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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa - Il Foglio Rassegna Stampa
21.05.2013 Siria: Iran ed Hezbollah in aiuto di Assad
commenti di Francesca Paci, Daniele Raineri, Mattia Ferraresi

Testata:La Stampa - Il Foglio
Autore: Francesca Paci - Daniele Raineri - Mattia Ferraresi
Titolo: «Siria, guerra senza confini. Gli insorti accusano 'Invasi da Iran e Hezbollah' - I ribelli siriani sono un osso duro per l’offensiva di Hezbollah - Così funziona la mano visibile degli Assad sugli hacker siriani»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 21/05/2013, a pag. 13, l'articolo di Francesca Paci dal titolo " Siria, guerra senza confini. Gli insorti accusano 'Invasi da Iran e Hezbollah' ". Dal FOGLIO, a pag. 3, gli articoli di Daniele Raineri e Mattia Ferraresi titolati " I ribelli siriani sono un osso duro per l’offensiva di Hezbollah " e " Così funziona la mano visibile degli Assad sugli hacker siriani".
Ecco i pezzi:

La STAMPA - Francesca Paci : " Siria, guerra senza confini. Gli insorti accusano 'Invasi da Iran e Hezbollah' "


Francesca Paci                        Hezbollah

Possiamo ancora chiamare guerra civile l’infinita crisi siriana che ammonta già ad almeno 80 mila vittime? Il protagonismo dei miliziani sciiti di Hezbollah nella battaglia di Qusayr, in cui ne sarebbero caduti una trentina compreso il venerato comandante Fady al-Jazzar, allarga definitivamente il campo al vicino Libano, dove, di riflesso, 3 persone sono morte ieri a Tripoli nell’ennesimo scontro tra sunniti e alawiti. Ma tutti i paesi della regione sono ormai belligeranti, chi indirettamente, come i filo-ribelli Qatar, Arabia Saudita e Turchia (più una defilata Giordania timorosa anche dei suoi passi), chi in prima linea (Hezbollah accanto a Damasco e, a detta dei ribelli, l’Iran).

«Ci approssimiamo al collasso della Siria e a una catastrofe regionale» ammonisce il ministro degli Esteri britannico William Hague auspicando l’efficacia della conferenza di pace «Ginevra 2». Parole che suonano tardive mentre Damasco annuncia di aver intercettato un veicolo militare israeliano vicino a Qusayr e soprattutto l’Iraq viene travolto da una raffica di attentati contro obiettivi sciiti (85 morti e centinaia di feriti in ventiquattr’ore) da evocare i peggiori scontri interconfessionali del 2006/2007.

Il governo di Baghdad, unico tra le cancellerie arabe a essere guidato dalla minoranza sciita (un tempo oppressa da Saddam), sostiene di volersi mantenere neutrale nella contigua crisi, ma non cela la paura di un post Assad controllato dai cugini siriani di quei sunniti che da mesi manifestano nelle principali città dell’Iraq contro il premier e i suoi ministri. Non a caso l’Iraq accoglie pochissimi profughi siriani (alcune frontiere come al Qaim sono serrate). Di fatto, sebbene giuri il contrario, Baghdad chiude più di un occhio sul passaggio delle armi iraniane dirette a Damasco, un po’ pilatescamente ma un po’ per saldare l’alleanza con Teheran nel Medioriente che pullula di nemici.

«L’Iran è visto ora con ostilità nella maggioranza dei Paesi arabi dove cresce un settarismo assente nelle prime fasi della primavera araba» scrive il sondaggista James Zogby nel volume «Looking at Iran». D’altra parte l’avanguardia del fronte anti-ayatollah, che è rappresentata oggi dall’opposizione siriana, annovera tra le sue fila parecchi fuoriusciti iracheni, saddamisti rivoltisi contro l’ex compagno baathista Assad per fronteggiare il blocco sciita ma anche qaedisti formatisi con al-Zawahri pronti, una volta cacciato il regime, a portare la guerra ben oltre la regione.

«Il vero potenziale pericolo per la seconda amministrazione Obama è la crisi siriana» osserva il vice presidente del Wilson Center di Washington Aaron David Miller. Prova ne sia l’imminente quarta sortita mediorientale del segretario di Stato Kerry che deve barcamenarsi tra il primadonnismo di Mosca, la tentazione israeliana di un nuovo raid contro i depositi di armi di Hezbollah in Siria, le mille anime degli oppositori di Damasco (a Madrid si sono appena riuniti 86 gruppi di dissidenti) e l’attivismo molto interessato del Qatar che ieri ha duramente criticato l’inerzia occidentale di fronte alle vittime di Assad.

La battaglia di Qusayr (condannata dalla Casa Bianca) cambia la prospettiva. Quella siriana non è più solo una feroce guerra civile (ieri sono morte almeno 95 persone tra cui, pare, una donna e 7 bambini durante il bombardamento di Raqqah) né si limita ai confini regionali: a dieci anni dall’inizio del conflitto in Iraq siamo tutti sempre più impelagati in Medioriente.

Il FOGLIO - Daniele Raineri : " I ribelli siriani sono un osso duro per l’offensiva di Hezbollah "


Daniele Raineri

Roma. Hezb as Shaitan, il Partito del diavolo, o Hezbollat, il Partito degli Dei – così i ribelli sunniti chiamano ora il Partito di Dio libanese, colpevole di avere abbandonato la sua ragione d’essere, la “muqawama”, la resistenza contro Israele, per abbracciare la causa del presidente siriano Bashar el Assad (“degli Dei” va considerato come una storpiatura paganeggiante e quindi insultante del nome, considerato che il monoteismo è il primo pilastro dell’islam). Entrare ufficialmente in guerra nella città di Qusayr, alla testa delle truppe del governo siriano, sta costando caro al gruppo armato libanese. Testimoni raccontano del viavai di ambulanze dal confine, degli arrivi di morti e feriti all’ospedale di Dahiye, la zona sud di Beirut sotto il loro controllo, degli appelli per la raccolta del sangue. Tra i venti e i trenta morti, finora – è necessario ricavare i dati indirettamente dai martirologi pubblicati su Facebook, dai funerali e dalle testimonianze, e a questi vanno aggiunti quelli delle settimane passate, una dozzina, quando ancora il ruolo di Hezbollah in Siria non era così esplicito – ma c’era. L’ultimo conteggio preciso per ora è arrivato a ventisette morti in due giorni di offensiva: assomiglia in proporzione al bilancio pesante dell’estate 2006, quando Hezbollah perse 500 uomini nelle prime tre settimane di combattimenti contro Israele – e il clima, nei villaggi sciiti del sud del Libano, è lo stesso di sette anni fa, elettrico, racconta il New York Times. Eppure si tratta di una guerra fratricida. Proprio nel 2006, durante la campagna di terra e aria di Israele nel sud del Libano, Qusayr accolse gli arabi sfollati delle zone di Hezbollah, funzionando come una retrovia al sicuro appena dieci chilometri oltre il confine. Oggi è riconpensata con i bombardamenti più intensi di questi due anni di guerra, e Hezbollah partecipa con i suoi razzi. Il dipartimento di stato americano ieri ha condannato “l’intenso bombardamento del regime di Assad con aerei e cannoni contro la città di Qusayr”. I ribelli si preparano a questa offensiva mista Partito di Dio-governo siriano da mesi, sono circa settemila e combattono sapendo che non ci sono altre opzioni possibili, il governo non farà prigionieri perché in quell’area non può permettersi l’ennesimo risorgere della rivoluzione armata dalle sue ceneri. La propaganda martellante sulla tv di stato definisce l’opposizione “terroristi e mercenari al soldo del Qatar”, ma l’area di Qusayr, Homs e al Rastan, poco più a nord, è la culla dei ribelli più autenticamente siriani. Ieri la tv ha dovuto fare marcia indietro, dopo che in mattinata aveva dichiarato la presa completa di Qusayr, e ha detto che “gli eroi dell’esercito” controllano per ora la parte est. La potenza di fuoco, però, è dalla loro parte. Il presidente cerca una vittoria che potrebbe essere soprattutto psicologica, prima ancora che di strategia militare grazie alla posizione cruciale della città. Dall’inizio dell’anno Assad ha riguadagnato l’iniziativa militare e ha trovato l’impeto contro i ribelli. E’ incoraggiato dalle forniture militari russe – che portano missili balistici, mentre gli Stati Uniti aiutano i ribelli con razioni pronte di cibo come i “cheese tortellini” – ed è guidato dal generale iraniano Qassem Suleimani, rodato specialista di Teheran nel vincere le guerriglie in paesi stranieri. Se l’esercito del governo siriano e il gruppo Hezbollah prevarranno a Qusayr – cosa che potrebbe essere decisamente più difficile del previsto, perché i ribelli stanno resistendo a oltranza – Israele potrebbe essere costretto a intensificare i raid per bloccare il trasferimento di armi dagli arsenali di Damasco al Libano. Intanto, il gruppo ribelle Jahbat al Nusra, legato ad al Qaida, sta portando rinforzi nell’area, per aiutare i ribelli assediati.

