Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 07/05/2013, a pag. 18, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Il patto della Mezzaluna contro i missili di Assad ". Dal FOGLIO, in prima pagina, l'articolo di Daniele Raineri dal titolo " Strike e stragi casa per casa ". Dal GIORNALE, a pag. 19, l'articolo di Fausto Biloslavo dal titolo " L’inafferrabile fantasma delle armi chimiche ".
Ecco i pezzi:
La STAMPA - Maurizio Molinari : " Il patto della Mezzaluna contro i missili di Assad "


Maurizio Molinari
Dietro la prudenza con cui le capitale arabe hanno reagito agli attacchi israeliani alla Siria c’è una nascente cooperazione militare fra i governi di Gerusalemme, Ankara, Riad, Amman e Abu Dhabi. A rivelarlo sono fonti britanniche riportate dal «Sunday Times», che trovano conferma a Washington nell’indicare l’esistenza di un’intesa per una cooperazione missilistica tesa a difendersi da possibili attacchi iraniani. L’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, secondo tali indiscrezioni, consentirebbero a Israele l’accesso ai radar che coprono il Golfo Persico e «vedono» dentro l’Iran, ottenendo in cambio la protezione dei cieli con gli intercettori dello Stato Ebraico.
La Giordania avrebbe i cieli protetti dal sistema «Arrow», realizzato da Israele assieme agli Usa per intercettare missili a lunga gittata. La Turchia è stata finora l’unica a smentire l’esistenza di tale coordinamento e il silenzio delle capitali arabe lascia intuire che il gruppo «4+1» - quattro Paesi musulmani più Israele - sarebbe in stato avanzato, al punto da consentire ad alti funzionari occidentali di assegnargli la definizione di «Patto della Mezzaluna difensiva» da contrapporre a «Mezzaluna aggressiva» rappresentata dall’alleanza fra Iran, Siria e Hezbollah libanese.
Dietro tali sviluppi vi sarebbe Washington, impegnata a favorire la creazione a ritmi accelerati di un patto regionale israelo-sunnita per fronteggiare nell’immediato la crisi siriana e potersi difendere in futuro da piogge di missili iraniani in ritorsione per l’eventuale attacco al programma nucleare di Teheran. A ben vedere, le mosse compiute dall’Amministrazione Usa dall’indomanidella rielezione di Obama vanno nella direzione del «Patto delle Mezzaluna». Prima il presidente Usa si è recato a Gerusalemme sostenendo il diritto di Israele a difendersi dai nemici, poi il Segretario di Stato John Kerry ha portato a termine la riconciliazione diplomatica fra Israele e Turchia, infine il ministro della Difesa Chuck Hagel è arrivato in Medio Oriente per avallare la vendita a israeliani, sauditi ed Emirati di 20 miliardi di dollari di armamenti, le cui caratteristiche coincidono con un patto che vuole aumentare le potenzialità difensive arabe e quelle offensive israeliane.
Un coordinamento dei sistemi antimissile di Israele, Turchia, Arabia Saudita, Giordania ed Emirati è facilitato dal fatto che si tratta di sistemi d’arma «made in Usa» o costruiti con licenze americane. L’intento di Washington sarebbe dunque un’alleanza regionale capace di difendere i propri interessi, dall’argine all’Iran alla protezione delle proprie basi.
Il silenzio che circonda tali indiscrezioni si spiega col fatto che Riad e Abu Dhabi non hanno relazioni con Gerusalemme, ma le deboli reazioni della Lega Araba ai raid israeliani in Siria contro i missili iraniani diretti ad Hezbollah sono state interpretate a Londra e Parigi come la conferma che il «Patto della Mezzaluna» prende forma. D’altra parte le dichiarazioni della Casa Bianca sul «diritto di Israele all’autodifesa» hanno sottolineato il sostegno di Obama a Benjamin Netanyahu.
In tale cornice, la maggiore incognita per Washington sono le mosse di Mosca, che finora ha difeso Assad ma vuole bloccare il nucleare di Teheran e non fornisce armi ad Hezbollah. Per appurare le intenzioni russe è arrivato a Mosca Kerry, che vedrà oggi al Cremlino Vladimir Putin in un bilaterale finalizzato a un’intesa sul dopoAssad. Ovvero lo stesso tema che Netanyahu si appresta a discutere a Pechino con il presidente Xi Jinping.
