce pacata e lo sguardo sofferto le terribili macchinazioni dei sedizionisti.

 I braccialetti gialli del sindaco di Teheran

A Najafzadeh però gli encomi non bastavano, voleva di più, un futuro da inviato. Eccolo dunque in Francia a confezionare inchieste scomode su Eurodif e sul furto delle antichità iraniane da parte del Louvre (“l’ipocrisia dei francesi è proverbiale – dice Najafzadeh – Pensare che fanno le vittime parlando del ratto di opere d’arte da parte dei nazisti durante la Seconda guerra mondiale!”). Si fa notare dai vertici dell’Irib che ne lodano l’intraprendenza e dalle autorità francesi che lo cacciano dopo 18 mesi, quando il corrispondente di Rfi in Iran viene a sua volta espulso. Sta di fatto che quando torna a Teheran, Najafzadeh è una star del giornalismo investigativo, il Milena Gabanelli d’Iran. Finalmente può scegliere: passa con nonchalance dalle interviste cameratesche con i calciatori ai toni empatici e solenni riservati ai tu-per-tu con Hassan Nasrallah (“com’è essere costretti a vivere sempre nascosti? Lo sa che gli israeliani hanno team di sociologi e psicologi che studiano i movimenti delle sue mani?”). La conduzione dei dibattiti elettorali però è la sua consacrazione: riuscirà ad aggiungere un po’ di pepe alla sonnolenta campagna elettorale di Khamenei? Se lo augurano in molti: gli insider preoccupati dall’affluenza (con i numeri si può sempre essere creativi ma un flop resta un flop), gli stampatori che hanno ricevuto commesse ridicole per i cartelloni elettorali e gli attivisti di Ghalibaf che aspettano di distribuire i braccialetti, i poster e gli stendardi gialli, simboli del sindaco di Teheran. Così mentre Najafzadeh si prepara alla sua ennesima grande occasione, a Teheran tutti si chiedono se il ragazzo d’oro del giornalismo di regime sveglierà finalmente Ghalibaf dal suo torpore o se sarà “imparziale”, tendenza Jalili.

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