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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Giornale - La Stampa - Corriere della Sera - La Repubblica Rassegna Stampa
22.04.2013 Boston, impossibile negare la matrice islamica dell'attentato
commenti di Fiamma Nirenstein, Maurizio Molinari, Guido Olimpio. Mohsin Hamid intervistato da Giampaolo Cadalanu

Testata:Il Giornale - La Stampa - Corriere della Sera - La Repubblica
Autore: Fiamma Nirenstein - Maurizio Molinari - Guido Olimpio - Giampaolo Cadalanu
Titolo: «Internet è la vera scuola del terrore - Nella moschea dei killer: Tamerlan era cambiato contestava anche l’imam - Su Twitter Dzhokhar cita islamisti e il rapper Jay-Z - Trovato un arsenale di esplosivi. 'I due preparavano altri attacchi' - Ora non ritorn»

Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 22/04/2013, a pag. 15, l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo " Internet è la vera scuola del terrore ". Dalla STAMPA,m a pag. 15, gli articoli di Maurizio Molinari titolati " Nella moschea dei killer: Tamerlan era cambiato contestava anche l’imam " e " Su Twitter Dzhokhar cita islamisti e il rapper Jay-Z ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 16, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " Trovato un arsenale di esplosivi. «I due preparavano altri attacchi» ". Da REPUBBLICA, a pag. 21, l'intervista di Giampaolo Cadalanu a Mohsin Hamid dal titolo "Ora non ritorni la fobia anti-Islam, l’America deve restare un Paese aperto " , preceduta dal nostro commento.
Ecco i pezzi:

Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein : " Internet è la vera scuola del terrore  "


Fiamma Nirenstein

La maggiore scuola del terrore è il web, il fiore più carnoso della grande serra della democrazia. Dzhokhar Tsarnaev, diciannovenne, il sopravvissuto fra i due fratelli terroristi della maratona, arrivò come rifugiato a Cambridge, presso Boston, dieci anni fa. Dunque quel ragazzino di etnia cecena e di religione musulmana non aveva allora più di nove anni. Che fosse un fanatico terrorista nazionalista-islamista indottrinato dai colori e gli odori della sua terra oppressa dalla Russia, è davvero quasi impossibile immaginarlo. Forse suo fratello Tamerlan, che peraltro ci ha trascorso sei mesi (forse di training bellico) un anno fa e che ha concluso la sua vita di assassino della maratona a 26 anni solo tre giorni fa, aveva impugnato la sua definitiva bandiera di guerra fra i suoi. Forse là aveva scelto di diventare uno shahid. Ma la patria dell’indottrinamento dei due giovani non è, probabilmente, la Cecenia.
 
Essa è lo spazio quadrato, secluso e infinito del web. E hanno ragione dunque i Muhajedin ceceni che smentiscono con comunicati il ruolo della loro organizzazioni nell’attentato di Boston: “I combattenti del Caucaso- dicono- “non stanno compiendo alcuna attività militare contro l’America, ma solo contro la Russia”. In buona sostanza, lo sradicamento dei giovani da zone in conflitto come il Caucaso (e certo non sono poche, basta pensare all’Oriente e all’Africa) e il loro trasferimento nelle nostre società democratiche, liberali che essi ritengono ostili, crea uno spazio di radicalizzazione che ha luogo lontano dalla terra di origine, sulla spiaggia infinita del web e in specie sui siti islamisti. Là si ritrovano le notizie relative alla propria origine etnica e religiosa, e si incontrano subito, in maniera spesso casuale, una serie di concioni violente, un inno alla morte, al martirio in nome della propria identità.. le fonti di radicalizzazione che hanno condotto i fratelli Tsarnaev al terrore.

Esistono nessi oggettivi: un leader ceceno di nome Khattab avrebbe incontrato Bin Laden negli anni fra il’79 e l’89 durante l’occupazione sovietica dell’Afghanistan e oltre a ciò, i combattenti ceceni hanno combattuto contro gli Stati Uniti accanto ad Al Qaeda e ai Talebani in Afghanistan. Sul sito di Hamas, si trovano i martiri ceceni e così via. Ma questo non costituisce la prova di un nesso attuale. La maggior parte dei siti e blog caucasico-nazionalisti, disapprova l’attacco di Boston: teme che, a causa dell’attentato, gli americani possano unirsi ai russi contro i ceceni.

