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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa - Il Foglio Rassegna Stampa
29.05.2013 Siria: disaccordo UE sulle armi ai ribelli. Russia continua ad appoggiare Assad
cronache di Marco Zatterin, Paolo Mastrolilli, Mattia Ferraresi

Testata:La Stampa - Il Foglio
Autore: Marco Zatterin - Paolo Mastrolilli - Mattia Ferraresi
Titolo: «Mosca risponde alla Ue: Ecco i missili per Assad - Fucili e cannoni anti-tank da Qatar e Arabia Saudita. Ma gli insorti chiedono di più - McCain in Siria rassicura i disillusi sulla natura dei ribelli»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 29/05/2013, a pag. 13, gli articoli di Marco Zatterin e Paolo Mastrolilli titolati " Mosca risponde alla Ue: Ecco i missili per Assad " e " Fucili e cannoni anti-tank da Qatar e Arabia Saudita. Ma gli insorti chiedono di più ". Dal FOGLIO, a pag. 3, l'articolo di Mattia Ferraresi dal titolo " McCain in Siria rassicura i disillusi sulla natura dei ribelli ".
Ecco i pezzi:

La STAMPA - Marco Zatterin : " Mosca risponde alla Ue: Ecco i missili per Assad "


Marco Zatterin             Bashar al Assad

È una non-decisione che può costare cara. Lunedì notte l’Ue ha fallito l’intesa sul rinnovo dell’embargo - in scadenza l’1 giugno – per le forniture di armi alla Siria e, in pratica, ha stabilito che dal primo agosto chi vorrà potrà approvvigionare gli arsenali degli oppositori del regime di Assad. Soddisfatti inglesi e francesi che, con toni differenti, auspicavano la revoca. Delusi, se non furiosi, gli altri, ora preoccupati per le conseguenze del disaccordo sul tavolo negoziale che Usa e Russia stanno cercando di convocare a Ginevra. Mosca ha già detto che la mossa «può danneggiare direttamente» il processo di rappacificazione, mentre Israele promette reazioni se Putin fornirà missili a Damasco. Il quadro, se possibile, s’è fatto ancora più fosco.

«Non è stata una impresa gloriosa», ha protestato il ministro degli Esteri Emma Bonino: «Sono prevalse rigidità veramente notevoli». «Doveva andare diversamente, siamo un movimento di pace e non di guerra», le ha fatto eco Michael Spindellegger, l’austriaco che s’è battuto con foga perché l’embargo non cadesse. Invece l’hanno spuntata gli inglesi, fautori del lancio di una sorta di ultimatum. «Importante dare ad Assad un segnale per dire che deve negoziare seriamente e che ogni opzione resta sul tavolo se non lo farà», ha tuonato il capo della diplomazia del governo conservatore di David Cameron, William Hague. Facile gioco, il suo. Occorreva l’unanimità, è bastato dire sempre «no».

Le regole dell’Europa a ventisette sono queste, una democrazia a tratti esagerata in cui il diritto di veto è un’arma potenzialmente letale. È scontato prendersela con Cathy Ashton, l’alto responsabile per la politica estera dell’Unione. Inizialmente ha cercato di conservare l’embargo, convinta che non si possa sapere esattamente a chi queste andranno a finire. Poi s’è battuta per una mediazione dimostratasi impossibile. «Presentare solo opzioni e non una proposta su cui lavorare, non aiuta», ha commentato Emma Bonino. Alla fine, però, è l’impianto a fare acqua. Non può girare senza unanimità e allora è tutto detto. Come un ombrello che funziona solo quando c’è il sole.

Il risultato è che i ministri degli Esteri dell’Ue hanno rinnovato l’intero pacchetto di sanzioni - congelamento degli asset di Assad e i suoi, restrizioni sull’export di petrolio, limiti ai movimenti di capitale ma non l’embargo. È vero che Londra giura di non voler vendere armi ai ribelli. Ma anche che il verdetto ha scatenato un effetto domino decisamente pericoloso.

