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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - Il Giornale Rassegna Stampa
14.05.2013 Libia: ricominciano gli attentati
cronache di Cecilia Zecchinelli, Fausto Biloslavo

Testata:Corriere della Sera - Il Giornale
Autore: Cecilia Zecchinelli - Fausto Biloslavo
Titolo: «Autobomba all'ospedale. L'incubo delle milizie libiche - In Italia forze speciali Usa pronte al blitz in Libia»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 14/05/2013, a pag. 14, l'articolo di Cecilia Zecchinelli dal titolo " Autobomba all'ospedale. L'incubo delle milizie libiche ". Dal GIORNALE, a pag. 15, l'articolo di Fausto Biloslavo dal titolo " In Italia forze speciali Usa pronte al blitz in Libia ".
Ecco i pezzi:

CORRIERE della SERA - Cecilia Zecchinelli : " Autobomba all'ospedale. L'incubo delle milizie libiche "


Cecilia Zecchinelli

In pieno giorno, davanti all'ospedale Al Jalaa di Bengasi, tra decine di persone, nel traffico intenso. L'attentato che ieri ha sconvolto la città libica dove iniziò la rivoluzione è il più grave del dopo-Gheddafi per numero di vittime civili. «Almeno 15 morti e 30 feriti, un ristorante del tutto distrutto e un altro edificio molto danneggiato», ha dichiarato il viceministro degli Interni Abdallah Massud, mentre testimoni ritengono che il bilancio delle vittime sia più alto. «Un'autobomba comandata a distanza, zeppa di esplosivo», ha rivelato la polizia, anzi due auto vicine esplose in sequenza, sostengono altre fonti. In realtà mancano molti dettagli e nessuno ha rivendicato la strage. Mentre si raccoglievano i corpi dilaniati tra macerie e rottami, anche di donne e bambini, una manifestazione spontanea si è formata nell'area colpita per dirigersi in centro gridando la voglia di pace e la rabbia per l'impunità delle milizie, islamiche e non solo. «Svegliati Bengasi», qualcuno urlava, riprendendo lo slogan dell'insurrezione poi diventata rivoluzione nel 2011.
Negli ultimi tempi attentati e attacchi sono stati quasi quotidiani a Bengasi, ma avevano come oggetto sedi della polizia, rappresentanti delle forze dell'ordine, funzionari. Oppure, andando indietro all'11 settembre 2012, il consolato Usa: l'assalto alla sede diplomatica costò la vita all'ambasciatore americano Chris Stevens e a tre suoi connazionali, con serie ricadute politiche anche sull'amministrazione Obama per come gestì quella crisi, attribuita inizialmente a una protesta spontanea e non, come poi emerse, al piano di un gruppo qaedista. Ancora ieri il presidente Usa ha dovuto risponderne all'opposizione repubblicana.
E anche a Bengasi si torna a parlare di quell'evento: fonti locali hanno infatti rivelato che tra i sospettati dell'attentato di ieri ci sarebbero salafiti e qaedisti vicini agli autori dell'attacco a Stevens. Sarebbe un loro «segnale» perché venga chiusa ogni inchiesta. Un altro filone delle indagini punta invece ai gheddafiani. I tanti superstiti del regime caduto ancora in circolazione, forti del molto denaro mai recuperato dal nuovo governo, delle tante armi reperibili ovunque e della particolare avversione verso la città ribelle della Cirenaica, non sono mai spariti. Ma ora con il crescente indebolimento del governo di Ali Zeidan alzano la testa.
La crisi politica della Nuova Libia si è infatti aggravata e la riunione d'urgenza del governo di ieri pomeriggio, con parole di condanna per «l'atto terrorista» e promesse «di arrestare e portare in giudizio al più presto i colpevoli» non trae in inganno nessuno. Il recente braccio di ferro nella capitale tra le milizie vicine ai Fratelli Musulmani e il fronte laico di maggioranza, con tanto di occupazione di due ministeri da parte delle prime, si è concluso con un'apparente pacificazione. In realtà ha visto l'avanzare della Fratellanza che è riuscita a imporre con la forza una legge destinata a vietare da giugno ogni carica politica e pubblica a chiunque abbia avuto contatti anche minimi con il vecchio regime. Una misura che riguarda mezzo milione di persone tra cui noti politici laici che di Gheddafi furono a fianco solo all'inizio e in parte, a partire dall'ex premier del consiglio transitorio Mahmoud Jibril, attuale capo dell'Alleanza delle forze nazionali ovvero del primo partito libico.
L'occupazione dei ministeri è finita da pochi giorni, a Tripoli. A Bengasi che piange ancora una volta i suoi morti sono arrivate le forze speciali per presidiarla. Ma l'allarme resta altissimo: Usa e Francia hanno evacuato parte del personale diplomatico e il Pentagono, si è saputo ieri, ha spostato dalla Spagna a Sigonella 500 marine per «intervenire rapidamente nel caso di nuovi attacchi agli americani in Libia».