La verità è che la risposta che Obama aspetta quando chiede come “giovani cresciuti e istruiti qui come parte della comunità americana abbiano scelto una simile violenza”, trova risposta nelle pagine web, quelle per esempio, del predicatore internet preferito di Tamerlan, Feiz Mohammed, un libanese che vive a Sidney; sta nei video di guerra scaricati, nelle lezioni di esplosivo di un sito di Al Qaeda “Inspire”; in mille diatribe antiamericane, anticristiane, antisemite, anti donne e omosessuali. Molti terroristi sono americani autentici, che hanno reimparato la loro storia dal computer con occhi jihadisti. Uno studio Rand sul profilo degli jihadisti dimostra che il 74 per cento delle persone coinvolte in attacchi negli USA sono cittadini americani, di cui il 49 per cento nati sul suolo americano, e il 29 per cento naturalizzati. Un altro studioso, Yuri Teper spiega che il retroterra ceceno-islamista, nel caso degli Tsarnaev“li rende più disponibili alla comunità virtuale salafita”. I due fratelli erano americani almeno quanto era francese il terrorista che uccise i bambini ebrei di Tolosa”. Nessun Paese o gruppo armato, solo l’esercito della propaganda salafita sul web.
www.fiammanirenstein.com

La STAMPA - Maurizio Molinari : " Nella moschea dei killer: Tamerlan era cambiato contestava anche l’imam "


Maurizio Molinari                      i due terroristi di Boston

Inviti alla beneficenza islamica, libri di preghiera sauditi e corridoi in piastrelle di ceramica accolgono i visitatori nella Islamic Society of Boston, la moschea frequentata dai fratelli ceceni Tsarnaev, gli attentatori della maratona.

Al 204 di Prospect Street l’edificio di due piani dalle pareti arabescate spicca nella zona urbana più povera di Cambridge. Siamo a breve distanza dai gioielli del sapere di Harvard e del Mit ma è un mondo che non potrebbe essere più diverso: fatto di famiglie di operai ispanici, immigrati disoccupati, case popolari come quella in cui abitava Dzhokhar sulla vicina Norfolk Street, rivenditori di auto usate e un diner impolverato all’angolo con Hampshire Street. Se non fosse per una gigante bandiera americana a mezz’asta issata dal benzinaio di quartiere sembrerebbe di essere nella periferia di una qualsiasi città del Terzo Mondo. È qui che nel 1981 questa moschea sunnita viene creata per accogliere «i nuovi musulmani che stavano arrivando in gran numero» racconta Nicol, la ragazza californiana con i parenti palermitani convertita all’Islam e divenuta la segretaria dell’imam Basyouny Nehela. È lei che ci accompagna nella moschea con simboli e storia che sovrappongono integrazione e fondamentalismo che si ritrovano negli oltre 70 mila musulmani residenti nell’area di Boston.

La volontà di integrazione è descritta dall’aspetto occidentale del luogo, l’assenza di ogni tipo di messaggi o simboli politici, i dépliant stampati in New Jersey su «Maometto, l’ultimo profeta di Dio» e «Come si prega nell’Islam», i campeggi estivi per far incontrare ragazzi musulmani e non. Il velo viola, contornato di perline colorate e il trucco leggero sul volto di Nicol esprimono tale versione dell’Islam. Lo stesso di cui il siriano Nasser Weddady, del Consiglio islamico del New England, ha parlato giovedì durante la cerimonia interfede nella cattedrale della Holy Cross citando, davanti a Barack Obama, la massima ebraica «chi salva una vita salva il mondo intero».

Ma la moschea sulla Prospect Street è anche quella che ha avuto fra i membri onorari del «Cultural Center» il teologo fondamentalista egiziano Yusuf alQaradawi, ricevendo finanziamenti ingenti - secondo fonti locali - dai Fratelli musulmani grazie ai quali nel 2004 ha costruito la grande moschea di Roxbury, capace di ospitare quasi duemila fedeli. E tutti i libri di preghiera sono wahabiti, la versione più rigorosa dell’Islam. Forse per questo Tamerlan l’aveva scelta per pregare e, come un comunicato della moschea conferma, «frequentava con il fratello le nostre attività religiose comunitarie, le scuole pubbliche, il club di pugilato».

