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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Repubblica - La Stampa - Corriere della Sera Rassegna Stampa
23.05.2013 Londra: terrorista islamico decapita soldato inglese al grido di 'Allah Akbar'
cronaca di Enrico Franceschini, commenti di Maurizio Molinari, Francesca Paci, Guido Olimpio

Testata:La Repubblica - La Stampa - Corriere della Sera
Autore: Enrico Franceschini - Maurizio Molinari - Francesca Paci - Guido Olimpio
Titolo: «Soldato decapitato col machete, orrore a Londra. Catturati i killer 'Attentato di matrice islamica' - La jihad corpo a corpo - Nigeriani e maliani i più 'arrabbiati' contro gli inglesi - Quei kit dell'orrore presi nella cucina di casa»

Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 23/05/2013, a pag. 14, l'articolo di Enrico Franceschini dal titolo " Soldato decapitato col machete, orrore a Londra. Catturati i killer 'Attentato di matrice islamica' ". Dalla STAMPA, a pag. 33, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " La jihad corpo a corpo ", a pag. 13, l'articolo di Francesca Paci dal titolo " Nigeriani e maliani i più 'arrabbiati' contro gli inglesi  ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 17, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " Quei kit dell'orrore presi nella cucina di casa ".

Sullo stesso argomento, invitiamo a leggere il commento di Mordechai Kedar, pubblicato in altra pagina della rassegna:
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=&sez=320&id=49272
Ecco i pezzi:

La REPUBBLICA - Enrico Franceschini : " Soldato decapitato col machete, orrore a Londra. Catturati i killer 'Attentato di matrice islamica' "


Enrico Franceschini       il terrorista dopo l'attentato

LONDRA - Il meridiano zero, quello che passa da Greenwich, non è lontano. Un giovane di vent’anni torna verso le Royal Artillery Barracks, la caserma dell’artiglieria, dove presta servizio come soldato semplice. È in borghese, ma a parte il taglio di capelli e i muscoli, sulla maglietta ha una frase che lo identifica, “Help for Heroes”, Aiutiamo gli eroi, sottinteso dell’Afghanistan, dove sono ancora impegnate le truppe britanniche. Chissà se i due attentatori lo conoscono già, o se lo hanno scelto a caso, fra i militari che frequentano la zona. I due hanno la pelle nera, uno ha un berretto in testa, tengono in mano coltelli, machete e una pistola. Gridano “Allah Akbar”, Allah è grande, e vanno all’attacco. Non c’è scampo per la vittima, in un attimo gli sono addosso, poi trascinano il corpo in mezzo alla strada, lasciando una striscia di sangue sull’asfalto e accanendosi sulle sue spoglie. «Ma che fanno, vogliono tirargli fuori le budella», mormora un testimone sul marciapiede opposto. Quando danno l’impressione di provare a decapitarlo, cercando di segargli letteralmente la testa via dal collo, la folla che si è raccolta un po’ più in là si fa sotto inorridita, qualche donna urla disperata, «smettete, pietà, lasciatelo». E’ già morto da un pezzo. Ma le grida servono a qualcosa. Lo lasciano lì, smettono almeno di infierire. E’ una scena irreale quella che prosegue alla periferia sud-orientale di Londra, una delle tante zone multietniche che contraddistinguono la metropoli. I due assalitori non scappano, non cercano di mettersi in salvo. La gente, però, nemmeno. L’orrore è più forte della paura. Uno dei due assassini fa cenno all’autista di un bus di fotografarlo. Qualcuno tira fuori il telefonino, li filma. Allora quello con il berretto si fa avanti, come un attore, le mani lorde di sangue, il machete ancora in pugno. «Giuriamo in nome del sommo Allah che non smetteremo mai di combattervi», dice. «L’unica ragione del nostro gesto è che ci sono musulmani che muoiono ogni giorno. Questo soldato britannico è occhio per occhio, dente per dente. Chiedo scusa alle donne che devono assistere a questo, ma nella nostra terra le donne vi assistono tutti i giorni. Non sarete mai al sicuro. Rimuovete dal potere i vostri politici! A loro non importa niente di voi». Mentre parla, alle sue spalle passa una donna con una carrozzina. Un’altra, senza paura, si avvicina e copre con una coperta il ragazzo che giace al suolo. Come un film. Ma non è un film. E non è finito. Arriva la polizia. I due non filano neanche adesso. Anzi, fanno gesti minacciosi agli agenti. Uno ha una pistola, i poliziotti non vogliono correre rischi, sparano, e i due killer vanno giù come birilli. Li portano in ospedale, uno in elicottero, il più grave, che adesso versa in gravi condizioni, l’altro in ambulanza. E a quel punto fioccano le dichiarazioni, si comincia a capire qualcosa. Terrorismo, è il messaggio che filtra subito dal ministro degli Interni Theresa May, che infatti convoca il comitato Cobra a Downing street, l’organismo per le situazioni d’emergenza di cui fanno parte i capi delle forze armate e dei servizi segreti. «Un attacco barbaro e raccapricciante », afferma il capo dell’-MI5, responsabile dell’antiterrorismo. «Un omicidio terrificante», dirà più tardi il primo ministro David Cameron da Parigi, dopo un colloquio con il presidente Hollande, per rientrare subito a Londra dove questa mattina dirigerà una seconda riunione del Cobra. E’ il primo attentato terroristico su suolo britannico dal luglio 2005, quando quattro kamikaze islamici si fecero saltare nel metrò di Londra, facendo 60 morti e 500 feriti. Anche quelli di ieri erano islamici, lo hanno detto loro stessi. E anche questi erano kamikaze, pronti a morire. C’erano state avvisaglie, nel 2007, quando diversi uomini furono arrestati a Birmingham con l’accusa di progettare di rapire e decapitare un soldato inglese. Ma questa volta ci sono riusciti. Sembra un’operazione spontanea, un tipo di terrorismo “fatto in casa” che non ha bisogno di prendere ordini dalle centrali di al Qaeda in Pakistan, e che anche per questo fa ancora più paura, perché è difficile, se non impossibile, prevederlo. Come alla maratona di Boston un mese fa, bastano due giovani a seminare il panico in una grande città. E con il summit del G8 in programma fra meno di un mese vicino a Belfast, il Regno Unito è scosso da un brivido. La paura dell’ignoto. Un volto qualsiasi in mezzo a una folla, una mano che alza un machete e attacca il primo che passa.