Il FOGLIO - Daniele Raineri : " Strike e stragi casa per casa "


Daniele Raineri Carla Del Ponte
Roma. Domenica Carla Del Ponte, magistrata svizzera e membro della Commissione delle Nazioni Unite che indaga sulle violazioni dei diritti umani in Siria, ha detto alla Radiotelevisione svizzera che ci sono “sospetti forti, concreti” che gli “opponenti” (così nell’intervista in italiano) hanno usato il gas nervino sarin. L’affermazione è stata subito ripresa dai media di tutto il mondo e anche in Italia: “L’autorevole magistrata sostiene che i ribelli e non il governo siriano usano il gas nervino”. Ieri però, nel primo pomeriggio, la Commissione dell’Onu ha smentito: non ci sono prove sull’uso di armi chimiche da entrambe le parti, governo e ribelli. Del Ponte aveva fatto la dichiarazione non impeccabile – “sospetti concreti”? – sulla base di alcune testimonianze raccolte in Turchia che dice di avere letto in anticipo in un rapporto dell’Onu, e che però non sono definitive e sono contraddette da altre testimonianze. Le Nazioni Unite a fine marzo hanno creato un team indipendente guidato dallo scienziato svedese Ake Sellstrom per indagare sulle armi chimiche – di cui Del Ponte non fa parte – che in questo momento è parcheggiato a Cipro. Assad ha invitato le Nazioni Unite a indagare sugli attacchi chimici in Siria, ma poi ha cambiato idea e ha sbarrato l’accesso alla squadra, che comunque dovrebbe consegnare un rapporto alle Nazioni Unite il 3 giugno. La dichiarazione di Del Ponte ha aggiunto confusione a uno stallo complicato: le notizie di attacchi con armi chimiche in Siria da parte del governo potrebbero motivare una risposta militare americana e in effetti sono già arrivate, ma ancora non sembrano convincenti a sufficienza per la Casa Bianca. Quello che è certo, invece, è che cinque giorni fa le milizie di Assad hanno “ripulito e liberato” dai sunniti – per usare le loro parole – al Bayda e Ras al Naba, due piccoli centri attaccati alla città di Baniyas, sulla costa. L’enclave sunnita era una macchia vistosa sulla mappa di una zona completamente controllata dalla minoranza alawita, e come tale è stata trattata. Secondo video, foto e testimonianze, squadre di assadisti hanno radunato gli uomini, li hanno incolonnati – prima hanno fatto togliere loro le scarpe e gli hanno fatto tirare camicie e magliette sopra la testa, per impedire la fuga – li hanno fucilati e hanno, in molti casi, bruciato i corpi. Hanno anche sparato a donne e bambini: ieri la Mezzaluna rossa è entrata nell’abitato e ha trovato cataste di corpi, come in Ruanda durante la pulizia etnica (ma qui la differenza è di fede). Gli abitanti risparmiati dalla violenza sono fuggiti. Per ora ci sono 141 nomi già verificati, ma attivisti locali dicono che il numero finale sarà più alto. Su questo eccidio di sunniti la Commissione delle Nazioni Unite per le violazioni dei diritti umani in Siria per ora non ha speso una parola. Da ieri abbiamo un quadro più chiaro degli strike israeliani su Damasco degli ultimi quattro giorni. Non sono stati due, giovedì notte e domenica prima dell’alba: c’è n’è stato pure un terzo, venerdì notte, contro l’aeroporto internazionale di Damasco. Quest’ultima notizia, verificata soltanto ieri, conferma che il raid di Israele non è stato soltanto una mera operazione militare per bloccare un trasferimento di missili dall’arsenale siriano al gruppo libanese Hezbollah. E’ stato un’operazione più complessa, con un obbiettivo più vasto e che ha minacciato l’esistenza stessa del governo siriano. Gli aerei israeliani restando nello spazio aereo libanese hanno colpito l’area a nord della capitale siriana, densa di installazioni militari; anzi, è quella la linea difensiva più munita a disposizione del governo contro l’avanzata dei ribelli. Ci sono state quaranta esplosioni, comprese alcune fortissime registrate dai sismografi che hanno toccato il terzo grado della scala Richter e che hanno fatto pensare all’uso di bombe “bunker buster” – quelle costruite per penetrare le calotte protettive in cemento armato dei bunker iraniani. Tra gli obbiettivi anche i reparti scelti della Guardia Repubblicana guidati dal fratello del presidente Bashar el Assad, Maher. Il messaggio israeliano: l’alleanza con Iran e Hezbollah può essere la fine del regime, che resterà senza difese davanti ai ribelli. Gli americani prendono nota: colpire l’esercito di Damasco si può, non è così difficile.