Il GIORNALE - Fausto Biloslavo : " In Italia forze speciali Usa pronte al blitz in Libia"


Fausto Biloslavo

Italia di nuovo in prima linea per la Libia. Gli americani sono pronti al peggio e hanno allertato le loro basi nel nostro Paese ed in Spagna per l'eventuale evacuazione del persona­le diplomatico dell'ambasciata a Tri­poli o in difesa degli interessi Usa mi­nacciati da possibili attacchi dei terro­risti. La scorsa settimana temevano addirittura un «golpe fondamentali­sta islamico» secondo una fonte del Giornale , ma il pericolo, se mai esisti­to, è superato.
Il personale Usa non indispensabi­le ha già lasciato il Paese assieme agli inglesi. Si temono attentati, come l'autobomba esplosa il 23 aprile da­vanti all'ambasciata francese o veri e propri attacchi degli estremisti isla­mici. Per non farsi prendere alla sprovvista, come lo scorso settembre a Bengasi dove è morto l'ambasciato­re americano, sono state allertate la Forza di reazione rapida dei marines
e un'unità per le operazioni speciali nelle basi Usa in Spagna e Italia. Lo ha rivelato al Washington Post una fonte anonima del Pentagono.
La base più probabile in stato di massima allerta è la Naval air station di Sigonella, dove sono dislocati i Na­vy Seal, i distaccamenti dei corpi spe­ciali della Marina che hanno ucciso Osama bin Laden. Reparti per opera­zioni speciali da lanciare in Libia se l'ambasciata o interessi strategici Usa venissero attaccati. Non solo: a Si­gonella vengono schierati a rotazio­ne anche i Global Hawk, i droni strate­gici a lungo raggio e armati già utiliz­zati dopo l'attacco al consolato di Bengasi.
Proprio ieri nel capoluogo della Ci­renaica è scoppiata un'autobomba davanti all'ospedale Al Jala. Secondo il vice-ministro dell'interno, Abdal­lah Massud, «quindici persone sono
morte e almeno trenta ferite dall' esplosione».
Il grosso delle truppe d'intervento americane sul fronte libico è compo­sto dalla Forza di reazione rapida dei Marines composta da 500 uomini a Moròn, in Spagna, l'altra probabile base in stato di allerta. L'unità dispo­ne di velivoli di trasporto C 130 per im­barcare gli evacuati e pure l'ibrido ae­reo­
elicottero MV22-Osprey, molto versatile e già utilizzato con successo in Afghanistan.
«Sulla scia di Bengasi abbiamo deci­so­di porre in stato di allerta queste for­ze »,ha dichiarato la fonte del Washin­gton
Post .
La situazione a Tripoli, nelle ultime settimane, era incandescente. Le mi­lizie hanno circondato ministeri im­portanti come gli Esteri per epurare tutti i funzionari che avevano a che fa­re con il regime di Gheddafi. I cortei delle forze più moderate si sono scon­trati con gli estremisti. Domenica il parlamento libico, su pressione di Mi­surata e dei Fratelli musulmani, ha approvato la legge sull'isolamento. In pratica una purga simile a quella che decapitò l'Iraq dopo la caduta di Saddam Hussein favorendo la guerra settaria. La norma entrerà in vigore il 5 giugno e in teoria decimerà il nuovo potere in Libia. Il presidente Moham­med al- Megarif, il primo ministro Ali Zidan, il principale leader politico «li­berale », Mahmoud Jibril, oltre che i ministri degli Esteri, della Difesa e al­tri dicasteri importanti dovrebbero venir estromessi. «Ci troviamo in una fase giacobina della rivoluzione libi­ca - spiega una fonte diplomatica - . La transizione bloccata porta ad un vuoto di potere, che lascia spazio agli estremisti islamici e ai nostalgici di Gheddafi», con l'obiettivo del caos.

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