Tamerlan si sentiva a suo agio nell’esprimere posizioni sempre più estreme fino al punto di contestare l’imam Nehela quando, alcune settimane fa, durante un sermone citò Martin Luther King, il leader afroamericano simbolo delle battaglia per i diritti civili. «Non bisogna farlo - sostenne Tamerlan, secondo un testimone che chiede di non essere citato - perché Martin Luther King non era musulmano» e dunque dentro la moschea è solamente un infedele. La reazione dell’imam fu di chiedere a Tamerlan di non frequentare più le preghiere ma ora il leader religioso non può confermarlo perché «è andato all’estero per aggiornamento culturale e non sappiamo quando tornerà» spiega Nicol, evitando sempre di guardarci negli occhi pur non riuscendo a trattenere un sorriso nell’evocare gli «arancini siciliani di mia madre».

Il malessere della comunità musulmana di Boston si rispecchia nelle parole di Suhaib Webb, l’imam musulmano-americano della moschea di Roxbury - la più grande del New England - che esclude di poter celebrare un funerale islamico per il terrorista morto nella battaglia con la polizia a Watertown «perché non è il caso di farlo» pur precisando però che «se qualcuno vorrà andare a pregare sulla sua tomba è ovviamente libero di farlo». Il resto è scritto nel lungo comunicato della Islam Society di Boston: «Siamo fieri degli agenti che hanno catturato il secondo sospetto, siamo sollevati dall’incubo è finito, incoraggiamo chiunque nella nostra comunità sappia qualcosa a collaborare con l’Fbi, siamo scioccati di aver saputo che gli attentatori frequentavano la nostra moschea ma non hanno mai esposto sentimenti o opinioni violente, altrimenti avremmo chiamato gli agenti». Sta ora all’Fbi appurare che tipo di legami i Tsarnaev hanno sviluppato pregando a Prospect Street.

La STAMPA - Maurizio Molinari : " Su Twitter Dzhokhar cita islamisti e il rapper Jay-Z "


Dzhokhar Tsarnaev

Dal momento dell’esplosione delle bombe contro la maratona Dzhokhar Tsarnaev ha twittato almeno una dozzina di volte. Ricostruire i messaggi aiuta l’Fbi a studiare la personalità del 19enne che ha scelto di diventare un terrorista. Alle 21.34 di lunedì, poche ore dopo l’attentato, con l’account @Jtsar e come foto il primo piano del ruggito di un leone, twitta una citazione del mufti Ismail Menki dello Zimbabwe: «Ci sono persone che conoscono la verità ma restano in silenzio e persone che dicono la verità ma non le sentiamo perché sono in minoranza». I retweet sono 919 mentre in 197 cliccano su «favorito» e ciò lascia intendere un certo seguito online per lo studente di medicina all’Università di Dartmouth. Alla riflessione pseudofilosofica, ispirata alla teoria degli oppressi, segue, ore più tardi, una citazione del rapper Jay-Z: «Non c’è amore nel cuore della città». Forse è un riferimento all’attacco appena compiuto comunque, visto che ha ancora qualche carattere a disposizione, il ceceno-americano aggiunge: «Stay safe people», mettetevi al sicuro. Ed anche in questa occasione il seguito è notevole: 946 retweet, 199 favoriti. Martedì scrive sul fratello Tamerlan: «Allora, gli ho detto, rilassati, la mia barba non è carica».

Alle 0.43 di mercoledì notte quando l’imponente caccia all’uomo è appena iniziata si definisce «una persona che non soffre lo stress» quasi in gesto di sfida – accentuata dall’immagine del leone inferocito – nei confronti delle migliaia di agenti che lo stanno cercando. Segue inoltre con apparente premura i tweets altrui sulla strage perché quando un altro utente posta l’immagine di un soccorritore che aiuta una donna, lui gli invia un messaggio di commento in maniera che tutti possano leggerlo: «È una storia falsa».

L’ultimo intervento è delle 12.30 sempre di mercoledì e cita ancora il poco noto imam dello Zimbabwe: «Il comportamento può toglierti la bellezza indipendentemente da quanto sei o riesci a essere bello, rendendoti adorabile».

CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " Trovato un arsenale di esplosivi. «I due preparavano altri attacchi» "


Guido Olimpio                   Il nascondiglio di uno dei due terroristi

WASHINGTON — Due cerchi. Il primo su Boston e dintorni. Il secondo più lontano, il Caucaso. È su questo asse che lavora l'Fbi. Indagine accompagnata dai dubbi sulla sottovalutazione degli allarmi arrivati dalla Russia e dalla domanda se il terrorista potesse essere fermato.
Gli investigatori sono certi che i fratelli, Tamerlan e Dzhokhar, volessero colpire ancora. Avevano bombe, armi da fuoco, determinazione. Inebriati dal loro successo letale alla maratona potevano seminare ordigni già pronti. Un piano che per la polizia hanno attuato «da soli», anche se in realtà i complici li cerca comunque. Notizie dalla Gran Bretagna sostengono che vi sarebbe una cellula di 12 persone collegata all'attentato di Boston. Per ora è una voce che non elimina sorprese future. Ci sono stati dei fermi — tre amici di Tamerlan — ma per motivi diversi dal terrorismo.
Altra attenzione è dedicata a chi ha aiutato Tamerlan nella sua conversione radicale, processo iniziato nel 2008. Lo zio ha parlato, in modo vago, di un convertito americano che avrebbe condizionato le scelte del giovane. Tamerlan pregava alla moschea dell'Islamic Society of Boston e aveva attirato l'attenzione per le sue intemperanze. Tanto che in un'occasione l'imam lo aveva cacciato. Se i russi, nel 2011, lo avevano segnalato in modo preciso all'Fbi significa che era stato notato dagli informatori di Mosca. Particolare interessante. Le autorità americane avevano bloccato la richiesta di cittadinanza da parte del giovane dopo che era emersa la vicenda del suo interrogatorio da parte dell'Fbi. Dunque era stato ritenuto non pericoloso, però non era il caso di farlo diventare americano.
Gli esperti, poi, setacciano computer e traffico Internet. Sempre Tamerlan, nel 2012, aveva postato su YouTube materiale di ispirazione jihadista firmandosi «la spada di Allah». Era solo un modo di mostrare la sua solidarietà alla causa cecena o era anche in contatto con un ispiratore? È, invece, emerso ancora poco su Dzhokhar. Le sue condizioni restano gravissime, forse non potranno mai interrogarlo. La polizia ipotizza che il giovane, quando si è accorto di essere circondato, abbia tentato il suicidio sparandosi alla bocca. Si guarda anche a una misteriosa esplosione di piccoli ordigni avvenuta il 27 marzo in un parco di Boston: era un test?
Dagli Usa al Caucaso. I viaggi in Daghestan e Cecenia dei fratelli sono per forza tema di interesse. Tamerlan, arrivato già «carico», può aver agganciato un gruppo estremista che lo ha «istruito». Su questo punto si sono fatti sentire ieri i ribelli ceceni. Con un comunicato dell'Emirato del Caucaso hanno negato qualsiasi coinvolgimento: la nostra guerra è solo contro la Russia. Il movimento di Dokku Umarov ha invitato gli Usa a considerare la teoria che gli attentati siano stati una provocazione dei servizi russi.
La smentita conta, anche se lascia aperte altre ipotesi. Il contatto di Tamerlan può essere stato un ceceno qaedista svincolato dalla resistenza, simile ai militanti arrestati in Europa negli ultimi 2 anni. O un veterano di un conflitto jihadista. Spunti interessanti sui quali interrogare il ceceno, quando, dopo aver passato metà dell'anno nel Caucaso, è tornato negli Usa. Ma l'Fbi non lo ha fatto. E non avrebbe neppure dato seguito a una segnalazione russa più recente sugli incontri tra Tamerlan e un estremista daghestano. Circostanza confusa, da definire meglio perché ieri è trapelato che Mosca non avrebbe risposto a una richiesta di collaborazione da parte dell'Fbi. Dettagli che alimenteranno le polemiche.

