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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - La Stampa - Il Foglio - La Repubblica Rassegna Stampa
30.05.2013 Siria: Assad continua i massacri, divisioni fra gli oppositori al regime
Cronache di Lorenzo Cremonesi, Francesca Paci, Paola Peduzzi. Intervista di Vincenzo Nigro a Emma Bonino

Testata:Corriere della Sera - La Stampa - Il Foglio - La Repubblica
Autore: Lorenzo Cremonesi - Francesca Paci - Paola Peduzzi - Vincenzo Nigro
Titolo: «Le condizioni di Assad per la pace: Resto in sella e si vota nel 2014 - Siria, i ribelli contro i loro leader politici - Dov’è finito il siriano dagli occhi blu che ispira il jihad fai da te?»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 30/05/2013, a pag. 15, l'articolo di Lorenzo Cremonesi dal titolo " Le condizioni di Assad per la pace: Resto in sella e si vota nel 2014 ". Dalla STAMPA, a pag. 15, l'articolo di Francesca Paci dal titolo " Siria, i ribelli contro i loro leader politici ". Dal FOGLIO, a pag. 3, l'articolo di Paola Peduzzi dal titolo " Dov’è finito il siriano dagli occhi blu che ispira il jihad fai da te? ". Da REPUBBLICA, a pag. 15, l'intervista di Vincenzo Nigro a Emma Bonino dal titolo " Subito il vertice sulla Siria e anche l'Iran deve partecipare ", preceduta dal nostro commento.
Ecco i pezzi:

CORRIERE della SERA - Lorenzo Cremonesi : " Le condizioni di Assad per la pace: Resto in sella e si vota nel 2014 "


Lorenzo Cremonesi              Bashar al Assad

GERUSALEMME — Il regime di Damasco garantisce la propria partecipazione alla conferenza di pace che dovrebbe tenersi a Ginevra entro la fine giugno. Una mossa che era stata già annunciata da Mosca e spiazza le forze dell'opposizione armata sempre più divise tra loro proprio sull'opportunità di partecipare all'evento organizzato sotto l'egida delle Nazioni Unite con il forte impegno russo e americano. Anche l'Iran, secondo quanto riferisce il vice ministro degli Esteri Hossein Amir Abdollahian, sarebbe stato invitato. Le posizioni restano comunque distanti. I ribelli chiedono le dimissioni immediate di Bashar Assad. Ma il dittatore rilancia una manovra già provata in passato: annuncia che non abbandonerà il suo posto prima delle elezioni previste per l'anno prossimo (le ultime nella primavera del 2012 furono una plateale farsa) e promette di ricandidarsi.
Da circa una settimana i leader della Coalizione Nazionale Siriana, il massimo organismo politico della rivoluzione, sono riuniti a Istanbul per deliberare su Ginevra. Ma ora quattro tra le milizie ribelli più importanti minacciano di ritirare il loro sostegno col rischio di delegittimare del tutto i propri rappresentanti politici scelti in autunno. È intanto scontro aperto tra brigate sostenute dal Qatar, più vicine ai movimenti dell'estremismo islamico, e invece quelle pagate dall'Arabia Saudita. Una crisi pesante nel fronte rivoluzionario, aggravata dal crescente attivismo del gruppo sciita libanese Hezbollah a fianco dei lealisti. Ieri il Dipartimento di Stato Usa ha chiesto ad Hezbollah di ritirarsi dalla Siria. E intanto arrivano testimonianze sempre più circostanziate circa l'uso delle armi chimiche da parte dei pro-Assad.
Eventi che testimoniano il caos imperante e rischiano di subire un ulteriore grave deterioramento con l'intervento armato di Israele come deterrente contro l'invio di missili russi al regime di Damasco. La prospettiva è quella dei primi giorni dell'invasione israeliana del Libano meridionale nel giugno 1982. «Miriamo alla distruzione sistematica delle batterie di missili terra aria venduti al regime siriano. Trentuno anni fa abbattemmo anche i Mig senza troppi problemi, oggi la nostra superiorità contro un esercito minato da oltre due anni di rivolte interne è ancora maggiore», sostengono tra i circoli di governo a Gerusalemme per spiegare le dichiarazioni bellicose del ministro della Difesa Moshe Yàalon due giorni fa. Lo stesso Consigliere per la Sicurezza Nazionale del premier Benjamin Netanyahu, Yaakov Amidror, in un recente incontro con 27 ambasciatori europei ha spiegato che «Israele impedirà che gli S-300 divengano operativi, altrimenti il nostro intero spazio aereo rischia di diventare una grande no-fly zone». Lo specchio di un Paese che segue con attenzione gli sviluppi della destabilizzazione lungo i suoi confini settentrionali. «Sapremo noi cosa fare», aveva dichiarato a caldo Yàalon nell'apprendere dell'intenzione russa di vendere alla dittatura i missili anti-aerei S-300. Ieri però è arrivato l'ordine perentorio di Netanyahu di mantenere «il silenzio assoluto». «Dobbiamo affrontare con equilibrio le minacce che ci circondano», si legge in un comunicato. Il senso dell'allarme è dato dalle esercitazioni che vengono imposte alla popolazione. L'altro ieri le sirene hanno suonato un paio di minuti in tutto il Paese per verificare lo stato di salute delle difese civili. In mancanza di commenti ufficiali da parte del governo, sono gli esperti di cose militari ad offrire analisi approfondite. Sostiene Yossi Melman, uno dei commentatori più noti: «Abbiamo tutto il tempo per agire. Tra i comandi dell'esercito si valuta che, nel caso in cui gli S-300 dovessero raggiungere Damasco, passeranno almeno sei mesi prima che divengano operativi. Occorre che i militari lealisti imparino ad utilizzarli e per questo dovranno recarsi in Russia per corsi di addestramento. Israele inoltre non si è mai tirata indietro nelle azioni preventive. La nostra preoccupazione maggiore è che, nel caso di disgregazione del regime, queste armi possano cadere nelle mani della milizia sciita libanese Hezbollah. Nel 1982 la nostra aviazione colpì senza problemi. Nel settembre 2007 ha bombardato il reattore nucleare a est di Damasco e negli ultimi mesi ha già distrutto tre volte armi che erano destinate al Libano».