La STAMPA - Maurizio Molinari : " La jihad corpo a corpo "


Maurizio Molinari

La macellazione di un soldato britannico in una strada di Londra segna il debutto in Occidente della Jihad come arma personale. Gli autori sono due jihadisti anonimi che hanno messo in atto una versione di attentato ridotta ai minimi termini: hanno preso un coltello e un’ascia, catturato la vittima in mezzo alla strada, l’hanno macellata e hanno rivendicato l’atto in nome della loro versione dell’Islam davanti al primo smartphone di passaggio, mettendo in bella mostra le mani insanguinate. La novità sta nel trovarsi di fronte ad una mutazione del terrorismo destinata a mettere a dura prova la sicurezza collettiva. Se l’11 settembre fu un atto di guerra contro l’America messo a segno da Al Qaeda con un’operazione sofisticata, le sanguinose campagne di decapitazioni di Abu Musaq Al Zarqawi in Iraq assomigliarono ad una guerriglia e gli attentati degli ultimi anni sono stati realizzati da gruppi jihadisti sempre più ristretti fino al debutto dei «lupi solitari», dagli attacchi falliti in Brianza nel 2008 a quello riuscito in aprile alla maratona di Boston, adesso si passa alla pura e semplice aggressione personale. La Jihad diventa un corpo a corpo con il passante casuale, ispirandosi ad un’ideologia di odio assoluto verso i non musulmani che Osama Bin Laden ha esaltato nel manifesto del 1998 «Contro gli ebrei e i crociati» e i suoi eredi diffondono attraverso il web, trasformandolo in un messaggio globale.

