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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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La Stampa - L'Unità Rassegna Stampa
06.05.2013 Siria: le interviste
di Francesca Paci a Giora Eiland, Francesco Semprini a David George Newton, Udg a Saeb Erekat

Testata:La Stampa - L'Unità
Autore: Francesco Semprini - Francesca Paci - Umberto De Giovannangeli
Titolo: «E’ in corso il secondo atto del duello iniziato nel 2006 - 'L'inerzia della politica fa esplodere il Medio Oriente'»

Siria, ecco le interviste:
Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 06/05/2013, a pag. 11, l'intervista di Francesco Semprini a David George Newton dal titolo " E’ in corso il secondo atto del duello iniziato nel 2006 ", l'intervista di Francesca Paci a Giora Eiland dal titolo " Sulle armi verso il Libano Assad è ostaggio dell’Iran ". Dall'UNITA', a pag. 13, l'intervista di Umberto De Giovannangeli a Saeb Erekat dal titolo "«L'inerzia della politica fa esplodere il Medio Oriente»", preceduta dal nostro commento.
Ecco i pezzi:

La STAMPA - Francesco Semprini : " E’ in corso il secondo atto del duello iniziato nel 2006 "


David George Newton

David George Newton, ex ambasciatore a Damasco e Baghdad,e membro del Middle East Institute al Cosmos Club, il conflitto da civile sta diventando regionale?
«Questo sta accadendo da tempo ma non sono i raid israeliani a contribuire all’allargamento. Israele e Siria hanno avuto relazioni ostili per decenni, ma entrambi si trovano a proprio agio nello status quo. Damasco non ha interesse a trascinare Israele nel conflitto, tanto meno Israele è interessata a farsi trascinare in un conflitto così complicato».
Lo Stato ebraico non teme le ricadute della guerra?
«Ovviamente ci sono problemi nelle alture del Golan, ma nulla che possa far presumere un intervento israeliano. È una situazione in divenire che osservano con molta attenzione, e senza dubbio ci sono dei rischi per il futuro, ma c'è, a mio avviso, una implicita intesa col regime su cosa non dovrebbe accadere». Allora questi raid?
«È un attacco, in ultima istanza, condotto contro Hezbollah che è un prodotto dell’invasione israeliana in Libano del 1982 ed è la principale preoccupazione dello Stato ebraico. L’Iran approfitta della guerra e, tra gli armamenti con cui sostiene Damasco, fa filtrare approvvigionamenti diretti agli alleati libanesi. Questo Israele non lo può permettere anche perché è proprio il Libano l’anello debole nella regionalizzazione del conflitto».
In tutto questo come mai gli Usa sono così cauti?
«Gli Stati Uniti sono stati coinvolti in due guerre pesantissime, l’Iraq con oltre 4 mila morti, e l'Afghanistan da cui si stanno tirando fuori. Non hanno proprio nessuna intenzione di trovarsi coinvolti in un’altra situazione complicata». Neanche di fronte al ricorso al sarin da parte di Damasco?
«Sebbene Obama l'abbia definito “game changer” non è così facile provare in maniera schiacciante l’uso delle armi chimiche. Anche l’Onu sta provando ad arrivare a una conclusione ufficiale, ma con tante difficoltà. E nonostante la pressione interna, specie di alcuni repubblicani come il senatore John McCain, sino a quando gli Usa non avranno in mano queste prove non muoveranno un dito».
Solo questo?
«No, c’è anche il fatto che la Siria ha moderni e sofisticati sistemi di difesa aerea che renderebbero complicatissimo già solo creare una “no fly zone”. Infine sugli armamenti ai ribelli ci sono i timori di infiltrazione delle frange filo-Al Qaeda. Se un giorno gli americani dovessero ammettere che è stata davvero superata la “linea rossa”, ci potrebbe essere un intervento ma solo se inquadrato in un'orbita Onu, e in coordinamento con i partner europei, magari in un contesto Nato».