La STAMPA - Francesca Paci : " Siria, i ribelli contro i loro leader politici "


Francesca Paci

Di cosa parliamo quando parliamo di opposizione siriana a due anni dalla rivolta contro il regime? La domanda, spesso strumentalmente posta in occidente per dissimulare la propria scarsa voglia di coinvolgimento, è rinvigorita dal duro attacco dei ribelli armati alla Coalizione, il principale cartello dei dissidenti dominato dai Fratelli Musulmani e vicino a Doha che da 8 giorni cerca faticosamente a Istanbul l’accordo sulla conferenza di pace «Ginevra 2» (alla fine decidono di partecipare a patto che la comunità internazionale fissi una data certa per l’uscita di scena di Assad).

«Abbiamo atteso per mesi che la Coalizione facesse mosse concrete, non è stata all’altezza di rappresentare la rivoluzione» scrivono combattenti e attivisti riuniti sotto la sigla del Movimento rivoluzionario, un blocco non islamista. L’indice è puntato soprattutto sul «tentativo di aumentare il numero di membri per aggiungere persone che non hanno impatto reale sulla rivoluzione». Loro, in virtù del proprio stare in trincea, vorrebbero metà dei seggi della Coalizione.

Le divisioni del fronte anti Damasco riflettono le rivalità delle potenze sunnite sullo sfondo, Qatar più Turchia vs Arabia Saudita con la Giordania in panchina. Ma raccontano anche la dimensione regionale (e extra) della crisi siriana degenerata in una guerra di tutti contro tutti in cui i sunniti si oppongono agli sciiti (Iran, i libanesi di Hezbollah e la minoranza al governo in Iraq), il neo protagonismo del Cremlino agli Stati Uniti sempre meno affezionati al Medioriente e a un’Europa confusa, al Qaeda all’islam politico, la pancia musulmana a Israele dichiaratamente pronto a sporcarsi le mani per impedire che i missili S-300 russi finiscano al nemico Hezbollah (dopo la fine dell’embargo Ue alle armi siriane Mosca è risoluta a rifornire Assad).