Il GIORNALE - Fausto Biloslavo : " L’inafferrabile fantasma delle armi chimiche"


Fausto Biloslavo
L'incubo delle armi chimiche non aleggia solo sulla Siria, ma è apparso come uno spettro nelle guerre degli ultimi anni dall'Iraq di Saddam Hussein alla Libia del colonnello Gheddafi. Servono a convincere l'opinione pubblica che un intervento militare è inevitabile, ma quasi sempre si rivelano armi fantasma.
L'ultima «bomba» sulle armi chimiche siriane l'ha lanciata Carla Del Ponte, ex procuratore d'assalto, che fa parte della Commissione Onu incaricata di indagare sulle nefandezze della guerra civile in Siria. «I nostri investigatori nei Paesi confinanti hanno intervistato vittime, medici e visitato ospedali da campo - ha dichiarato alla Tv della Svizzera italiana - . Secondo il loro rapporto della scorsa settimana esistono forti e concreti sospetti, ma non ancora prove incontrovertibili dell'utilizzo di gas sarin». La temibile arma sarebbe stata «usata dai ribelli, non dai governativi ». Del Ponte ribalta la convinzione generale che gli arsenali chimici, da anni in possesso del regime, possono venir usati solo dai «cattivoni».Dall'altra parte della barricata dovrebbero esserci i «buoni», che mai utilizzerebbero le armi di distruzione di massa. In realtà nessuno sa con certezza se e soprattutto chi abbia usato i gas. Il presidente siriano Bashar al Assad e i ribelli che vogliono vederlo morto si sono accusati a vicenda di aver utilizzato armi di distruzione di massa senza riuscire a portare alcuna prova definitiva. Gli attacchi fantasma sono tre e sarebbero avvenuti fra dicembre e marzo ad Aleppo, Homs e Damasco, i fronti più caldi.
L'Onu ha in parte smentito il suo commissario Del Ponte sostenendo che «non ci sono prove conclusive in grado di determinare l'uso delle armi chimiche, né dall'una né dall'altra parte». Lei replica: «Non ho niente da aggiungere. Vedremo il risultato delle inchieste» che sarà reso noto il 3 giugno.
Il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, alimenta il mistero sostenendo che «ha avuto indicazione » dell'impiego di armi chimiche, ma «non esistono prove consolidate né sulle circostanze, né su chi ne abbia fatto uso».
I russi, che spalleggiano Damasco, mettono le mani avanti. Il portavoce del ministero degli Esteri, Aleksandr Lukashevich spiega che Mosca è «seriamente preoccupata dai segnali di preparazione dell'opinione pubblica mondiale per un possibile intervento armato».
La Casa Bianca aveva giurato che la «linea rossa» per attaccare in Siria era proprio l'uso di armi chimiche, ma gli Stati Uniti sono già rimasti scottati dall' Iraq. Negli anni Ottanta Saddam Hussein ha usato i gas contro gli iraniani e i curdi. Dopo l'invasione del Kuwait, l'embargo e le ispezioni dell'Onu hanno ridotto al lumicino gli arsenali di distruzione iracheni. Per giustificare l'invasione il generale Colin Powell era andato all' Onu mostrando una fialetta di antrace. Anni dopo si è pentito della sceneggiata e lo stesso presidente George W. Bush ha ammesso «il fallimento dell'intelligence in Iraq». Gli apocalittici arsenali non sono mai stati usati contro le forze d'invasione e neppure trovati.
Altre armi fantasma sono spuntate con Gheddafi, che durante l'attacco della Nato avrebbe nascosto nel deserto dieci tonnellate di iprite, il gas mortale della prima guerra mondiale. In realtà il Colonnello aveva già eliminato il grosso delle armi chimiche in cambio della fine dell'ostracismo internazionale, ma questo non servì a salvargli la pelle.
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