Il FOGLIO - Mattia Ferraresi : " Così funziona la mano visibile degli Assad sugli hacker siriani "


Mattia Ferraresi        Bashar al Assad

New York. Nell’organigramma militare di un regime il battaglione degli hacker è un elemento imprescindibile. L’unità 61398 di Shanghai aggredisce siti americani per conto del politburo; i tremila hacker nordcoreani dell’unità 121 s’infilano nelle maglie della rete per carpire segreti agli avversari occidentali, o anche soltanto per lasciare promemoria sulla vulnerabilità dei loro sistemi. Bashar el Assad ha la Syrian Electronic Army (Sea), l’esercito che venerdì è penetrato nei sistemi del Financial Times cospargendo le pagine online del giornale inglese di prove del suo passaggio. Per quattro minuti l’account Twitter del quotidiano ha recitato: “Syrian Electronic Army Was Here”. Non è certo la prima missione del cyberesercito del regime in territorio nemico. Negli ultimi due anni ha attaccato il Washington Post, Al Jazeera, il Telegraph, il Guardian, la National Public Radio, il giornale satirico The Onion, l’università di Harvard e decine di altri siti occidentali. Quando è riuscito a mettere le mani sull’account Twitter dell’Associated Press ha lanciato una breaking news: una bomba alla Casa Bianca ha ferito Barack Obama. La notizia era troppo grossa per essere verosimile, ma per un minuto i mercati americani sono crollati in preda al panico. Tanto per far capire cosa intende Assad quando parla di “un esercito reale che si muove in una realtà virtuale”. Nella guerra cibernetica siriana non è semplice però stabilire con precisione una catena di comando. All’inizio della guerra civile il Sea era formato da centinaia di hacker reclutati direttamente dal regime e organizzati secondo uno schema preciso che faceva ultimamente riferimento al presidente. Ora l’organizzazione appare più fluida e gli esperti consultati dal New York Times parlano di una dozzina di hacker che navigano in rete sotto i nomi di “Th3 Pr0” e “The Shadow”. In un’intervista al magazine Vice, Th3 Pr0 descrive l’esercito come un gruppo autogestito di giovani hacker che vuole difendere “il nostro amato paese da questa sanguinosa guerra mediatica”. Th3 Pr0 insiste sull’indipendenza dal Sea dal governo, dice che generalmente non passa le informazioni a Damasco e ammette soltanto qualche espisodica segnalazione sulle attività dei ribelli. La distinzione formale fra un battaglione di regime e una brigata di smanettoni lealisti è un dettaglio importante per gli Stati Uniti e l’occidente. Un’aggressione ai server americani riconducibile al governo siriano può provocare reazioni ufficiali, mentre è più complicato rispondere alle provocazioni oblique di un gruppo non meglio identificato. Quando il Sea è passato dalla violazione delle pagine Facebook di Obama e Oprah Winfrey alla penetrazione sistematica di siti più sofisticati, i funzionari antiterrorismo di Washington hanno immediatamente riconosciuto la mano del regime. I leader del battaglione erano tutti riconducibili alla Syrian Computer Society, società fondata da Bassel el Assad, fratello del presidente. Quando nel 2000 Bashar ha succeduto il padre alla presidenza, l’unico suo incarico ufficiale era quello di presidente della società informatica di stato. Il dipartimento del Tesoro ha sequestrato circa 700 domini che fanno riferimento alla Syrian Computer Society. Ora Assad ha tutto l’interesse a rappresentare gli hacker come un gruppo di patrioti indipendenti, un’Anonymous di complemento fatto di combattenti senza grado e divisa. Ma anche nelle operazioni condotte da questa struttura più snella si vedono tracce del regime. La settimana scorsa i tecnici del governo americano hanno ricondotto un attacco cibernetico a un indirizzo IP registrato presso Syriatel, la compagnia telefonica del cugino di Assad. Non una trovata particolarmente sofisticata per slegare l’esercito cibernetico dalla gerarchia del regime.

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