«La Siria si sta disintegrando sotto i nostri occhi» dice il ministro degli esteri iraniano Salehi all’apertura del contro-vertice di Teheran, omettendo il proprio ruolo (ci sarebbero anche gli iraniani con i 3, 4mila Hezbollah che si battono con i lealisti). L’immagine calza: con oltre 90 mila morti, 1,5 milione di profughi, 5 milioni di sfollati interni e il sospetto dell’uso di armi chimiche confermato anche da Londra, il pacifico sogno democratico che nel 2011 spinse migliaia di giovani a sfidare il regime alawita pare distante secoli.

Secondo la Casa Bianca, che studia l’ipotesi di una no fly zone sul modello libico, Damasco controlla sempre meno il territorio. Intanto però i governativi non mollano l’assedio alla città strategica di Qusayr, tra il confine libanese e Homs, dove ieri sono state inviate le truppe d’élite.

Si muore in Siria, sulla frontiera irachena, in Libano, la Giordania vacilla sotto il peso dei rifugiati, la mischia confonde le parti: da un lato c’è Assad, dall’altro è difficile a dirsi.

Il FOGLIO - Paola Peduzzi : " Dov’è finito il siriano dagli occhi blu che ispira il jihad fai da te? "


Paola Peduzzi          Abu Musab al Suri

Roma. Abu Musab al Suri ha i capelli e la barba rossi, gli occhi azzurri, in una delle poche foto che circolano di lui (senza data) ha i jeans, una camicia di jeans e un gilet di pelle. E’ siriano, è nato ad Aleppo, ha combattuto contro gli Assad a Hama, nel 1982, è scappato in Europa, ha sposato una ragazza spagnola di cui è sempre stato innamoratissimo, l’ha convertita all’islam e se l’è portata in giro in tutte le sue missioni. Abu Musab al Suri è “il più pericoloso terrorista di cui non avete mai sentito parlare”, come lo definì anni fa la Cnn: è considerato il teorico del terrorismo dei “lupi solitari”, che di solitario hanno poco come scopriamo tutti i giorni, come i ragazzi che hanno decapitato un soldato inglese in mezzo a una strada di Woolwich, Londra. Prima dell’11 settembre, al Suri era un “facilitatore”, lo riconoscevano tutti con quella barba rossa e lunga quando invitava i giornalisti stranieri a incontrare Osama bin Laden in Afghanistan. Ma la sua fama da “intellettuale realista” la deve a un libro pubblicato sul Web nel 2005, milleseicento pagine per “A Call to a Global Islamic Resistance”, il manifesto per il jihad fai da te, “una campagna indefessa di atti esemplari di violenza sotto lo stesso cappello ideologico, che culmini con l’utilizzo delle armi di distruzione di massa”, come lo ha riassunto il Wall Street Journal. Naturalmente al Suri non si è tirato indietro nemmeno quando c’era da organizzare un grande evento terroristico – Madrid, Londra – o aiutare al Qaida in Iraq, ma si è scontrato contro lo stesso Bin Laden, che amava le prove di forza spettacolari, quando per al Suri è importante la mobilitazione, l’attacco permanente, meno Hollywood ma più paura, più quantità che qualità. Ma la storia di al Suri è ancora più importante per noi perché nel 2005 eravamo riusciti a catturarlo, questo grande teologo. Aveva una taglia da 5 milioni di dollari sulla testa, i pachistani lo presero, lo diedero alla Cia che lo tenne per sei mesi nelle sue prigioni (c’è qualcuno che sostiene che fu trattato benissimo: ci crediamo poco) e infine lo consegnò alla Siria, a Bashar el Assad. Come ha raccontato Christopher Dickey sul Daily Beast, allora Washington voleva creare un rapporto con Damasco e nonostante dalla Siria transitassero i combattenti di al Qaida diretti in Iraq, si sapeva che Assad non amava i qaidisti. Così al Suri fu consegnato a Damasco in cambio di una collaborazione con i servizi siriani sul campo per cercare di governare quell’Iraq che allora non aveva ancora goduto del trattamento Petraeus. La primavera siriana ha fatto saltare quella collaborazione – non è che fosse saldissima – e nel gennaio del 2012, quando già si era capito che Assad non è un dittatore illuminato, al Suri e uno dei suoi collaboratori più stretti sono stati rilasciati: non si sa perché. Per trovare una spiegazione non basta Le Carré, dice Dickey, che si lancia in una ricostruzione a cavallo tra il romanzo e il complottismo (la faccenda si presta). Un uomo che per sette anni è stato nelle prigioni pachistane, della Cia e siriane non può essere uscito uguale a com’era, devono averlo programmato per fare la spia, devono averlo convinto che il jihad fosse una causa sacrificabile e per questo l’hanno lasciato andare. Un uomo che per così tanto tempo è stato con gli occidentali non può essere credibile, dicono alcuni, pure se è al Suri, “l’architetto del jihad globale” come è stato definito in una biografia a lui dedicata. Ma è anche facile pensare il contrario, che uno della tempra di questo intellettuale sia un sopravvissuto, un mito, uno che ha in curriculum anche tutti quegli anni di prigione, e poi la libertà. Rilasciandolo, Assad ha voluto dire agli americani che, se mai c’è stata, la collaborazione era finita. Ma pure se tanto miopi, questo gli americani l’avevano capito da soli.