Per la prevenzione anti-terrorismo si tratta della sfida più temibile e pericolosa perché è un duello con l’ideologia del terrore allo stadio puro: ogni persona che passa per strada può essere un terrorista o può diventare una vittima. Imponenti sistemi di sorveglianza interna, eserciti tradizionali e droni hi-tech ad alta quota servono a poco se singoli jihadisti aggrediscono a caso i passanti nelle strade di Parigi, Roma o Filadelfia. Più la minaccia si parcellizza più la linea estrema di difesa collettiva diventano i cittadini stessi, chiamati alla duplice necessità di dimostrare resistenza emotiva al pericolo e di mettere in atto una collaborazione senza precedenti con le forze di sicurezza. E’ difficile, ma non impossibile: la massiccia e spontanea cooperazione con le forze di sicurezza dimostrata dai cittadini di Boston durante la caccia agli attentatori ceceni, la «resilience» dei londinesi dopo gli attentati del 7 luglio 2005 e la collaborazione degli imam di New York nell’identificare gli elementi estremisti nelle moschee sono esempi che lo dimostrano. Se la scommessa dei jihadisti è di terrorizzare le singole persone compiendo le gesta più efferate, la risposta è nelle mani di ognuno di noi: non cedere al panico, tenere i nervi a posto e mettere in atto raccomandazioni simili a quelle che campeggiano sui cartelli della metro di New York: «Se vedi qualcosa, fai qualcosa» consentendo all’agente più vicino di intervenire rapidamente.

La STAMPA - Francesca Paci : " Nigeriani e maliani i più 'arrabbiati' contro gli inglesi "


Francesca Paci

«Voi, gente, non sarete mai al sicuro». Le poche parole che il presunto killer di Londra rivolge alla telecamera e a un immaginario pubblico anglosassone sono le stesse che i gruppi islamisti radicali attivi in nordafrica ma soprattutto nel Subsahara ripetono sempre più frequentemente all’indirizzo di Gran Bretagna, Francia, Usa. Che si tratti di singole moschee, come nel caso delle proteste di un mese fa a Lagos contro l’«hijabofobia» imposta dalla globalizzazione, o di sigle jihadiste tipo Boko Haram, i feroci taleban nigeriani, l’obiettivo è il medesimo occidente reo di una versione aggiornata del vecchio imperialismo, quello culturale.

«Lo scontro tra Occidente e Oriente si giocherà in terra d’Africa» sentenziava lo storico israeliano Benny Morris analizzando il referendum del 2011 per l’indipendenza del sud Sudan.

Negli ultimi due anni il fondamentalismo islamico ha fatto breccia in Africa. La fascia sahelo-sudanese, storicamente instabile per gli effetti della desertificazione sui nomadi e i per i conflitti tra musulmani e cristiani, si è riempita di gruppi jihadisti che non necessariamente aderiscono al network di Al Qaeda ma ne condividono mezzi e obiettivi, dall’ambizione alla sharia all’odio per Usa e alleati.

A nome di chi gridava vendetta il presunto killer di Londra? Gli interventi occidentali in Libia e Mali (entrambi messi in conto alla Gran Bretagna oltre che alla Francia) hanno moltiplicato la lista degli «arrabbiati» unendo sia pur solo tatticamente l’insoddisfazione delle popolazioni rimaste al margine dello sviluppo ai sogni di sangue nel nome di Allah . In testa ci sono i macellai di Boko Haram, responsabili della vera e propria persecuzione dei cristiani della Nigeria settentrionale. Ci sono gli ortodossi di Al-Qaeda nel Maghreb Islamico, interessati a rovesciare il governo algerino ma nel frattempo attivissimi in Ciad e in Mali grazie anche all’instabilità delle frontiere libiche. Ci sono infine mille piccole iniziative fai-da-te come quella dell’aspirante kamikaze Umar Farouk Abdulmutallab, pronto a farsi saltare sul volo AmsterdamDetroit nel 2010, che come a Londra pretendono di vendicare qualcuno, qualcosa, da qualche parte in occidente.

CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " Quei kit dell'orrore presi nella cucina di casa "


Guido Olimpio

WASHINGTON — Una volta i terroristi avevano bisogno dell'armiere. Colui che gli procurava il Kalashnikov, le munizioni, magari l'esplosivo. Operazione logistica complicata che li esponeva a dei rischi.
Oggi, invece, vanno in cucina. Se sono in gamba mescolano ingredienti vari — dall'acetone allo zucchero passando per il fertilizzante — e mettono a punto una bomba. Così fecero gli attentatori di Londra nel 2005 costruendo gli ordigni nei lavelli. Tutti casa e Jihad. Se sono scarsi e l'unica cosa che posseggono è l'odio aprono il cassetto della credenza, pescano un coltellaccio, partono per la missione omicida. Poi salgono sulla loro vettura, pronti a usarla come un ariete per falciare persone a una fermata del bus o il loro bersaglio che sta attraversando in quel momento. Un terrorismo fai-da-te che costa zero a chi lo anima, ma può avere effetti devastanti perché porta la paura in qualsiasi città.
L'agguato al soldato britannico, anche se mancano ancora molti elementi, è la sintesi assoluta di un jihadismo individuale che però punta ad avere risultati tanto macabri quanto «spettacolari». Ideologi piccoli e grandi del movimento qaedista (prendete questo termine in modo molto generico) hanno suggerito da anni di colpire con quello che si trova. Fosse anche dell'olio buttato sul manto stradale nel tentativo di provocare un incidente. Un esempio non scelto a caso, bensì spiegato su Inspire, la rivista degli affiliati a Osama in Yemen. Anche l'uso della vettura come arma non è nuova. Gruppi radicali palestinesi l'hanno impiegata in Israele e quando pensavano fosse troppo poco sono ricorsi alle ruspe. Tanto gli obiettivi — questo è un vantaggio per gli autori — sono sempre «morbidi», indifesi e mentalmente non preparati a tramutarsi in bersagli.
La dinamica, poi, ricorda la ferocia dei militanti di Al Zarkawi che decapitavano gli ostaggi filmandone l'esecuzione brutale. Il video non è solo prova dell'attacco, ma diventa anche strumento di propaganda. Un filmato visto e rivisto. Le immagini da film dell'orrore del killer con le mani insanguinate sono usate come modello da altri. Per caricarsi mentalmente o imitarlo in futuro. Considerazioni che valgono anche per il messaggio mediatico all'insegna del «voi dovete soffrire come noi». Un concetto gridato da Bin Laden e da Al Zawahiri dai loro pulpiti virtuali sul web, poi rilanciato dai «maestri» che li hanno seguiti e bevuto dai militanti auto-indottrinatisi sulla Rete. I terroristi di Boston hanno spiegato la strage «come una risposta alle guerre in Iraq e Afghanistan». Il criminale di Londra era più o meno sulla stessa linea: «Non sarete mai al sicuro». Nella logica jihadista questi sono atti di difesa e non di attacco. Tagliano le teste, però non ci stanno a essere chiamati barbari. Un po' come i narcos messicani che compiono nefandezze orribili però le presentano come azioni contro «ladri e stupratori». Quanto avvenuto a Londra o in modo più sofisticato a Tolosa con i raid di Mohamed Merah inquietano perché sono come delle bombe a orologeria nascoste. Nessuno può sapere dove sono oppure immaginare quando esploderanno. A volte esistono dei segnali premonitori — come a Tolosa e a Boston — che diventano però convincenti soltanto «dopo» l'attacco. La minaccia arriva sotto il radar, nessuno è in grado di sapere quale volto abbia. Dobbiamo abituarci, purtroppo, a episodi come quello di Londra. Ormai sono una tendenza. E, quando l'assassino afferma che «non smetteremo mai di attaccarvi», dice la verità. Immagina che vi siano altre reclute pronte a ripetere i gesti di violenza.
Il guaio è che la minaccia talvolta non ha nulla a che vedere con la politica. Lo sparatore folle, l'uomo che fa saltare un ordigno davanti a una scuola per una vendetta personale, il picconatore di Milano non hanno motivazioni ideologiche però si comportano come i terroristi fai-da-te. Alla fine aumenta il senso di insicurezza, la percezione del pericolo diventa sensibile e fatichiamo a individuare il nemico.

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