La STAMPA - Francesca Paci : " Sulle armi verso il Libano Assad è ostaggio dell’Iran "


Gen. Giora Eiland

Il generale Giora Eiland è un veterano della difesa israeliana, ex guru della sicurezza nazionale guida adesso il National Security StudyCenter di Tel Aviv e monitora il Golan. Due raid israeliani sulla Siria inpocheore: che succede? «Pur avendo deciso di restare fuori dalla guerra civile siriana, Israele ha sempre detto che avrebbe impedito il passaggio di armi a Hezbollah. Da qualche tempo, per volontà di Damasco o più probabilmente per la pressione diTeheran, alcune armi iraniane si stanno muovendo dalla Siria verso il Libano. Dopo il raid di tre mesi fa Assad non reagì, stavolta l’attacco è stato più voluminoso e nessuno può ignorarlo: il regime ha dovuto protestare, ma non credo che andrà oltre. Il punto è capire cosa faranno gli altri attori regionali».
Che possibilità ci sono?
«Impelagato com’è all’interno, Assad non ha interesse all’escalation, masubisce forti pressioni da Iran e Hezbollah, che magari ora chiedono il conto per l’impegno militare contro i ribelli».
Damasco minaccia di puntare i missili verso Israele: fin dove potreste spingervi se colpiti?
«Dipende dal tipo di eventuale attacco. Se la Siria ha protestato all’Onu cerca una via politica. Ma non possiamo escludere che agisca diversamente. Neanche Israele vuole l’escalation e non ha mai detto che l’importante sia avere l’ultima parola. Damasco potrebbe fare qualcosa di simbolico solo per mostrare d’aver reagito e in quel caso ci permetterebbe di ignoralo».
C’è la possibilità di una guerra veratra Siria e Israele?
«È difficile, a noi non interessa un confronto militare con Damasco. Ma in caso di guerra sarebbe breve: l’esercito siriano non è mai stato così debole in 40 anni e sarebbe distrutto subito. Per questo credo che nessun leader siriano voglia lo scontro».
I paesi arabi, finora sponsor dei ribelli, si sono ricompattati nel denunciare Israele. I raid non finiranno per rafforzare Assad?
«I paesi arabi non possono tollerare l’aggressione israeliana contro uno stato arabo sovrano, la condanna era automatica ma non penso che andrà al di là delle parole. D’altra parte, anche se storicamente lo scontro con il nemico sionista ha sempre garantito sostegno popolare ai leader arabi, la priorità d’Israele e bloccare le armi per Hezbollah al di là delle altre implicazioni».
Dal punto di vista israeliano è peggio un ritorno di Assad o la futura minaccia qaedista?
«Considerando le nostre priorità importa poco l’esito del day after. È ovvio che l’instabilità ai confini con il Golan è preoccupante, ma da una parte siamo abituati a confrontarci con organizzazioni terroristiche al confine e dall’altra chiunque governi la Siria domani dovrà contare su un esercito notevolmente indebolito».

L'UNITA' - Umberto De Giovannangeli : " «L'inerzia della politica fa esplodere il Medio Oriente» "


Saeb Erekat

Saeb Erekat viene a torto definito 'negoziatore'. Nel corso dell'intervista elenca le pretese dei palestinesi per tornare al tavolo negoziati. Secondo Erekat e i palestinesi, negoziare significa pretendere come precondizione quello che dovrebbe essere oggetto della negoziazione stessa.
In ogni caso sostenere che lo stallo dei negoziati sia la causa della situazione in Siria è assurdo.
Ecco il pezzo:

«In Medio Oriente il tempo non lavora per la pace. E questa considerazione vale per la Siria come perla Palestina. Pensare di mantenere lo status quo non è una illusione, è un tragico errore. Perché quando la diplomazia abbandona il campo, a riempirne il vuoto sono le forze che puntano alla destabilizzazione». E un lucido, argomentato, grido d'allarme quello lanciato dalle pagine de l'Unità da una delle figure più rappresentative della leadership palestinese: Saeb Erekat, capo negoziatore dell'Anp, consigliere politico del presidente Mahmud Abbas (Abu Ma-zen). Mentre II negoziato lsraelo palestinese è in stallo permanente, il conflitto siriano rischia dl estendersi all'Intero Medio Oriente. C'è un filo rosso che lega I vari scenari? «Credo di si ed esso va ricercato nell'inerzia della politica. E in Medio Oriente, la storia lo ha insegnato, quando la politica e la diplomazia abbandonano il campo, a riempire quel vuoto sono le armi. Gli appelli non bastano da sfili a fermare i massacri in Siria così come non sembrano smuovere i governanti israeliani dalla loro intransigenza rispetto a un punto che per noi rimane cruciale...». Qual è questo punto? «Lo stop alla colonizzazione della Cisgiordania e di Gerusalemme Est. Su questo siamo stati molto chiari negli incontri avuti di recente con il presidente Usa Barack Obama e con il segretario di Stato John Kerry: pace e insediamenti sono inconciliabili. Chiederci di "legalizzare" ciò che è illegale - gli insediamenti - è inaccettabile. Al presidente Obama abbiamo mostrato una cartina della Ci- «In Siria come in Palestina pensare di mantenere lo status quo non è un'illusione, è un errore» sgiordania che dà conto, più di tanti discorsi, di ciò che è stata, sul terreno, la politica di colonizzazione portata avanti senza soluzione di continuità da Israele: insediamenti moltiplicatisi nel tempo, colonie trasformate in città, un territorio, la Cisgiordania, spezzato in mille frammenti. In questo modo, si rende impraticabile una soluzione a "due Stati", si svuota di ogni contenuto reale un ipotetico negoziato». E qual è stata la reazione americana? «Hanno preso atto delle nostre ragioni, il segretario di Stato Kerry ha compreso la gravità della situazione, ma ora è tempo di agire prima che sia troppo tardi». Cos'è, una minaccia? «No, è una previsione fondata. Fondata sul malessere crescente nei Territori e su un quadro generale nella regione che si fa sempre più inquietante. L'approccio giusto è quello globale: la pace fra Israele e gli Arabi, e per raggiungere questo obiettivo è ineludibile dare soluzione alla "questione palestinese"». Lei parla di pace globale. Può andare In questa direzione la riformulazione del plano di pace presentato dalla Lega Araba nel 2002 e che sostiene ora esplicitamente II principio di uno scambio di temi-tori fra Israele e Palestina? «Su questa iniziativa si è imbastita una lettura strumentale che va subito tolta dal tavolo: la proposta della Lega Araba non rappresenta una novità, e tanto meno si configura come una pressione sulla dirigenza palestinese. E vero il contrario...». Vale a dire? «La delegazione araba che ha di recente incontrato il segretario di Stato Usa, ha presentato la posizione ufficiale palestinese: in cambio dell'accettazione senza riserve da parte israeliana della soluzione a "due Stati", basata sui confini del 1967, lo Stato palestinese, in quanto Stato sovrano, potrebbe prendere in considerazione modifiche di piccola entità dei confini, ritenute uguali in superficie e qualità, nella stessa zona geografica; modifiche che non minaccino gli interessi palestinesi. Quel che vale è il principio di reciprocità, al quale non siamo mai venuti meno». Più volte, la leadership palestinese ha affermato la disponibilità a tornare al tavolo delle trattative ponendo come condizione il blocco degli Insediamenti. C'è chi sostiene, anche In Europa, che questa asserita disponibilità è contraddetta dalle condizioni poste dall'Anp per riprendere II dialogo. «Noi non poniamo condizioni alla ripresa dei negoziati. Netanyahu, il presidente Obama e i leader europei sanno bene che il congelamento della colonizzazione non è una condizione palestinese, ma un impegno israeliano. Quello che poniamo non sono condizioni, ciò che chiediamo è l'applicazione da parte di Israele dei suoi impegni, a cominciare dalla cessazione della colonizzazione e dalla liberazione dei prigionieri palestinesi. Mi lasci aggiungere che un negoziato non può durare in eterno, altrimenti non di negoziato si tratta ma di una farsa che nessun dirigente palestinese, neanche il più disposto al compromesso sarà mai disposto ad avallare».

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