I russi, che a fatica dialogano con gli americani per la conferenza di pace ginevrina, sono contrariati. Affermano che la revoca è «illegittima» e che proseguiranno con le forniture dei missili antiaereo S-330 al regime «per dissuadere alcune teste calde dall’entrare nel conflitto». «Se i missili arriveranno in Siria, sappiamo cosa fare», replicano minacciosi gli israeliani. «Troppo tardi e troppo poco», è il bilancio della Coalizione nazionale degli oppositori a Damasco. Il governo siriano dice: «Togliere l’embargo è un ostacolo alla pace». Gli americani, cauti, non si spingono oltre dal dire di «accogliere positivamente la decisione Ue». Ma sono innervositi dalla volontà dei russi d’invitare gli iraniani sul Lemano. I verdi dell’Europarlamento avvertono che «restano due mesi prima di scivolare nella guerra». Forse esagerano. Forse no.

La STAMPA - Paolo Mastrolilli : " Fucili e cannoni anti-tank da Qatar e Arabia Saudita. Ma gli insorti chiedono di più "


Paolo Mastrolilli    l'emiro del Qatar con il re dell'Arabia Saudita

La rete che rifornisce di armi i ribelli siriani passa per Qatar, Arabia Saudita, Turchia, Giordania, Stati Uniti e persino Croazia. Finora non ha fatto consegne paragonabili alla potenza di fuoco del regime di Assad che, oltre ai propri agenti chimici, può contare sull’appoggio di Russia e Iran. I ribelli però non sono disarmati, e la decisione presa dalla Ue potrebbe avere due sbocchi: convincere Mosca a fermarsi, o aumentare quantità e pericolosità degli aiuti offerti agli oppositori.

Sul piano ufficiale, gli americani e gli altri alleati danno solo assistenza non letale: comunicazioni, intelligence, trasporti di aiuti. In segreto, però, si calcola che il solo Qatar abbia speso circa 3 miliardi di dollari in due anni, per far arrivare ai ribelli almeno 3.500 tonnellate di armi, secondo lo Stockholm International Peace Research Institute. L’emiro Sheikh Hamad bin Khalifa alThani ha preso l’iniziativa perché vuole un ruolo di leadership nella rifondazione del mondo arabo dopo la «primavera», e vuole ostacolare le manovre dell’Iran sciita. Quindi si è mobilitata anche l’Arabia, per il sospetto che il Qatar aiutasse estremisti siriani, mentre Turchia e Giordania hanno dato supporto logistico e politico, per evitare che la crisi di Damasco contagi il loro territorio. Gli Stati Uniti hanno fornito quanto meno assistenza non letale, copertura politica, e intelligence, compreso il «vetting» dei destinatari delle forniture, per evitare che le armi finiscano a gruppi legati ad al Qaeda come al Nusra. Voci sono corse anche sul coinvolgimento di Israele, che in ogni caso non si è opposto alle forniture.

L’operazione più impressionante è quella condotta in Croazia, e rivelata dal giornale «Jutarnji». Sotto il coordinamento americano, l’Arabia Saudita ha acquistato armi rimaste dall’epoca della guerra civile, inclusi lancia missili M79, Rpg 22, lanciagranate Rbg-6. Quindi a partire dal novembre scorso sono decollati almeno 75 voli da Zagabria, che hanno portato le forniture in Giordania per la consegna via terra.

Gli aiuti del Qatar, invece, hanno seguito principalmente la rotta dell’aeroporto turco Esenboga, vicino alla capitale Ankara. Gli atterraggi qui sono cominciati all’inizio del 2012, ma si sono intensificati alla fine dell’anno scorso, con oltre 160 voli anche da Giordania e Arabia. Il primo atterraggio documentato fu quello di due cargo C-130 della Qatar Emiri Air Force, arrivati ad Istanbul il 3 gennaio 2012. Tra l’aprile e l’agosto dell’anno passato il traffico era cresciuto, ma la vera accelerazione è avvenuta da novembre in poi, dopo le presidenziali americane.

I ribelli hanno ricevuto armi da vari fronti, compreso il contrabbando locale dagli Stati vicini, e quindi hanno un arsenale molto vario: fucili belgi, munizioni ucraine, granate svizzere. Il blogger Brown Moses fa da tempo uno studio minuzioso di immagini e video in arrivo dalla Siria, controllando governativi e ribelli. Ha documentato la presenza nelle mani dell’opposizione di missili terra-aria SA-7, lanciarazzi Type 63, sistemi anticarro russi 9K115-2 Metis-M, e mitragliatrici pesanti contraeree ZU-23-2.

