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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa - La Repubblica Rassegna Stampa
01.05.2013 I negoziati secondo i palestinesi
cronaca di Maurizio Molinari. Intervista di Vincenzo Nigro ad Abu Mazen

Testata:La Stampa - La Repubblica
Autore: Maurizio Molinari - Vincenzo Nigro
Titolo: «Appello di Abu Mazen all’Italia: ci avete aiutato all’Onu ora fate pressioni su Israele»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 01/05/2013, a pag. 13, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " La Lega araba apre allo scambio di terra fra Israele e Palestina ". Da REPUBBLICA, a pag. 16, l'intervista di Vincenzo Nigro ad Abu Mazen dal titolo " Appello di Abu Mazen all’Italia: ci avete aiutato all’Onu ora fate pressioni su Israele ".

L'intervista di Nigro dà molto rilievo alla parte palestinese dei negoziati.
Ma è sufficiente vedere come si sono svolti i negoziati negli anni passati per rendersi conto della realtà: i palestinesi non sono interessati ad avere un loro Stato. Se così fosse, ce l'avrebbero già da diversi anni.
Israele si è impegnato nei negoziati, ma ha sempre e solo ricevuto rifiuti e violenza dai palestinesi.
Come fidarsi, poi, delle parole della Lega Araba?
Ecco i pezzi:

La STAMPA - Maurizio Molinari : " La Lega araba apre allo scambio di terra fra Israele e Palestina "


Maurizio Molinari

La Lega Araba si dice favorevole a scambi minori di territori fra Israele e palestinesi, consegnando al Segretario di Stato John Kerry il primo risultato concreto dei tentativi in corso per riavviare i negoziati diretti sulla pace in Medio Oriente. L’incontro fra la delegazione della Lega Araba, guidata dal premier del Qatar Sheikh Hamad bin Jassim al-Thani, e Kerry si è svolto nella Blair House, davanti alla Casa Bianca. Al termine è stato Kerry ad affermare che «per la Lega Araba l’accordo deve fondarsi sulla soluzione dei due Stati basata sul confine del 4 giugno 1967 con la possibilità di comparabili, mutui, consensuali, minori scambi di territorio».

Finora la Lega Araba aveva sostenuto la formula di pace uscita dal summit di Beirut del 2002 dove, su iniziativa saudita, si era proposto a Israele «pieno riconoscimento» in cambio di «ritiro totale dai territori occupati nel 1967» e di una «giusta soluzione per i rifugiati palestinesi» del 1948. Poiché l’Amministrazione Obama intende far ripartire i negoziati Israele-palestinesi in una cornice di sostegno regionale, la modifica della posizione della Lega Araba apre la strada all’accettazione di scambi di territori fra le aree della Cisgiordania, dove si trovano gli insediamenti ebraici più popolosi, e zone di Israele abitate in prevalenza da arabi lungo la linea di demarcazione del 1967.

Gli scambi di territori furono ipotizzati in colloqui fra il presidente americano George W. Bush e il premier israeliano Ariel Sharon, che portarono a uno scambio di lettere nel 2004, e furono poi discussi alla conferenza di Annapolis del 2007. È questo il filo che Kerry punta a riprendere, mostrando attenzione per le posizioni del governo israeliano sull’impossibilità di smantellare gli insediamenti dove vive la maggioranza dei 220 mila residenti oltre la linea verde.

La presenza ai colloqui nella Blair House dei ministri degli Esteri di Bahrein, Egitto, Giordania e degli inviati di Libano, Arabia Saudita e Autorità Palestinese assegna alla posizione espressa dal capo-delegazione un forte valore politico, rafforzato dalla presenza ai colloqui di Joe Biden, vicepresidente Usa. La reazione da Gerusalemme è arrivata dal ministro della Giustizia, Tzipi Livni, che ha parlato di «notizie molto positive» perché «consentono ai palestinesi di entrare nella sala dei negoziati e fare i necessari compromessi» e «inviano agli israeliani il messaggio che stiamo parlando di qualcosa che non riguarda solo noi e i palestinesi».


Shimon Peres con Enrico Letta

Da Roma il presidente israeliano, Shimon Peres, le ha fatto eco a margine degli incontri a Palazzo Chigi, al Quirinale e in Vaticano: «È positivo che si torni a un’iniziativa di pace». Per Kerry tuttavia è solo un piccolo passo avanti, perché la formula di «negoziati diretti su tutte le questioni più importanti», indicata dal presidente Obama nel recente viaggio in Medio Oriente, richiede progressi anche sulla definizione dei confini, la sorte dei rifugiati palestinesi, lo status di Gerusalemme, il futuro degli insediamenti più isolati e garanzie di sicurezza per Israele.

