venerdi 09 maggio 2025
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



Clicca qui






Corriere della Sera Rassegna Stampa
07.05.2013 Germania, a processo la neonazista Beate Zschäpe
commento di Paolo Lepri

Testata: Corriere della Sera
Data: 07 maggio 2013
Pagina: 19
Autore: Paolo Lepri
Titolo: «Gli omicidi degli immigrati. La sposa nazista alla sbarra»

Il passato che non passa.
Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 07/05/2013, a pag. 19, l'articolo di Paolo Lepri dal titolo "Gli omicidi degli immigrati. La sposa nazista alla sbarra".


 Beate Zschäpe                     

BERLINO — È la donna a cui Anders Behring Breivik, l'autore della strage di Utøya, scrisse una affettuosa lettera chiamandola «cara sorella». Beate Zschäpe, l'unica sopravvissuta della cellula neonazista responsabile di quelli che furono definiti «gli omicidi del kebab», è finalmente sul banco degli imputati a Monaco di Baviera. Ma, in un certo senso, la Germania giudica anche se stessa, per tutto quello che non fu fatto, dal 2000 al 2007, permettendo così agli assassini di realizzare il loro folle piano. La «pista nera» non fu mai presa sul serio, le indagini di concentrarono sulla piccola criminalità, la rete di informatori che agiva nella galassia dell'estrema destra non seppe capire o non volle vedere. Nonostante molti possibili indizi, nessuno collegò i delitti anti-immigrati alla conclamata clandestinità di due pericolosi estremisti, Uwe Mundlos e Uwe Böhnhardt, e della loro «sposa nazista».
Beate non parlerà, probabilmente, come ha fatto fino a questo momento. Ieri è comparsa per la prima volta in pubblico. Vestita elegantemente, giacca nera e camicetta chiara, grossi orecchini d'argento, non è apparsa a disagio. Quella di tacere è stata sempre la sua scelta. Fin dal novembre del 2011, quando si costituì alla polizia quattro giorni dopo la morte dei due Uwe. Un apparente omicidio-suicidio, deciso per non cadere nella mani degli agenti che li avevano inseguiti e circondati nel loro covo, a Zwickau, in Sassonia, al termine di una rapina. «Sono io quella che cercate» fu la sua unica frase. Ma quello che c'era da scoprire si trovava ormai a portata di mano. In una roulotte semidistrutta, accanto ai cadaveri, la pistola con cui in varie città tedesche erano stati eliminati otto turchi e un greco colpevoli solo di essere uomini venuti da lontano per cercare lavoro in Germania. Nei giorni successivi fu rivelato il contenuto di un dvd, prodotto dagli assassini, in cui si rivendicavano i delitti con immagini della «Pantera rosa». Uno spietato cartone animato dell'orrore.
Il compito dei giudici sarà quello di rispondere a molti interrogativi ancora aperti e di stabilire il ruolo della donna negli omicidi (dieci vittime in tutto, perché va aggiunta alla lista una giovane poliziotta), in due attentati antistranieri e in 15 rapine. Con lei ci sono altri quattro imputati, accusati di complicità e favoreggiamento, uno dei quali ha la scritta «morte agli ebrei» tatuata sullo stomaco. Dalle indagini è risultato chiaro che Beate era il «volto normale» del gruppo. Si occupava di organizzare la vita quotidiana della cellula, tra un assassinio e l'altro. La sua scelta per l'estremismo nero affonda nell'ultima fase della giovinezza, a Jena, in Turingia (nell'ex Germania Est), dove è nata nel 1975. L'incontro con Mundlos, prima, e con Böhnhardt poi, completò la sua educazione criminale. «Le idee politiche sono l'unica ragione del nostro allontanamento, ma furono un motivo forte», ha dichiarato la madre.
Rinviato di tre settimane per il problema dei posti riservati alla stampa (erano rimasti esclusi tutti i giornalisti turchi), il processo di Monaco dovrebbe concludersi nel gennaio 2014. Ma forse serviranno addirittura due anni per completare il lavoro e ascoltare i 606 testimoni. Intanto, le prossime udienze sono state sospese dopo la richiesta dei legali della Zschäpe di ricusare il presidente della corte. Si riprenderà il 14 maggio. «È un evento storico», ha commentato Kenan Kolat, capo della comunità turca in Germania, chiedendo la massima severità per gli imputati. Ma l'impressione è che la giustizia non basti. Si tratta anche di pretendere tutta la verità.

Per inviare la propria opinione al Corriere della Sera, cliccare sull'e-mail sottostante


lettere@corriere.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT