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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio - La Stampa Rassegna Stampa
28.05.2013 Siria: Assad usa le armi chimiche, l'Europa ancora spaccata sulle armi ai ribelli
cronache di Daniele Raineri, Marco Zatterin

Testata:Il Foglio - La Stampa
Autore: Daniele Raineri - Marco Zatterin
Titolo: «Assad introduce l’uso tattico delle armi chimiche in Siria - Siria, sulle armi ai ribelli l’Ue vicina alla rottura»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 28/05/2013, a pag. 3, l'articolo di Daniele Raineri dal titolo " Assad introduce l’uso tattico delle armi chimiche in Siria ". Dalla STAMPA, a pag. 16, l'articolo di Marco Zatterin dal titolo " Siria, sulle armi ai ribelli l’Ue vicina alla rottura ".
Ecco i pezzi:

Il FOGLIO - Daniele Raineri : "  Assad introduce l’uso tattico delle armi chimiche in Siria"


Daniele Raineri

Roma. Ieri il Monde ha pubblicato in prima pagina un’inchiesta sugli attacchi chimici del governo siriano nella guerra contro i ribelli. Si tratta di un reportage importante perché è la prima testimonianza diretta da parte di giornalisti occidentali sull’uso di armi chimiche in Siria – l’Amministrazione Obama ha detto che questo comportamento da parte del governo Assad potrebbe essere la causa scatenante di un intervento armato internazionale, anche se appare riluttante a dare seguito a questo ammonimento. Si tratta anche di un pezzo di giornalismo rischioso da realizzare – per farlo il quotidiano francese ha mandato il giornalista Jean-Philippe Rémy e il fotografo Laurent Van der Stockton in clandestinità per due mesi nella zona dei combattimenti attorno e dentro Damasco, che è molto difficile da raggiungere per la maggior parte dei reporter stranieri (a meno che non siano embedded con i soldati del governo). Nemmeno il lunedì scelto per la pubblicazione è un giorno qualunque: ieri l’Unione europea era chiamata a decidere sul rinnovo del divieto comunitario di armare i ribelli. Francia e Gran Bretagna sostengono la necessità di non rinnovare il divieto quando scadrà a fine mese e di aiutare con armi i ribelli, soprattutto se la prossima conferenza di pace di Ginevra fallirà come già accadde l’anno scorso, com’è prevedibile per i tanti disaccordi. Il Monde spiega che l’esercito siriano ha un modo di agire molto accorto e non esegue attacchi chimici spettacolari e su larga scala – come forse immaginava il presidente americano Barack Obama quando parlò di “linea rossa” – ma piuttosto localizzati e di portata ridotta. Per esempio un singolo proiettile di mortaio contenente gas, che colpisce il suolo con un rumore che si perde facilmente nel frastuono della battaglia, come “di un colpo che non è esploso”, oppure “una lattina di Pepsi buttata per terra”. Il gas è inodore e incolore, non c’è fumo, non c’è un fischio di fuoriuscita, ci si accorge della sua presenza “soltanto quando è troppo tardi” e i ribelli colpiti accusano i sintomi: soffocamento, svenimenti, tosse violenta, vomito, occhi arrossati, pupille contratte. “I muscoli della respirazione non funzionano più e se non interveniamo noi – dice al Monde un medico siriano che cura i ribelli e vuole restare anonimo – chi è colpito muore”, come in effetti succede a molte vittime. Questo tipo di attacchi è diventato quasi routine nella zona di Jobar, da dove passa la linea dei combattimenti tra i ribelli che tentanto di entrare nella capitale Damasco e i soldati dell’esercito governativo. L’uso del gas è tattico, è lanciato in punti specifici quando l’esercito vuole fermare i movimenti dei ribelli o sloggiarli da una posizione troppo avanzata. I due reporter sottolineano questo elemento di lenta “normalizzazione” della guerra chimica. I ribelli usano maschere antigas – ma ne hanno poche a disposizione, quindi chi non l’ha si protegge con sciarpe umide o mascherine di carta ospedaliere – e si portano dietro le siringhe di atropina, un antidoto contro le armi chimiche. Anche il fotografo del Monde è rimasto vittima di uno di questi attacchi e per quattro giorni ha sofferto di vista oscurata. Alcuni campioni del gas usato dai soldati di Assad sono stati mandati a laboratori specializzati fuori dalla Siria per essere analizzati: dal solo reportage è quasi impossibile identificare la sostanza, anche perché secondo gli esperti il governo potrebbe aver creato una miscela con gas antisommossa e lacrimogeni per confondere le acque e l’osservazione dei sintomi, anche se il Monde scrive che “non sono lacrimogeni, è un composto di una classe diversa, molto più tossica”. Tre particolari spiccano: almeno in un caso, che i due inviati però non hanno visto direttamente, il gas è stato lanciato da militari che indossavano tute di protezione; i medici delle cliniche clandestine siriane usano iniezioni di atropina; il gas è persistente, nel senso che contamina chi entra in contatto con le vitime e anche alcuni dottori hanno sofferto i sintomi. In particolare, secondo le tabelle delle caratteristiche delle armi chimiche, l’atropina e la persistenza sono compatibili con qualche gas nervino (non per esempio con il sarin che si disperde facilmente). Il Monde si rende conto delle implicazioni della sua inchiesta e la accompagna con un editoriale che tenta di diluirne il contenuto: “Questa non è la prova definitiva dell’uso di armi chimiche”, e anche il ministro della Difesa francese ha commentato con parole caute: “Ci sono sospetti crescenti”, ha detto. Difficile non notare, però, che se ci sono morti causati deliberatamente da armi chimiche allora si può dire che tecnicamente Assad ha cominciato la “Guerre chimique en Syrie”, che è il titolo dell’inchiesta del Monde.