La REPUBBLICA - Vincenzo Nigro : " Appello di Abu Mazen all’Italia: ci avete aiutato all’Onu ora fate pressioni su Israele"


Abu Mazen a Napoli con Luigi De Magistris

NAPOLI — Il presidente palestinese Abu Mazen si è goduto a lungo la cittadinanza onoraria che Napoli gli ha concesso sabato mattina. Da venerdì sera a lunedì pomeriggio se ne è rimasto in città mentre l’Italia cambiava governo. «Già mi sento napoletano! E sono molto contento che l’Italia abbia il suo nuovo governo, sono sicuro che saprà seguire i destini del popolo palestinese con la saggezza e la comprensione che l’Italia ha sempre mantenuto, confermata dal voto all’Onu favorevole alla Palestina». Il rais palestinese siede in una suite dell’hotel Vesuvio, aziona un telecomando, e dalla sala attigua entra un assistente: lui alza la mano destra con le dita a “V”, e quello gli infila una sigaretta fra l’indice e il medio, e gliela accende. Presidente, qualcuno dei suoi funzionari teme che nel nuovo governo italiano ci siano amici troppo stretti di Israele, come il ministro degli Esteri Emma Bonino?
«Siamo felici di avere nel governo italiano un partner saggio ed equilibrato, e se in questo governo ci sono amici di Israele siamo ancora più felici. Sapranno parlare con Israele, convincerli di una cosa che tutti dicono essere vera: questa situazione di né pace-né guerra non è più sostenibile, l’Italia e l’Europa l’hanno capito, gli Stati Uniti stanno lavorando per far ripartire il negoziato. Poche settimane e vedremo».
Cosa pensa del nuovo governo di Israele?
«Ci sono ministri, alcuni vice-ministri, di orientamento profondamente radicale. Ma nonostante tutto sarà il primo ministro a decidere. Dipende dalla sua volontà: se Netanyahu vuole, i negoziati partono; e se i negoziati partono noi e gli israeliani, faremo un accordo».
Quali sono i risultati politici della vostra ammissione alle Nazioni Unite? «Adesso la Palestina è uno Stato, anche se lo status è quello di “membro osservatore”. Ciò significa che in questo momento i nostri sono i territori di uno stato membro dell’Onu sottoposti ad occupazione. Se noi perderemo ogni altra possibilità, ogni altra speranza, potremo ricorrere alle Nazioni Unite per veder riconosciuti i nostri diritti».
Gli Usa vi hanno presentato un loro piano?
«Per ora non ci hanno presentato nulla. Quando il presidente Obama ci ha fatto visita abbiamo discusso degli aspetti politici, della sicurezza, dell’economia. Per cui la fotografia della situazione è molto chiara agli Usa: loro stanno lavorando, fra un certo periodo di tempo torneranno da noi e ci diranno se hanno avuto successo o meno, se si potrà andare avanti».
Molti vedono l’Europa come un buon partner, pronto ad aiutare i palestinesi, a finanziare progetti di ogni tipo, ma incapace di fare politica, di contribuire a disegnare un futuro per la regione.
«Non è vero: l’Europa, o almeno alcuni paesi della Ue, stanno lavorando molto seriamente per costruire qualcosa di concreto, per aiutare gli americani a capire meglio quali sono gli spazi di manovra, e non sprecare anche questa occasione. L’Europa ci conosce meglio degli americani, siamo vicini. Sapete meglio degli altri quali potranno essere le difficoltà a cui andremo incontro se continuerà questo stato di “né pace né guerra”, che è una condizione destinata a saltare. Avete visto cosa sta succedendo con le primavere arabe?»
Cosa succede? C’è un processo che oggi crea enormi problemi, ma potrebbe portare a maggiori forme di inclusione dei popoli nel governo dei loro Paesi. «Queste “primavere arabe” sono state un grosso problema per i paesi in cui sono esplose: come vedete il caos sta crescendo ovunque. Dopo una rivoluzione è normale che ci sia un periodo di confusione, ma qui le cose si stanno mettendo male. I contrasti in molti paesi si stanno approfondendo, stanno per diventare irrisolvibili, le contraddizioni si preparano a diventare ancora più violente. Prendiamo l’esempio dell’Iraq, delle sue divisioni. Guardiamo alla Siria, alla guerra che colpisce il suo popolo. Queste rivoluzioni possono portare la democrazia senza distruggere quei Paesi?».
Fra i leader cancellati dalle primavere arabe c’è il rais egiziano Hosni Mubarak, un presidente per il quale lei non ha cessato di manifestare rispetto e gratitudine.
«Mubarak ci ha aiutato, molto. Sta all’Egitto decidere. Ma io non posso cancellare la storia, ha lavorato con noi, ci aiutato. Col nuovo governo abbiamo relazioni normali; lo sappiamo, sono Fratelli Musulmani, hanno un’ideologia diversa dalla nostra. Per noi non è un problema, e tra l’altro sono i mediatori della riconciliazione fra noi dell’Anp e Hamas, e continuano a lavorare su questo».
Alla fine farete un governo con Hamas?
«Il nostro governo ha rassegnato le dimissioni; abbiamo fissato un periodo di 5 settimane per formare un governo di transizione che dopo 3 mesi ci porterà alle elezioni, a Gaza e in Cisgiordania. Credo che Hamas sia ancora indecisa, spero che vogliano coinvolgersi nel processo elettorale: per il momento però non ci hanno dato risposte concrete».
Ma se non parte il negoziato con Israele cosa farete? Avete dato un tempo preciso agli americani per il loro tentativo, ma poi cosa accadrà?
«Gli americani ci hanno chiesto due mesi e mezzo. Se tutto rimarrà bloccato sappiamo già cosa proporre al nostro popolo. Non torneremo alla lotta armata, alla violenza, ma sappiamo bene cosa fare. Abbiamo delle idee, ma per il momento le teniamo per noi».

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