Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 27/05/2013, a pag. 16, l'articolo di Aldo Baquis dal titolo " Beirut, razzi sugli Hezbollah si allarga il contagio siriano ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 14, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " In campo 40 Paesi: la guerra degli stranieri per Damasco ".
Ecco i pezzi:
La STAMPA - Aldo Baquis : " Beirut, razzi sugli Hezbollah si allarga il contagio siriano "

Hassan Nasrallah con Bashar al Assad
Beirut: sono le 6 e 30 di mattina quando due razzi Grad esplodono nei rioni Mar Michael e Shiya, facendo raggelare il sangue nelle vene della popolazione in prevalenza sciita e sostenitrice degli Hezbollah. Appena la sera prima, dal proprio bunker, il suo leader Hassan Nasrallah aveva pronunciato un lungo discorso giustificando l’intervento sempre più consistente degli Hezbollah in Siria al fianco dell’esercito di Bashar al-Assad.
Quei razzi - che hanno provocato il ferimento di quattro persone e danni materiali considerevoli - erano dunque da interpretare come un messaggio politico. Ma ieri nessuno in Libano ne ha rivendicata la paternità. L’esercito libanese ha scoperto che erano stati sparati da un’altura situata 13 chilometri a sud-est della capitale.
Nei vertici politici la preoccupazione che la guerra civile siriana possa sconfinare e travolgere con sé anche il Libano è palpabile. Il presidente Michel Suleiman ha denunciato «quei sabotatori che non vogliono vedere la pace e la stabilità nel Libano». «Stiamo vivendo una fase critica e pericolosa. Occorre che tutti mostrino saggezza» ha aggiunto, riferendosi implicitamente anche ai combattimenti in corso da giorni a Tripoli (nel Nord del Libano) fra miliziani alawiti filo-Assad e gruppi radicali sunniti. In una settimana si sono avuti 31 morti e 200 feriti.
A esacerbare le passioni politiche in Libano vi è il ruolo crescente degli Hezbollah in Siria. In passato Nasrallah aveva spiegato che occorreva difendere una dozzina di villaggi sciiti in Siria e un santuario a Damasco. Sabato ha aggiunto una terza considerazione: la necessità impellente per la «Resistenza» (ossia per gli Hezbollah) di difendere le proprie retrovie, cioè la Siria. Perché la caduta di Assad significherebbe, a suo parere, un colpo micidiale sia per gli sciiti libanesi, sia per la Palestina.
Un richiamo alla «resistenza della Palestina», che arriva mentre da Amman, in Giordania, il segretario di Stato Usa John Kerry, ha rilanciato l’idea un «Piano Marshall» per i palestinesi, da finanziare con 4 miliardi di dollari, per portare sviluppo e disinnescare le guerre regionali.
Ma in Libano si celebrano i funerali dei miliziani Hezbollah caduti in Siria: almeno 200-300. Le forze di Nasrallah sono ora impegnate in una battaglia per espugnare la città di Al Qusayr che domina un’arteria di collegamento fra Siria e Libano di importanza vitale. Al loro fianco hanno l’esercito regolare siriano. Di fronte, milizie sunnite variegate. Oltre ad Al Qusayr, altri combattimenti infuriano nella vicina Homs; ad Aleppo, nel Nord; e a Damasco e a Dara, nel Sud. Ieri si è appreso che in Siria, contro Assad, sono ora accorsi anche combattenti dalla Cecenia e dal Daghestan. La Siria si sta sgretolando, e il Libano rischia adesso di essere trascinato a forza nello stesso baratro.
CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " In campo 40 Paesi: la guerra degli stranieri per Damasco "

WASHINGTON — In Siria si combattono molte guerre. I ribelli contro il regime. I musulmani sunniti contro gli sciiti. Le potenze regionali in lotta tra loro. Lo scontro tra componenti etniche diverse, dalla caccia ai cristiani che hanno a cuore Assad ai curdi che sognano la loro entità autonoma.
Un conflitto complesso dove sono rappresentate decine di nazionalità. Vicine e lontane. L'aspetto più evidente è quello dei «volontari». Al fianco degli insorti sono arrivati militanti da quasi tutti i Paesi dell'Unione Europea. Gli ultimi rapporti sostengono che sarebbero circa 800, con un buon numero di francesi. Ci sono poi jihadisti kosovari, bosniaci, canadesi, scandinavi e ceceni. Il grosso è però rappresentato dai nordafricani. I tunisini, come raccontano le decine di storie dedicate ai martiri. I libici che ricambiano il favore, i salafiti egiziani. Poi quelli libanesi che identificano la Siria come il nemico storico. Una lista piuttosto lunga, che viene enfatizzata da quanti temono, un giorno, il rientro in patria di tanti islamisti. Paure alimentate dalla presenza delle formazioni estremiste (come Al Nusra) e dall'azione nell'Est dello Stato Islamico dell'Iraq, sigla usata da Al Qaeda.
Molti membri della «legione straniera» raggiungono la Siria usando le linee di rifornimento create dai governi arabi alleati della ribellione. Il Qatar — che pompa denaro alle brigate vicine ai Fratelli musulmani —, l'Arabia Saudita che finanzia i suoi gruppi, così come la Turchia e, in misura minore, la Giordania. Stati usati dagli occidentali per aiutare gli insorti. Gli Usa, preoccupati di scottarsi, si servono dei regimi amici, stessa cosa fanno Francia e Gran Bretagna, più decise nel chiedere spedizioni massicce di armi. Frenano tutti gli altri partner europei.
Sulla barricata opposta non stanno a guardare. Russia, Iran e Iraq mandano munizioni, mezzi, petrolio e consiglieri per puntellare Assad. Una presenza defilata quanto attiva. Il lavoro sporco lo lasciano agli Hezbollah libanesi e ai loro «fratelli» iracheni. Diverse migliaia di miliziani sciiti hanno permesso ad Assad di riconquistare posizioni. È storia di queste ore. Bagdad, che a sua volta è impegnata contro i qaedisti, ha trovato risorse per favorire il passaggio dei pellegrini-guerrieri che dovrebbero difendere i santuari sciiti in Siria.
Nel mezzo c'è Israele. Colpisce l'Hezbollah, considerato l'avversario più organizzato, vede con favore un Assad indebolito, ma è preoccupato dal peso della componente più radicale della ribellione. Aspettano anche i curdi siriani del Pyd. Ora sparano sui soldati, ora si scontrano con gli insorti, ora stanno a guardare. Sperando alla fine di guadagnarci. Prova di come le tante guerre di Siria aprano opportunità, ma anche sviluppi non sempre prevedibili. Nulla di strano, questa è la regola in Medio Oriente.
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