Artiglieria, aerei, missili Scud, gas…

 Questa graduale, progressiva introduzione delle armi chimiche nella lotta tra governo e ribelli in Siria è stata spiegata efficacemente su Foreign Policy da Joseph Holliday, analista dell’intelligence militare americana poi passato a un think tank solitamente rigoroso, l’Institute for the Study of War. Holliday descrive la “mitridatizzazione” dell’opinione pubblica da parte del governo Assad – sul modello di Mitridate, che per paura di morire avvelenato ogni giorno ingeriva una dose piccola, ma sempre crescente, di veleno. In questo modo il suo organismo si abituava. Così avviene con Assad, la comunità internazionale e l’opinione pubblica. Quando Damasco non è più riuscita a sloggiare i ribelli dalle loro posizioni con i soldati, ha impiegato l’artiglieria; quando ha compreso di non riuscire a coprire tutto il territorio nazionale con i soldati, ha cominciato a usare anche l’aviazione e i bombardamenti; quando i ribelli hanno usato armi antiaeree e hanno attaccato le piste, ha cominciato a lanciare i missili balistici. Ogni passaggio di questa escalation è stato eseguito prima in forma esplorativa e poi – grazie al silenzio assenso occidentale – e poi senza più alcun freno. Il regime, scrive Holliday, si è specializzato nell’incrementare la repressione senza far scattare l’intervento internazionale “e a ogni gradino la retorica vuota di Washington – ‘condanniamo con forza’ – ha convalidato questo approccio”. L’editoriale del Monde chiede anche se è davvero così difficile per le intelligence occidentali confermare o smentire gli attacchi di Assad con le armi chimiche, considerato il lavoro sul campo dei suoi due reporter non specializzati. Anche il senatore americano John McCain è entrato in Siria – ne ha dato notizia ieri il suo ufficio – per incontrare i ribelli, che gli hanno domandato armi e l’imposizione di una no fly zone. Prima di lui era già entrato assieme ai ribelli l’ex ambasciatore americano a Damasco, Robert Ford.

La STAMPA - Marco Zatterin : " Siria, sulle armi ai ribelli l’Ue vicina alla rottura"


Marco Zatterin

La crisi siriana mette a nudo tutti i problemi della diplomazia di casa Ue. I britannici, sostenuti dai francesi, vogliono una decisione immediata che ponga fine all’embargo sulle armi ai ribelli, da applicarsi automaticamente qualora la possibile conferenza di pace a Ginevra dovesse fallire. Gli altri sono pronti all’allentamento del regime sanzionatorio, ma solo a patto che si voti ancora una volta all’unanimità se non si arrivasse a una soluzione del conflitto. A Londra questo non sta bene, cerca una risposta che somigli a un ultimatum per Assad. Così, nella tarda serata di ieri e dopo nove ore di confronto, i ministri degli Esteri dell’Unione inseguivano ancora un’intesa. Divisi, e a un passo da un pericolosissima rottura.

Non è una prova facile per l’Unione, oltretutto il quadro è tutto meno che favorevole. Dalla riunione di Istanbul della Coalizione nazionale siriana, considerata la principale componente dell’opposizione a Damasco, «non arrivano segnali confortanti», nota il ministro degli esteri Emma Bonino. L’incontro doveva preparare la posizione per la conferenza di Ginevra auspicata da Usa e Russia per cucire una soluzione politica. Non alleggeriscono le tensioni le notizie sull’uso di armi non convenzionali da parte delle truppe del regime. Ieri le ha riportate «Le Monde», come aveva già fatto la Bbc giorni fa. Per contro, fonti Onu indicano che anche i ribelli avrebbero fatto ricorso ai gas.

L’Europa deve evitare di arrivare scoperta a giovedì, quando scadono le sanzioni siriane. Ci ha provato con tre opzioni: rinnovo del pacchetto in vigore sino al primo agosto in attesa della conferenza di Ginevra; proroga con piena apertura alla vendita di armi ai ribelli; conferma dell’embargo temporaneo con l’eccezione delle armi non letali, ovvero mezzi e tecnologie.

Inglesi e francesi chiedevano l’opzione due. Germania e Italia si sono schierate in posizione mediana, mentre austriaci, cechi, finlandesi, olandesi e svedesi erano per l’embargo pieno. Si è passati a valutare la terza strada, ampliata, ma la mediazione ha richiesto tempo. Mentre Il senatore John McCain, candidato alla casa Bianca nel 2008, ha fatto una visita a sorpresa in Siria per incontrare i ribelli, ieri sera il ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, s’è misurato a Parigi con gli omologhi russo, Sergei Lavrov, e statunitense, Kerry. Si è parlato di Ginevra, una conferenza che sta a cuore all’Italia. «Il problema non è embargo si o no - ha riassunto il ministro Bonino - ma se si arriva un negoziato con una posizione europea univoca. Bisogna evitare che fra le vittime della guerra siriano ci sia anche l’Ue».

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