La REPUBBLICA - Giampaolo Cadalanu : " Ora non ritorni la fobia anti-Islam, l’America deve restare un Paese aperto "


Mohsin Hamid

Fin dove può spingersi l'islamicamente corretto?
Parecchio in basso, come dimostrano le risposte di Mohsin Hamid a Giampaolo Cadalanu.
Hamid cerca di minimizzare le implicazioni religiose dell'attentato, farfuglia qualcosa a proposito della giovane età dei due fratelli : "
È un problema dei giovani maschi. Lo troviamo in tutto il mondo. Ritengono che sia in qualche modo un gesto “eroico” combattere quello che considerano sbagliato. Può succedere che sparino ai compagni di scuola, o che organizzino un attacco terroristico. E questo si ripete ancora e ancora, e non in modo collegato alla fede islamica, ma all’età ".
Quando Cadalanu chiede se non sarebbe stato possibile evitare l'attentato magari aumentando le misure di sicurezza, Hamid risponde di no, che non sarebbe possibile vivere in uno 'Stato di polizia', che è meglio vivere in un Paese libero anche se comporta rischi del genere e conclude con queste parole "
La politica e il mondo degli affari hanno creato un ambiente in cui tutto dev’essere prevedibile. Ma queste aspettative sono false. Se qualcuno ha un attacco di cuore o un tumore a trent’anni, è tragico, ma è la vita. Una società matura non fa finta di vivere in un mondo che non c’è". Insomma, colpa del capitalismo, del mondo degli affari. L'America si è attirata da sola l'attentato, se lo merita per il tipo di società che ha al suo interno. E' questo che intende Hamid?
L'unico a vivere in un "mondo che non c'è" è Hamid stesso, con la sua 'analisi' distorta e islamicamente corretta. E' vero, non tutti i musulmani sono terroristi, ma la quasi totalità dei terroristi è musulmana. Hamid ne prenda atto. E vivere in una democrazia non significa dover accettare di essere potenziali vittime dei terroristi islamici (o 'giovani maschi', come li ha definiti Hamid).
Ecco l'intervista:

Dove nasce l’integralismo che ha spinto i due giovani ceceni a mettere bombe contro i passanti? Nel bestseller Il fondamentalista riluttante, Mohsin Hamid aveva raccontato il percorso di un broker iper-integrato che finisce per convertirsi al jihad. Ma per lo scrittore pachistano, appena arrivato a New York, ogni scelta radicale è una storia a sé. Quale è stata la sua prima reazione quando ha sentito delle bombe a Boston?
«Ho sperato dentro di me che non fosse responsabile un pachistano, o un musulmano in genere. Quando succede qualcosa del genere riparte tutta la paranoia sulla sicurezza. Il mio autista sul taxi era musulmano. Ed era furioso: dopo dieci anni passati a contestare l’idea che gli islamici sono tutti terroristi, il problema ricomincia ».
Dalle prime indagini, sembra che ci sia un elemento religioso fra le loro motivazioni.
«Sì, ma da quello che sappiamo, pare che si sia sviluppato in America. La radicalizzazione è avvenuta qui».
I due fratelli erano immigrati di prima generazione, erano stati accolti dall’America a braccia aperte. Perché, secondo lei, hanno sviluppato un odio tale da fare quello che hanno fatto?
«È un problema dei giovani maschi. Lo troviamo in tutto il mondo. Ritengono che sia in qualche modo un gesto “eroico” combattere quello che considerano sbagliato. Può succedere che sparino ai compagni di scuola, o che organizzino un attacco terroristico. E questo si ripete ancora e ancora, e non in modo collegato alla fede islamica, ma all’età ».
Vuol dire che in un certo senso è un problema ormonale?
«Questi sono comportamenti aberranti. Se ne stiamo parlando, è perché sono eccezionali. È qualcosa di orribile, giovani che commettono questi atti per protestare contro la politica estera americana, ma è comunque un’eccezione. È un’aberrazione che si ripete in luoghi diversi, per motivi diversi. Non c’è una spiegazione sola».
Prendiamo le bombe di Londra del luglio 2005. In quel caso gli attentatori erano immigrati di seconda generazione, si è parlato di senso di alienazione fra due culture, di ricerca di identità. Crede che si possa fare lo stesso discorso per i due di Boston?
«Non credo. I fratelli ceceni avevano la pelle bianca, erano inseriti, avevano persino una certa popolarità legata ai successi sportivi. Non si può generalizzare. A scegliere la violenza non è solo l’immigrato di seconda generazione. Credo che sia quasi un problema di depressione, una questione legata alla salute, che riguarda molti ragazzi. E le reazioni sono sempre diverse, a volte violente».
Crede che ci siano state influenze esterne?
«Per quello che so, no. C’è questo desiderio di un epilogo eroico, quasi suicida. In qualche modo, è diventato un comportamento “di nicchia”. Per fortuna non è comune ».
Insomma, è una s
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