La REPUBBLICA - Vincenzo Nigro : " Subito il vertice sulla Siria e anche l'Iran deve partecipare  "


Emma Bonino

Nel corso dell'intervista, Vincenzo Nigro chiede al Ministro Bonino un commento sui negoziati fra Israele e palestinesi.
Bonino appoggia l'amministrazione Obama e dichiara : "
L'Europa appoggi fino in fondo, non faccia obiezioni, faccia pressioni su entrambi. Israele in particolare, ma tutti e due dovranno fare concessioni: se l'Europa ha un ruolo è quello di farlo capire alle parti ". Per quale motivo l'Europa dovrebbe fare maggiori pressioni su Israele ?
Non è lo Stato ebraico a mandare a monte i negoziati, ma i palestinesi con le loro precondizioni inaccettabili. E' impossibile pensare di mettere come precondizione quello che dovrebbe essere l'oggetto dei negoziati stessi.
Ecco l'intervista:

ROMA — «Si è vero, sul terreno molti vedono che il regime di Assadstaresistendo, e molti credono che la decisione europea di sospendere l'embargo sia un segnale a chi sostiene Assad (la Russia e non solo), per spiegare che l'Europa non abbandona i ribelli. Possiamo fare mille analisi sull'equilibrio militare, ma una cosa è certa: non c'è una soluzione militare alla crisi in Siria, e anzi il rischio della deflagrazione militare è laprima cosa che dobbiamo evitare. L'impegno di Kerry e Lavrov per una conferenza di pace "Ginevra2" va sostenuto in ogni modo: l'Europa questo deve fare. E devo dire che un'opera di mediazione senza uno dei protagonisti regionali, l'Iran, sarebbe difficile da avviare perfino perle Nazioni Unite».
Lunedì scorso, al tavolo del suo primo Consiglio dei ministri degli Esteri Ue, Emma Bonino si è seduta senza nessun timore reverenziale. Conosce l'Europa, conosce la politica estera, ha detto la sua.
«Non viviamo di sogni: chiediamoci cosa vogliamo ottenere da "Ginevra 2" In breve: deve parlare la politica, dobbiamo fermare le armi. Il cammino sarà graduale e difficile, si vuole un governo di transizione, esponenti del regime di Assad devono far parte del processo, ma poi bisogna seguire l'impostazione di"Ginevra 1". Ginevra 2 non deve durare una giornata, deve essere l'inizio di un processo. Dobbiamo avere una visione di questo processo di pace, dobbiamo capire quali passi compiere, con chiarezza. Questo l'Europa deve fare al meglio».
Ministro, sulla gestione della discussione sull'embargo lei ha criticatola gestione del"ministro degli Esteri" Ue ladyAshton.
«Ognuno esercita il suo ruolo col metodo che ritiene, non voglio neanche dare chissà quali lezioni, essendo l'ultima arrivata ed avendo partecipato solo al mio primo Consiglio. Ma visto che la questione dell'embargo era in discussione dal mesi, quando alla fine si arriva a porre sul tavolo non una "proposta", ma varie "opzioni" questo riapre la discussione in maniera totalmente aperta».
Come considera Assad?
«Credo non ci siano dubbi. Di solito per gli Stati, per i governi si parla di "responsabilità di proteggere" i propri cittadini. Qui siamo all'opposto: siamo in una situazione di un regime che dà l'assalto ai propri cittadini ».