I ribelli si sono sempre lamentati del fatto che non ricevono abbastanza armi, e soprattutto della loro potenza. Questo, però, potrebbe cambiare in fretta. Infatti non solo la Ue ha tolto il suo embargo alle forniture, ma una settimana fa la C o m m i s s i o n e Esteri del Senato americano ha approvato la legge presentata dal democratico Robert Menendez e dal repubblicano Bob Corker per autorizzare il governo Usa ad armare direttamente i ribelli.

Il FOGLIO - Mattia Ferraresi : " McCain in Siria rassicura i disillusi sulla natura dei ribelli"


Mattia Ferraresi       John McCain

New York. L’incursione siriana del senatore repubblicano John McCain – la più alta carica americana a entrare nel paese dall’inizio della guerra civile – ha l’effetto di sottolineare alcune distinzioni che dalle parti della Casa Bianca preferiscono non recepire: i ribelli non sono tutti uguali. La resistenza contro il regime di Bashar el Assad non è stata completamente presa in ostaggio dalle filiali di al Qaida, i leader della guerriglia non sono tutti come quel giovane con il turbante di Jabhat al Nusra che all’Economist ha spiegato che Assad “è soltanto una parte della nostra guerra”; il resto, la missione vera, è tutta sharia e califfato, altro che primaverile detronizzazione del tiranno. La photo opportunity con il capo del Free Syrian Army, Salim Idris, e con i ribelli “buoni” incontrati lungo il percorso è un messaggio politico rivolto a Barack Obama, all’indecisione americana diventata ormai da tempo intollerabile, e che trae la sua validità dalla rappresentazione dei ribelli come una compagine islamista travestita da legittimo esercito di liberazione. Il viaggio di Mc- Cain, puramente simbolico e sapientemente illustrato, serve a contraddire il crescente consenso intorno alla natura dei ribelli, e il senatore è penetrato in Siria dal confine turco proprio mentre i ministri degli Esteri dell’Unione europea decidevano – su pressione anglo-francese – di allentare l’embargo sulla Siria per favorire un controllato flusso di armi nel paese. McCain è ormai specializzato nelle visite ai ribelli per mettere pressione sull’Amministrazione. Nel 2011 è stato il primo a volare in Libia per manifestare la solidarietà alla resistenza contro Gheddafi e dal territorio libico ha chiesto a Washington di considerare un attacco di terra contro l’esercito lealista. Poi ha virato su una più realistica no fly zone con attacchi aerei per piegare il dittatore, com’è successo (e in quel caso la pressione anglo-francese che ora a fatica ottiene qualche risultato a Bruxelles è stata determinante). Il senatore che è stato prigioniero di guerra in Vietnam è un falco, certo. E’ un maverick che si è smarcato dalle linee guida della dottrina Bush quando ha sfidato Obama nella corsa alla Casa Bianca, ma la sua lealtà ai principi della Freedom Agenda è stata sempre al di sopra di ogni sospetto. Allo stesso tempo è un conservatore credibile agli occhi degli avversari, uno stagionato tessitore di trame bipartisan guidato più dal buon senso che dall’ideologia: i suoi recenti litigi con l’intransigente Ted Cruz sono stati accolti con favore dai democratici accerchiati da scandali concentrici. Assieme a Lindsey Graham e all’ex senatore indipendente Joe Lieberman ha formato la triade interventista che invoca azioni americane ovunque ci siano truppe irregolari che chiedono la testa del tiranno. In Siria non s’arrischia a chiedere un intervento diretto, basterebbe iniziare armando i ribelli; e per armarli occorre prima dimostrare che ci sono mani affidabili nelle file dei combattenti. “La visita del senatore Mc- Cain in Siria – ha detto Idris – è molto importante e molto utile, soprattutto in questo momento. Abbiamo bisogno dell’aiuto americano per cambiare il corso della guerra: siamo in un momento critico”. La baldanza di McCain spaventa un’Amministrazione che ha sacrificato promesse d’intervento sull’altare della prudenza e che ora è impegnata a organizzare una seconda conferenza di pace che non sembra poter dare più frutti della precedente; allo stesso tempo fa irritare quella parte di conservatori delusa dalla primavera araba e dai suoi effetti collaterali islamisti. Sulla National Review chiamano McCain con ironia non bonaria la “cheerleader” dell’intervento americano, incosciente promotore politico di ribelli con i quali l’America non dovrebbe farsi nemmeno fotografare.

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