Hezbollah ormai rivendica apertamente il suo impegno militare in Siria. La Ue a discute l'inserimento di Hezbollah nella black list dei movimenti terroristi. Cosa farete?
«Su Hezbollah c'è una istruttoria in corso su un attentato commesso in Bulgaria, ho chiesto che l'analisi dei fatti e l'analisi giuridica sia molto consistente, perché al di là delle simpatie o antipatie per qualcuno, una dichiarazione di black list deve avere una base giuridica forte. Altrimenti si tratta di una politicizzazione del caso. E non sfugge a nessuno neppure la fragilità della situazione in Libano: uno spill over c'è già, ci sono conseguenze umanitarie con un peso incredibile: in Libano hanno 1 milione di rifugiati su 5 milioni di abitanti, i giordani ne hanno 500mila. Lo spill over c'è già, dobbiamo limitare il contagio militare».
Altro tema quello delle primavere arabe due anni dopo c'è ancora molta confusione.
«Posso fare un parallelo? Lunedì al Consiglio esteri della Ue c'era un incontro a cena con i paesi della ex Jugoslavia. Vent'anni dopo vedevo seduti allo stesso tavolo il ministro serbo, la ministra croata, quelli dell'Albania e della Macedonia. Io pensavo "ci sono voluti vent'anni". La ricostruzione istituzionale di un paese verso la democrazia non avviene in due giorni o in due anni. Per i paesi del mondo arabo ci vorranno anni, molti anni. Per le "primavere arabe" dobbiamo armarci di determinazione e pazienza, saranno persino possibile dei passi indietro».
Egitto: lei ha vissuto in quel paese, lo conosce. Qualcuno inizia perfino a rimpiangere Mubarak di fronte allo sbandamento di questi mesi nel più importante paese arabo.
«Nei 5 anni che ho vissuto III ho sempre pensato che l'Egitto fosse una enorme pentola a pressione senza valvola di sfogo. Nessuno poteva dire quando, ma per me era chiaro che sarebbe saltato. Oggi l'Egitto è in una fase di delusione: chiedevano più sviluppo economico, più posti di lavoro, più libertà e tutto questo non c'è. C'è delusione, frustrazione, ma avendo messo in piedi un processo istituzionale può darsi che le prossime elezioni portino a risultati diversi ». Israele-Palestina, il negoziato ripartirà?
«Siamo in una fase delicatissima. Dico solo una cosa questa avviata da Kerry, dall'amministrazione Obama, è davvero l'ultima possibilità. Se fallisce lui ne ripartiamo non so quando. E non so se ne riparleremo in termini di politica e diplomazia! Kerry ha assunto un'iniziativa con grande coraggio, noi europei abbiamo la responsabilità di sostenerla, non accetto atteggiamenti da adolescenti, di protagonismo ridimensionato. L'Europa appoggi fino in fondo, non faccia obiezioni, faccia pressioni su entrambi. Israele in particolare, ma tutti e due dovranno fare concessioni: se l'Europa ha un ruolo è quello di farlo capire alle parti».

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